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Fahrenheit 451

Fahrenheit 451 è un fantastico libro di Ray Bradbury, scrittore americano nato nell’Illinois (USA) nel 1920 e morto nel 2012. Scrittore statunitense innovatore del genere fantastico, ha fatto anche lo sceneggiatore cinematografico.

Ha scritto un sacco di cose per la tv, molti racconti brevi ma il motivo principale per cui parliamo di lui è il suo romanzo “Fahrenheit 451” pubblicato nel 1951 con il titolo di “The Fireman” a puntate sulla rivista “Galaxy” e poi nel 1953 in volume (in Italia viene pubblicato anche con il titolo “Gli anni della fenice”.

Nel 1966 il libro è stato trasposto in un omonimo film per la regia di François Truffaut e in un omonimo film TV nel 2018 per la regia di Ramin Bahranii.

In un imprecisato futuro, in una società distopica (rappresentazione di uno stato di cose futuro, in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, in cui si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi. Sinonimo utopia negativa) in cui leggere o possedere libri è considerato reato viene istituito un corpo speciale di vigili del fuoco con il preciso scopo di distruggere ogni tipo di scritto. Il simbolo rappresentativo di questo gruppo è la salamandra (che nella mitologia si dice non bruciare nel fuoco).

Il protagonista, Guy Montag, lavora nei pompieri, come un tempo suo padre e suo nonno. Nella sua epoca però i pompieri, o meglio, “la milizia del fuoco”, non spengono gli incendi, bensì appiccano roghi alle case di coloro che hanno violato la legge, nello specifico di coloro che nascondono libri in casa, in quanto la lettura è proibita.

All’inizio della narrazione Montag è convinto della propria missione, e vive la sua vita serenamente. Solo dopo l’incontro con Clarissa McClellan, inizia a porsi delle domande, soprattutto dopo che lei, lasciandolo sulla porta di casa gli chiede se è davvero felice? Dicevamo che Montag inizia a chiedersi cosa contengano i libri, perché le persone rischino la libertà e la loro casa, perché ritengano una semplice storia da romanzo più importante di tutto quello che già hanno. L’incontro con un’anziana donna che preferisce bruciare nella sua casa anziché abbandonare i libri lo sconvolge completamente. Montag inizia a salvare alcuni libri e a leggerli di nascosto, cosa che impensierisce il capitano Beatty, che intuisce cosa si celi dietro il malessere del suo sottoposto. Beatty cerca di parlare con Montag, che vorrebbe licenziarsi, e le sue parole rivelano comprensione per i tormenti che ha provato anche lui ma nel contempo il capitano cerca di riportare Montag alla ragione, rafforzandone invece, con le sue parole, la volontà di lasciare il lavoro.

Non si può trattare del libro di Bradbury senza fare almeno un brevissimo accenno all’altro romanzo distopico che è 1984 di George Orwell.

In entrambe le opere grande importanza riveste la televisione. Se nell’opera orwelliana la tv è un qualcosa di permeante, intrusivo e non bloccabile, nell’opera di Bradbury la televisione diventa “uno di famiglia”. Le pareti di casa ospitano la televisione e il rapporto che si stringe con i personaggi tv fa si che Mildred (la moglie di Montag) si riferisca a loro con il termine di “famiglia”.

Sia in 1984 che in Fahrenheit vengono aboliti i documenti e anche la cultura d’élite in modo che si possa sviluppare la cultura popolare. Questo permette il mantenimento di tutti gli abitanti della nazione ad un livello culturale più basso e quindi più facilmente traviabile.

Ultimo paragone tra questi due capolavori: in Fahrenheit la funzione dei mezzi di comunicazione è prevalentemente quella di distrarre il popolo, invece in 1984 l’accento viene spostato sulla nascita e sviluppo di una religione laica, basata sul culto del Grande Fratello e del partito.

Per questo romanzo così particolare e di così grande importanza non voglio aggiungere ulteriori commenti. Solo una precisazione; se nel corso della lettura vi dovesse mancare il fiato, se vi bruciassero gli occhi, se avvertiste la necessità di scappare lontano non vi preoccupate. Non siete malati, è il fumo acre che si leva dai roghi di Fahrenheit 451 che ancora ammorba l’aria.

Libro assolutamente consigliato.

Il nostro piccolo pazzo condominio

Il nostro piccolo pazzo condominio di Fran Cooper edito da Newton Compton Editori, prima edizione 2018.

Il libro che ci apprestiamo a conoscere può sembrare, a prima vista, un libricino leggero leggero, senza alcun peso specifico, una storiella morbida su cui sdraiarsi prima di andare a fare la nanna. Invece durante la lettura si scoprono angoli duri come pietre, gibbosità inaspettate che premono sulla nostra coscienza, molle che non molleggiano più dure come palle di piombo.

Il protagonista della nostra avventura è Edward che arriva a Parigi in una torrida giornata di giugno. A differenza di quello che si può pensare Edward non è a Parigi per turismo ma sta scappando dai propri incubi che non gli permettono di dormire bene dalla morte della sorella. Si trasferisce, temporaneamente, nell’appartamento vuoto di un’amica al numero 37 di Rive Gauche, una via anonima nella Parigi meno turistica che possiate immaginare.

Niente boulevard e luci romantiche ma un palazzo inquietante e pulsante dei segreti dei suoi inquilini. Tra queste mura c’è chi parla troppo e chi invece tace, chi gode della solitudine e chi anela una compagnia. Nel corso della narrazione conosceremo i vari condomini, come ad esempio, la madre sull’orlo di una crisi di nervi causato dal post partum, che deve riappropriarsi del suo ruolo di donna prima che del suo stesso corpo e soprattutto, dare un po’ di requie al suo cervello sempre intento a giudicarsi.

Edward attraverserà un percorso difficile durante la sua permanenza in questo condominio, un percorso accompagnato sempre da due ali di folla formata dai suoi condomini che lo aiuteranno nutrendosi della sua difficoltà, della sua gioventù e soprattutto del suo dolore. Questo cammino li lascerà tutti ripuliti, rinnovati come se tutte le loro anime e ansie fossero fresche di lavanderia.

Come anticipavo, questo romanzo fa riflettere attraverso questa rete di straordinaria umanità che è tangibile, nonostante ogni condòmino stia ben attento a rimanere perfettamente estraneo agli altri.

Le storie di questo romanzo potranno sembrare slegate tra loro ma, come affluenti minori di un fiume, irrimediabilmente si avvicinano sempre di più fino a fondersi in un unico flusso narrativo che presto ci verrà svelato e che ci permetterà di vedere compiutamente il progetto della sua autrice.

Proprio come nella vita reale, anche i personaggi di questo romanzo sono nascosti dentro se stessi. Come se fossero cipolle, quando togliamo una pelle ecco che se ne svela una nuova, sottostante che brilla nella sua epifania e chiede di essere raccontata.

Chiaro è l’intento dell’autrice di comunicarci il suo punto di vista; la sua ricetta per trovare la soluzione dei problemi di tutte queste persone. L’amore; ma non la passione bruciante di certi romanzi ma quel calore dolce e costante che accarezza i nostri cuori affannati.

La trama risulta indubbiamente avvincente anche perché il personaggio di Edward non è anche che quel giovane che tutti noi siamo stati, e che continua a vivere nel nostro profondo. La nostra anima quindi, più che il nostro cervello, seguirà Edward nel suo peregrinare, nel suo innamorarsi, nel suo conoscere e disconoscere, nel suo affascinarsi e crescere.

Le porte degli appartamenti si apriranno via via al suo tocco, alcune solo di pochi centimetri altre si squaderneranno davanti a lui mettendo a nudo tutto ciò che si trova al loro interno.

Lettura semplice ma profonda; indubbiamente consigliata!

La verità sul caso Harry Quebert

La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dicker edito da Bompiani,prima edizione 2012.

La preparazione di questa recensione è stata, ad oggi, la più difficile di sempre. Non sapevo da quale aspetto volevo affrontare questa storia e quindi ho deciso di andare un po’ a zonzo in questo romanzo e vedere cosa ne usciva fuori.

Come ci sentiremmo noi se, il nostro mentore, la persona che abbiamo ammirato maggiormente nella vita e che abbiamo avuto la fortuna di conoscere veramente bene, che è stata nostro docente universitario prima, poi relatore insieme a noi della nostra stessa tesi e poi, per finire, nostro sincero amico; come ci sentiremmo se questa persona fosse di colpo accusata di un omicidio avvenuto trentatré anni prima in circostanze poco chiare e se questo omicidio riguardasse una ragazzina quindicenne?

Ecco questo è il perimetro da cui muove questo romanzo. Vedremo il protagonista Marcus Goldman, un giovane scrittore con alle spalle un solo romanzo ma di enorme successo, intento a scrivere il secondo romanzo che però fatica a decollare. Le scadenze si avvicinano, la casa editrice preme per avere i primi capitoli, l’ispirazione non c’è e Marcus è distratto, gira per la città, decide di andare a chiedere consiglio al suo carissimo amico Harry Quebert. E’ sicuro che, anche questa volta, con il suo aiuto, la situazione si sbloccherà. D’altronde Harry non lo ha mai tradito. Marcus ha una cieca fiducia in lui.

Ed ecco che scoppia la bomba. Vengono ritrovate nel giardino della casa di Harry le ossa di un cadavere ed il manoscritto del libro più famoso di Harry, scomparso molti anni addietro.

Il giovane scrittore è frastornato, non riesce a credere che la persona che lui tanto ammira possa essere un assassino eppure tutti gli indizi che trova la polizia convergono nella stessa direzione. Harry è l’assassino. Ci credono tutti in città e negli Stati Uniti. Harry viene formalmente incriminato ed arrestato. Le biblioteche ritirano il suo libro dagli scaffali, le librerie rifiutano di venderlo. Torreggia sempre più gigantesca l’ombra della pena di morte per Harry. Tutti sono sicuri di aver trovato il pedofilo assassino… tutti tranne Marcus.

Inizia da qui la seconda parte del libro durante la quale noi, insieme a Marcus, riemergeremo dal quel limo schifoso in cui ci ha fatto affondare l’accusa di omicidio. Marcus nel tentativo di mantenere alto il morale di Harry decide di svolgere una indagine parallela a quella ufficiale della Polizia; e siccome non sa come muoversi decide di ricominciare da capo.

Va a parlare con i poliziotti che, all’epoca dei fatti, si erano occupati delle ricerche della ragazzina, ripercorre i luoghi che si suppone lei frequentasse, parla con le sue vecchie amiche…

Da questa seconda indagine Marcus si forma un’immagine mentale ben diversa da quella raccontata dai verbali stesi dagli investigatori; il comportamento della giovane risulta molto strano e i genitori di lei ancora di più. Come nella realizzazione di un puzzle sarà il corretto posizionamento di un piccolo elemento che porterà la luce in quel groviglio di cavi che è questo caso.

Siamo davanti ad un romanzo che affronta con obiettività un tema che era molto complesso trent’anni fa e che oggi non suscitava più il medesimo scalpore; parliamo delle delle relazioni amorose tra persone di età molto diversa.

Il testo è sicuramente scorrevole ed attrattivo al punto che si fatica ad interrompere la lettura. Disseminate con perizia, nel corso del romanzo, troviamo sorprese che cambiano il punto di vista sulle persone, sulle situazioni, sulle indagini precedentemente svolte. La trama è ben costruita e accompagna fedelmente il lettore nel cammino fino alla rivelazione finale. La bravura dell’autore porta il lettore a chiedersi continuamente, se le informazioni che sta ricevendo siano vere o se si tratti di un tentativo di depistaggio, se ci si può davvero fidare della persona che si ha di fronte o se invece sarebbe meglio temerlo e starci alla larga.

I personaggi sono pochi ma ben delineati Siamo in presenza di un giovane autore (poco più che trentenne al momento attuale) di cui sentiremo parlare in futuro.

Alla fine della lettura ero spiazzato perché mi domandavo se avessi letto un giallo molto ben scritto e immaginato, oppure un bellissimo libro sull’amicizia? Nel corso del libro l’amicizia tra il giovane autore e il vecchio “professore” si stringe sempre più e questo permette a Marcus di aprire le proprie difese imparando ad interagire con gli altri.

Libro consigliato.

I due hotel Francfort

I due hotel Francfort di David Leavitt edito da Mondadori, prima edizione 2013.

L’ultimo romanzo in ordine di pubblicazione di Leavitt è ambientato nella Lisbona del giugno 1940. Si tratta di una città che trabocca di persone che cercano di scappare dall’imminente guerra che si sente rumoreggiare alle frontiere. Le persone che ivi si trovano sono talmente numerose che tutti gli alberghi sono pieni all’inverosimile, al punto che sono affittate anche le poltrone delle hall e gli scantinati. E’ una situazione insostenibile, le persone si spostano in gruppo quasi fossero formiche alla ricerca di cibo.

All’interno di questo romanzo la topografia della città è così importante che una mappa di Lisbona è pubblicata all’inizio della storia per facilitare il lettore nel suo peregrinare.

In tutto questo carnaio di lusitani e stranieri, l’attenzione dell’autore si concentra su due coppie. Julia e Pete Winters e Edward e Iris Freleng.

Julia e Pete Winters sono cittadini americani molto per bene e residenti a Parigi, un po’ snob e molto annoiati mentre Edward e Iris sono spregiudicati giramondo, autori di gialli di successo con lo pseudonimo di Xavier Legrand. Le due coppie vivono pigramente la loro vita in attesa che giunga la nave SS. Manhattanche li deve riportare in America; durante una passeggiata in centro i quattro si conoscono per colpa di un paio di occhiali. Sembra quasi che le due coppie siano state scelte dal destino, infatti, una delle esse risiede all’Hotel Francfort, mentre l’altra ha trovato da dormire al Francfort Hotel che incredibilmente risultano, essere due strutture differenti in due indirizzi diversi.

Tra i quattro si sviluppa una strana frequentazione che via via si trasforma in una blanda amicizia. I due uomini iniziano a girare la regione come due adolescenti mentre le due signore si ritrovano per passeggiate in città o per bere il tea in uno degli hotel e si scambiano segreti.

Il rapporto tra Edward e Pete si fa sempre più profondo ed il legame che stringono li circonda e li avvolge e ancora gira loro intorno come un gorgo che si stringe sempre più; proprio come due adolescenti si ritroveranno alla fine l’uno tra le braccia dell’altro e, anziché stupirsi (come sarebbe lecito aspettarsi vista l’epoca in cui il libro è ambientato) i due decidono di provare a portare avanti la loro storia parallela e clandestina ma, come spesso accade nei romanzi di Leavitt, il loro amore si spegnerà lentamente prima dell’arrivo della fantomatica nave.

Delle due donne, Iris sicuramente sa di quanto accade ai due uomini mentre Julia preferisce continuare il suo tran tran quotidiano che nemmeno l’avvento della guerra è riuscito a sconvolgere.

Tutti i personaggi che popolano questa storia, siano essi principali o secondari, si muovono freneticamente come se fossero attori sul palco di un teatro; è tutto un entrare ed uscire di scena; la porta girevole dei due hotel ruota sempre molto rapida e non sempre ci permette di vedere bene i personaggi che riflette.

Centro nevralgico di questo romanzo, che si rifà al modernismo americano, non è il ripercorrere la storia dei quattro personaggi, bensì il prendere atto che non sempre è possibile trovare un vero significato a ogni persona e a ogni luogo.

Ancora una volta il buon Leavitt traccia una storia che sembra destinata a grandi sconvolgimenti e, nel suo incedere, la trasforma in una storia minima in cui i protagonisti scivolano in secondo piano mentre i sentimenti, le emozioni, le ansietà salgono al proscenio per portare a termine una storia che non avremmo mai sperato di conoscere.

Le abilità letterarie di Leavitt non sono certo io a doverle scoprire. Il suo stile è fresco, attraente e i suoi personaggi sono sempre raccontati quasi di tre quarti, come se un po’ se ne stessero nell’ombra per una qual certa forma di reticenza.

Prima di calare il sipario su questa che appare come una pièce teatrale, l’ultima notazione è su una frase del libro che ho trovato molto interessante perché rappresenta un po’ la summa del modo di scrivere di Leavitt: “… ma a volte, tutto quello che riuscivi ad afferrare era il riflesso di un riflesso in una porta girevole”.

Libro molto consigliato.

Il signore delle mosche

Il Signore delle Mosche di William Golding edito da Oscar Mondadori, prima edizione 1954.

A causa di un incidente aereo, un gruppo di ragazzini si ritrova su una non meglio identificata isola deserta dell’oceano senza alcun adulto. Sono in una laguna con le acque cristalline, contornati da palme e da una vegetazione lussureggiante. I primi protagonistiche incontriamo sono Ralph, biondo dodicenne molto spigliatoaccompagnato daun bambino il cui soprannome è Piggy miope e grassottello. I due esplorando l’isola trovano una grande conchiglia che usano per provare a richiamare altri sopravvissuti. Dalla fitta vegetazione fanno la loro comparsa due gemelli, Sam ed Eric, e alcuni ragazzi appartenenti ad un coro, guidati da Jack, fulvo e leggermente robusto.

All’interno del coro spiccano Simone timido e affetto da frequenti crisi epilettiche e Ruggero solitario e schivo quasi avesse in noia la compagnia.

L’illusione di un paradiso pienodi giochi e divertimento senza alcuna regola né controllo, si scontro presto con il desiderio di costruire una comunità basata su regole certe. Ralph, astuto e dotato di grande carisma, viene immediatamente eletto capo del gruppo e la sua prima decisione sarà di ripartire le incombenze tra i vari membri del gruppo su suggerimento del cicciottello Piggy.

Quindi un gruppo si occuperà della ricerca di cibo, altri si occuperanno della costruzione di rifugi ma il compito più importante è quello di accendere un enorme fuoco, in cima alla montagna, il cui fumo possa attirare le navi di passaggio.

Ma ahimè, la situazione idilliaca inizia inesorabilmente a degenerare perché i bimbi trascurano i propri doveri. La caccia è un richiamo primordiale troppo forte ed ecco che quasi tutti i bambini iniziano a seguire il gruppo dei cacciatori guidati da Jack. La democrazia di Ralph e Piggy si sgretola in una società violenta e istintuale guidata da Jack.

Credendo nell’esistenza di una fantomatica bestia i ragazzi decidono di offrire in sacrificio la testa di una scrofa che hanno ucciso durante una battuta di caccia; portano questa testa nel cuore della giungla e la issano su un bastone. Simone durante una delle sue crisi si imbatte in questo feticcio putrefatto e ricoperto di mosche, che gli confida che il Male non può essere sconfitto. Nel tentativo di fuggire da questo terrore Simone giunge sulla spiaggia dove i suoi compagni di sventura stanno facendo una danza tribale. I suoi compagni lo circondano e…

Questo romanzo è l’opera di maggiore successo di WilliamGolding che ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1983. E’ un romanzo che ha visto una genesi difficile; scritto nel 1952 e rifiutato dalle alcune case editrici, vede la luce nel 1954 grazie alla “spinta” di T. S. Eliot che, si dice, abbia anche inventato il titolo.

Il libro è diviso nettamente in due parti. Prima la luce dell’organizzazione, della razionalità che ha come rappresentante il “biondo” Ralph a cui segue il buio della brutalità, della rozzezza che si identifica nel “fulvo” Jack.

Secondo la concezione di Golding l’uomo è, per sua propria natura, votato al male. Tale concezione è chiaramente espressa nella frase a lui attribuita “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.

Il romanzo, solare e accogliente nella prima parte diventa un incubo freddo e aspro nella seconda. I ragazzi sembrano posseduti da una bestia feroce che li porta a comportamenti violenti e crudeli. E’ netto il passaggio da una ordinata società ad un’orda di bestie violento e istintuale.

Per scelta dell’autore non sono presenti riferimenti temporali o geografici e questo fa si che “Il signore delle mosche” sia un testo validissimo per la rappresentazione di qualsiasi epoca e in qualsiasi società.

Indubbiamente una lettura cruda e violenta, dolorosa e spaventosa ma sicuramente un libro che non lascia indifferente il lettore. Non si esce da questo libro uguali a come si è entrati. Di sicuro in fondo al cuore rimane il retaggio del terroreche ciò che racconta Golding possa accadere anche nelle nostre società lucide e precise.

Lettura assolutamente consigliata e non solo ai ragazzi.

La chiave segreta per l’Universo

La chiave segreta per l’Universo di Stephen e Lucy Hawking, edito da Mondadori, prima edizione 2007.

In questo romanzo incontriamo una serie di personaggi tutti ugualmente importanti. Abbiamo George un ragazzino attento e curioso “afflitto” da due genitori ecoguerrieri che vorrebbero fare di lui un coltivatore biologico anche se George preferisce guardare il cielo per contare le stelle; Fred, il maiale domestico di George, che un giorno decide di voler conoscere il giardino nella casa accanto a quella dove vive; Annie la ragazzina che vive nella casa accanto a quella di George con il suo papà Eric, che di professione fa lo scienziato. Ultimo ma non ultimo c’è Cosmo.

Già Cosmo! Chi è Cosmo?

Cosmo è il più grande e potente super computer parlante del mondo e sarà proprio grazie alle straordinarie possibilità di Cosmo che i due ragazzini si ritrovano catapultati in una grande avventura.

Ma andiamo per ordine. Come dicevamo prima tutto inizia un pomeriggio in cui Fred decide di voler curiosare su cosa ci sia nel giardino a fianco a quello dove grufola quotidianamente. Si introduce prima nel giardino e poi, siccome è un maiale molto curioso, anche nella casa dove vivono Annie e Eric. George insegue il suo maiale per cercare di fermarlo ma i suoi sforzi sono vani.

George ed Annie stringono subito amicizia e, come tutti gli amici, si raccontano l’un l’altra tutto quello che ritengono importante; Annie ovviamente parla a George di Cosmo, anzi fa di più; glielo presenta.

Cosmo che oltre ad essere molto intelligente è anche molto vanesio, inizia subito la propria presentazione e, per dimostrare quanto è bravo, apre al centro del soggiorno una finestra sull’oscurità dello spazio.

Al bambino non sembra vero. Tutti quei miliardi di stelle che ha sempre ammirato con il naso all’aria ora sono lì davanti a lui, a pochi centimetri dal suo naso. E’ la cosa più bella del mondo.

Ma Cosmo può fare anche di più infatti permette ai due bambini di saltare dentro una finestra temporale per far scoprire loro le meraviglie che punteggiano il nostro universo, la nascita e la morte di una stella, come si formano i pianeti; vedranno gli asteroidi e i buchi neri.

Come tutti i libri che si rispettano però c’è anche un cattivo che vuole impadronirsi di Cosmo perché con il suo potere può raggiungere i suoi scopi malvagi. Seguiremo quindi i due bambini anche in questa corsa forsennata per difendere il loro amico computer.

Riusciranno nel loro intento oppure periranno vagando per sempre sulla coda di una cometa ghiacciata?

Il grande fisico teorico Stephen Hawking scrive insieme alla figlia Lucy questo libro che originariamente avrebbe dovuto essere per bambini ma che mi ha appassionato come un romanzo.

Nel corso del libro ogni qual volta i due bimbi vengono a contatto con concetti astratti e potenzialmente inavvicinabili ecco che i due autori li rendono semplici attraverso immagini di immediata comprensione con lucidità e l’originalità che solo un genio come Hawking può avere.

I concetti più ostici sono anche integrati con delle spiegazioni più adulte contenute in appositi riquadri. I genitori troveranno qui quelle informazioni di base per chiarire ai bambini gli eventuali dubbi.

Il romanzo è scritto bene e scorre veloce, la trama è affascinante e incolla il bambino alla storia; le informazioni sono chiare, i personaggi sono ben descritti e inoltre c’è anche un cattivo. Nei libri per ragazzi è fondamentale la presenza di un cattivo per mettere pepe alla narrazione.

Insomma il genio di Hawking e la dolcezza della figlia Lucy hanno creato un prodotto perfetto per la divulgazione scientifica presso i bambini/ragazzi. “La chiave segreta per l’universo” è il primo di una serie di libri che si possono leggere come romanzi ma che in realtà ci insegnano le meraviglie di quel cosmo che ci circonda e che, ad oggi, ci è così sconosciuto.

Libro consigliato… e non solo ai più giovani!

Io sono il messaggero

Io sono il messaggero di Markus Zusak, scritto nel 2002, vincitore del Children’s Book Council of Australia nel 2003. È stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2006 da Mondadori con il titolo La quinta carta, per poi essere tradotto nuovamente con il titolo Io sono il messaggeronel 2015, edito da Frassinelli.

Il romanzo racconta l’avventura vissuta da Ed Kennedy, diciannovenne tipico abitante dei sobborghi cittadini. Tassista, nonostante la sua giovane età, ama leggere e giocare a carte insieme ai sue tre migliori amici. Molto innamorato di Audrey che però non vuole legarsi per non rischiare di soffrire come è già successo in passato.

Durante una rapina in banca, fatta da uno che sembra proprio un principiante, Ed ferma il rapinatore quasi senza rendersene conto. Grazie alla fama dovuta a questo accadimento Ed ritrova ad essere scelto come destinatario per delle missioni che sono scritte su carte da gioco. La prima carta che gli viene consegnata è l’asso di quadri. Sulla carta Ed trova tre indirizzi e un orario in cui fare la sua visita. Ed capisce che dovrà fare qualcosa per cambiare la vita di alcune persone. Terminata questa prima missione la ricezione delle carte da gioco si arricchisce di qualche piccolo enigma per comprendere dove fare l’intervento successivo. Dopo l’asso di quadri Ed riceverà in ordine quello di fiori, poi picce ed infine quello di cuori.

Se all’inizio dell’avventura era solo la curiosità a spingere Ed, man mano che si avanza nella lettura si capisce che Ed inizia davvero a credere nel suo ruolo di messaggero anche se non ha la minima idea di chi ci sia dietro a tutto questo. Lo vedremo coinvolto nel tentativo di fermare la violenza domestica di un uomo verso la propria donna; sarà un ottimo compagno negli ultimi giorni di una donna ultraottantenne rimasta sola; porterà autostima ad una ragazzina.

Ogni volta che termina le missioni indicate su una carta, gliene viene consegnata una nuova. Con l’avvento dell’asso di cuore il gioco cambia un po’. Questa volta, destinatari delle sue “buone azioni” non sono più degli emeriti sconosciuti bensì i suoi più cari amici. Ritchie, Marvin e Audrey. Come nei casi precedenti il messaggio non è semplice ma, questa volta c’è la componente emotiva della conoscenza e amicizia a complicare le cose.

Chiaramente la chiave di volta di tutto il libro è l’ultima missione; quella con Audrey perché in questo caso c’è la componente dell’amore. I due si piacciono da molto tempo e non si sono mai concessi di amarsi perché le paure di soffrire li hanno sempre consumati. Ed e Audrey sono migliori amici da moltissimi anni e finalmente i due si diranno le cose che conservano nel cuore da sempre e faranno evolvere la loro amicizia in qualcosa di più profondo.

Diversamente da quanto ci si aspetta l’asso di cuori non sarà l’ultima carta che Ed riceverà, infatti ci sarà un’ultima consegna su cui il ragazzo troverà indicato il proprio indirizzo. “Che cosa vuol dire tutto questo?” si chiede il ragazzo – sarà compito del lettore scoprirlo insieme all’identità del vero mandante.

Dalla descrizione può sembrare un libro ricco di tanta tensione ed invece l’atteggiamento vagamente menefreghista di Ed riesce bene a smorzare questa suspance. Il lettore è catturato dalla curiosità di scoprire come evolve la storia eppure deve seguire Ed con la sua indolenza, con la sua flemma che però da tempo al lettore di riflettere su quanto sta accadendo e di farsi un’idea propria di tutta la situazione.

La scrittura è semplice ed efficace, ogni attore è disegnato dall’autore in maniera non troppo approfondita ma sufficiente per farci conoscere e comprendere le sue scelte ed i suoi comportamenti. Ed ci sta subito simpatico proprio perché in quasi tutte le famiglie c’è un personaggio come lui, il suo rapporto con gli amici ci ricorda le nostre amicizie di gioventù. Insomma è un libro che ci conquista con la sua semplicità. Non ha orpelli inutili ed anche la scrittura è semplice e diretta. Proprio per questa sua schiettezza è un libro che segna il lettore nel profondo e insegna che la vita è sempre e comunque una lotta.

Libro consigliato.

Arkansas

Arkansasdi David Leavitt, edito da Mondadori – prima edizione 1998.

Il sottotitolo di questo libro è “tre storie” perché in realtà di questo si tratta. Il bravissimo Leavitt torna a dare il meglio di sé in queste tre brevi storie ambientate in quella comunità gay che ben conosce.

Nel primo racconto, intitolato “L’artista dei saggi di fine trimestre” lo scrittore ci porta a conoscenza di una pratica poco consona che dice essere spesso utilizzata in ambito universitario. Praticamente ci racconta come uno scrittore affermato (Leavitt stesso si suppone, visto che il racconto è scritto in prima persona) abbia “venduto” tesine sui più svariati argomenti in cambio di prestazioni sessuali.

La maggioranza dei lettori rimane stupita per la realtà e crudezza del racconto ma bisognerebbe stupirsi del fatto che così tanti studenti si prestino a comprare tesine scritte da altri pur essendo chiaramente a conoscenza di quale sia la richiesta in cambio.

Questo racconto, se davvero come l’autore dichiara, è la fedele riproposizione di quanto accade nella realtà, è la conferma di quanto io affermo da tempo: “ogni uomo ha il proprio prezzo”.

Nel secondo scritto intitolato “Nozze di legno” l’autore ci racconta di una riconciliazione e di una rottura. Ci sono tre vecchi amici che, dopo anni di lontananza, si rincontrano nella casa di Montesepolcro in Toscana. Nel loro passato ci sono storie che tutti conoscono ma che tutti cercano di nascondere agli altri (come se fossero degli errori). I tre amici capiscono fin da subito che la soavità che avevano nel loro passato non esiste più; forti di questa reale sensazione tutti si impegnano nel cercare di rappresentare al meglio il proprio personaggio. Ma la realtà non ammette recite e tutti gli schemi tattici salteranno prima del finale.

Da questo racconto ho tratto la conclusione che non ha senso fingere di essere qualcuno che non si è e, soprattutto che il passato è passato e non possiamo riportarlo indietro in alcun modo.

Il terzo e ultimo racconto si intitola “Saturn Street” ed è ambientato nella Los Angeles degli anni Novanta. Sono gli anni dell’edonismo ma, al contempo, sono anche gli anni della presa di coscienza riguardo all’Aids.

Un gruppo di uomini e donne che si fanno chiamare gli Angeli consegnavano pasti a domicilio alla gente costretta a letto dall’Aids.

Il protagonista di questo racconto, in crisi per un blocco creativo, scegli di aiutare questi malati nella speranza di riuscire a sbloccarsi. Quello che non sa è che invece incontrerà una serie di personaggi che lo metteranno di fronte alla realtà crudele della malattia; di fronte a quelle facce senza futuro, il nostro protagonista dovrà cedere un po’ del suo egoismo e condividere con loro la cosa più importante. Il tempo.

La grande capacità letteraria di Leavitt si conferma anche in questa serie di racconti. C’è tutto quello che serve per far si che il lettore rimanga avvinghiato alla storia. I personaggi sono, a volte, insopportabili come il protagonista del primo racconto, a volte adorabili come i malati a cui vengono consegnati i pasti.

Può sembrare un libro leggero ma, a saperlo leggere, si tratta di grandissima letteratura. Non è infatti facile condensare in pochissime pagine le storie, le emozioni, i sentimenti, i dubbi che tutti noi avremmo in queste situazioni.

Io non sono obiettivo perché lo stile e la capacità di raccontare tipica di Leavitt mi è sempre piaciuta moltissimo quindi, per me, da leggere assolutamente.

La via del male

La via del maledi Roberth Galbraith, edito da Salani, prima edizione 2015.

Ormai mancano pochi mesi alle nozze e Robin Ellacott, la socia di Cormoran Strike, è mentalmente occupata a pensare a tutte le cose che è necessario organizzare per il matrimonio.

In ufficio è passato un anno circa dall’ultimo caso impegnativo e la routine si ripete stancamente. Anche il corso di sorveglianza e contro sorveglianza è ormai alle spalle quando Robin riceve uno pacco particolarmente pesante. Nulla può preparare la ragazza a quello che l’aspetta.

All’interno del contenitore, indirizzato a lei, c’è una gamba di donna, amputata con tanto di dita e unghie. Inoltre c’è anche un biglietto con un verso di una canzone.

Il medesimo verso che era tatuato sull’inguine della madre di Strike. Questo particolare suggerisce all’investigatore il fatto che in realtà il messaggio sia stato inviato a lui utilizzando la sua socia come se fosse uno strumento.

Proprio la presenza di questo biglietto mette l’investigatore sulle tracce di tre suoi vecchi “nemici”. Noel Brockbank ex-commilitone e personaggio indubbiamente viscido; Donald Laing, ex compagno di squadra in polizia, battuto da Strike in un match pugilistico nel quale Laing dichiara di aver subito danni cerebrali per l’eccessiva violenza del poliziotto e Jeff Whittaker che è stato l’ultimo compagno della madre di Strike.

Il rapporto tra Strike e quest’uomo è sempre stato parecchio burrascoso quindi è facile immaginare quale sia la furia dell’investigatore in questa situazione. Strike sa in cuor suo che ciascuno di loro è capace di tale efferatezza e probabilmente anche peggio.

Seguiremo l’investigatore e la sua socia durante questo ennesimo caso che mette a rischio oltre alla stabilità economica e alla reputazione dell’agenzia investigativa anche il rapporto tra i due protagonisti.

Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, Galbraith dimostra di essere un ottimo distributore di suspence. Ci farà seguire separatamente i due soci nel tentativo di rintracciare quel impalpabile indizio che Strike non riesce a trovare nella sua memoria. Ci farà penare con Robin quando questa per seguire la propria indole rischierà la propria vita e buona la risoluzione del caso.

Di nuovo come già nei due romanzi precedenti l’autore assegna un ruolo paterno all’investigatore ma la ragazza metterà in atto tutto ciò che è in suo potere per far saltare questo ruolo. Tra i due c’è indubbiamente una attrazione latente che nessuno ha il coraggio di esplicitare.

Ormai l’autore non ha più bisogno di raccontarci i due protagonisti visto che siamo al terzo caso per i due investigatori; questo non vuol dire che non sia in grado di disegnarci i nuovi personaggi, le loro caratteristiche, le loro fobie, le loro manie e crudeltà passate e presenti.

A questo libro non manca nulla. C’è la suspence, c’è la crudeltà quasi pulp, c’è la Londra più notturna e pericolosa che si possa immaginare. Ogni pagina è una pennellata a tinta forte che rappresenta la crudeltà di certi personaggi.

Ultima annotazione. Il romanzo si può leggere anche come opera singola ma è quasi un peccato perdersi i due che lo hanno preceduto.

Libro indubbiamente consigliato.