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Riccardino

RiccardinoAndrea CamilleriSellerio Editore, prima edizione 2020.

Nel bel mezzo di una notte agitata il commissario Montalbano viene svegliato dal trillo del telefono. Risponde aspettandosi Catarella ed invece c’è uno sconosciuto che dice di chiamarsi Riccardino che gli da appuntamento al bar Aurora, prima di riappendere la conversazione. Certo che si sia trattato di un errore o di uno scherzo, il commissario si rimette a dormire. Dopo poche ore suona nuovamente il telefono e questa volta è davvero Catarella che gli comunica che hanno trovato un morto. Giunto sul luogo del misfatto scopre che il morto è proprio tale Riccardino, ucciso con un solo colpo di pistola davanti ai tre amici che lo stavano aspettando.

Da un po’ di tempo al commissario manca la voglia di risolvere casi perché non prova più il piacere della caccia solitaria, perché gli anni cominciano a pesare e soprattutto perché non ha più voglia di avere a che fare con i cretini; vorrebbe demandare l’incarico al suo vice ma l’intervento del vescovo di Montelusa e di alcune personalità politiche lo obbligano a rimanere concentrato.

Anche se il caso sembra ovvio e banale, Montalbano sa che nulla è mai come sembra così aguzza i sensi sbirreschi, analizza, connette, inciampa in personaggi pittoreschi ma, nonostante metta in atto tutte le sue solite trappole e il solito impegno, il nostro eroe è confuso, insofferente ed è convinto di non essere più adatto al ruolo. L’autore comprende la difficoltà del suo personaggio così interviene direttamente concordando con lui modifiche alla trama, proponendo soluzioni e addirittura facendo intervenire il Montalbano televisivo.

Ma il commissario letterario è stanco, sfiduciato al punto che… Camilleri trova il modo di liberarsi di lui perché troppo invadente nella sua fantasia.

Per l’ultima avventura del commissario più famoso d’Italia, Camilleri trasforma il suo romanzo in un meta-romanzo, fa parlare il protagonista con l’autore e con il sé stesso del piccolo schermo alla ricerca di quelle motivazioni che hanno sostenuto Montalbano fino a questo momento.

Il Montalbano letterario si sente inferiore al proprio doppio televisivo e all’autore perché entrambi conoscono sempre tutta la storia, mentre lui deve improvvisare, indovinare e mettersi in gioco. Il Montalbano letterario vorrebbe, una volta tanto, poter decidere come vivere la propria vita in piena libertà.

Riccardino è un romanzo diverso da tutti quelli prodotti dalla grande penna di Camilleri, diverso e un po’ deludente perché la trama è abbastanza inconsistente e prevedibile, i colpi di scena scoppiano come petardi bagnati, la mancanza dell’arguzia di Livia e della forza pungolante di Augello sono evidenti; l’unica nota positiva presente è ancora una volta, la folle e scombinata follia di Catarella.

E’ evidente che l’autore si fosse stufato dell’ingombranza di Montalbano ma il modo che ha trovato per liberarsi e liberarci di lui proprio non mi è piaciuto.

Come tutte le altre avventure del commissario anche questa è ben scritto ma sembra un po’ fatto con la ricetta; dieci grammi di questo, otto di quell’altro ecc. ecc.

Il finale però è innovativo. Inaccettabile per me ma sicuramente diverso da qualsiasi altra cosa mai scritta da Camilleri.

Libro non consigliato.

La scomparsa di Stephanie Mailer

La scomparsa di Stephanie MailerJoel Dicker – Edito da La nave di Teseo, prima edizione 2018.

Orphea (stato di New York) 30 luglio 1994: vengono assassinati a colpi di pistola il sindaco della città, la moglie, il figlio e una ragazza che faceva jogging (probabilmente colpevole solo di aver visto e riconosciuto l’assassino). La polizia indaga e tenta di arrestare il sospettato principale dell’omicidio che però muore in un incidente stradale, durante l’inseguimento con la polizia.

Vent’anni dopo Jessie Rosemberg, quarantacinquenne capitano della polizia statale di New York ed ex ispettore di Orphea ai tempi dell’omicidio, viene avvicinato da Stephanie Mailer, giornalista freelance, che gli rivela che nel 1994 ha preso un grosso granchio e che l’assassino dei Orphea è ancora a piede libero.

Nonostante sia ormai prossimo alla pensione, Rosemberg decide di riaprire il caso quando scopre che la giornalista Mailer risulta irreperibile da oltre tre giorni.

Si troverà a dover dipanare una grossa matassa formata dai due filoni principali: scoprire che fine ha fatto Stephanie Mailer e dare un volto ed un nome all’assassino di Orphea.

Lo affiancheranno in questa nuova avventura il sergente Derek Scott e il vicecapo Anna Kanner. Seguiremo i tre investigatori lungo strade inaspettate in un continuo viaggio nel tempo che potrebbe sembrare complicato, ma che la bravura dell’autore rende lineare.

In vent’anni tante cose sono cambiate; soprattutto i rapporti tra i cittadini. Si sono create nuove alleanze e i vecchi accordi si sono sfilacciati. Gli investigatori dovranno fare opera di cucito per ripristinare la situazione al momento dell’omicidio.

I tre detective, incalzati dai superiori, rimestano nel torbido in fondo del barile, per far tornare a galla tutti gli elementi necessari alla riuscita dell’indagine. Proprio quando sembra che le loro fatiche siano inutili ecco la comparsa in scena di un nuovo personaggio. Kirk Harvey è uno scrittore, probabilmente affetto da disturbi mentali, ex capo della polizia di Orphea all’epoca degli omicidi e autore teatrale per hobby, che, avendo intuito l’identità del vero colpevole, è rimasto ben nascosto e solo ora decide di condividere con la polizia le sue certezze.

Queste nuove rivelazioni permetteranno ai tre poliziotti di dipanare l’intricatissima matassa formatasi nel tempo, e di assicurare alla giustizia il colpevole.

Questo romanzo sembra una collezione di scatole cinesi perché ogni volta che si analizza una situazione questa riporta ad un’altra che porta alla precedente e via di seguito. Però nonostante la complessità della trama, la vicenda scorre lineare e facilmente comprensibile per il lettore.

Le descrizioni e i flashback sono necessari per rendere semplice la fruizione della storia, così come la polifonia delle voci narranti è utile per rendere via via più chiaro lo svolgersi degli eventi; Ogni voce porta con se un piccolo pezzetto di verità che, aggiunto al puzzle dell’indagine aiutano il lettore ad arrivare ad un finale sconvolgente e rocambolesco.

L’autore è sicuramente abile nel cucire le varie storie e le varie anime dei personaggi per creare una trama avvincente e particolare. Tutti i attori sono soltanto accennati in quanto, nel corso del romanzo si scoprono ulteriori sfaccettature.

Libro di facile lettura nonostante la ponderosità; personaggi delineati quel tanto che basta a farli vivere nell’immaginazione del lettore; trama piacevole e ben congegnata; finale rocambolesco e inaspettato.

Dicker dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, di essere un cavallo di razza nella redazione di questo tipo di romanzi che strizzano l’occhio al giallo ma anche al noir. Abile nel tenere alta l’attenzione del lettore e nell’immaginare situazioni originali.

Libro consigliato.

Tieni presente che

Tieni presente cheChuck Palahniuk, Mondadori Editore, prima edizione 2020.

Il sottotitolo di questo che non sono sicuro sia possibile definire romanzo è: “Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto”, e questo credo che di per sé dica già tutto su questo libro.

Perché fatico a definirlo romanzo? Perché da una parte questo libro racconta, o meglio dovrebbe raccontare ai novelli scrittori, come si scrive un libro, ma dall’altra è una specie di biografia in cui il buon Palahniuk ci svela una serie di aneddoti tutti legati alla scrittura o alla difficoltà di scrivere.

E’ sicuramente un libro che mette in luce alcuni trucchi del mestiere di scrittore, ma è anche un romanzo di formazione che sfocia in una guida galattica per chi non accetta l’orizzonte che lo circonda; inoltre è un guanto di sfida nonché una confessione. Insomma, come suo solito, Palahniuk sfugge a qualsiasi categorizzazione tentiamo di imporgli.

Proprio come all’esordio, quando con Fight Club scompigliò le carte presenti sulla tavola della letteratura contemporanea, così fa con questo ultimo lavoro dove, nel tentativo di trasmettere quello che ha imparato nella sua esperienza di scrittore, veicola le informazioni non sotto forma di regole auree date agli affamati lettori, bensì nascondendole sotto i veli della sua esperienza in modo che sia necessario “scartarle, distillarle, e condensarle” prima di poterle effettivamente fare nostre.

Si impara, ad esempio, che raccontare storie è un atto di potere. Potere di vita e di morte. Raccontare storie quindi come atto dirompente perché significa creare accanto, attorno e sopra ad un libro o romanzo o storia che sia, una comunità ristretta e parziale, autoreferenziale che si autoalimenta e che si sostiene come una setta. In pratica creare una comunità che riconosce se stessa come unica perché le persone che ne fanno parte condividono un’emozione, una sensazione, un dolore, una morte o una rinascita.

Nel corso della lettura saremo accompagnati da vecchi amici e da nuove conoscenze, grandi autori del passato e recenti, da film, citazioni, ricordi, emozioni o giochi di parole di dubbio gusto; una cosa però sappiamo di sicuro che, quando usciremo dalla lettura, saremo uomini e donne diversi, più felici, più consapevoli, meno facilmente abbindolabili perché, nel corso della lettura, avremo assorbito, quasi per osmosi, un po’ del cinismo tipico di Palahniuk.

Se Shakespeare diceva che “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, Palahniuk ci ricorda che siamo anche fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, ma che è bellissimo che le nostre brevi vite abbiano la possibilità di tirare di scherma con questi avversari imbattibili ma leali e formativi.

Tieni presente che” ci insegna l’importanza di vedere la realtà da più punti di vista stimolando il lettore a leggere nuovi testi e nuovi autori; anche quelli che ci sembrano più distanti dalle nostre posizioni. Nella peggiore delle ipotesi, ci rafforzeremo nella nostra convinzione di essere dalla parte giusta del fiume.

Tirando le somme possiamo dire di essere in presenza di un romanzo che non è un romanzo, di una biografia che non è una biografia, di un saggio che non è un saggio perché tutti questi stili sono compressi nel genere letterario di Palahniuk che, fin da suoi esordi, si è sempre divincolato come un pesce per non farsi mai rinchiudere in una gabbia stilistica e mentale.

Ancora una volta Palahniuk ci incuriosisce con una scrittura assolutamente geniale, per poi lasciarci con un desiderio di conclusione che, sappiamo già, andrà deluso.

Libro strano ma, se vi piace lo stile di Palahniuk, assolutamente ibrido e diverso da qualsiasi cosa abbiate mai letto.

Il decoro

Il decoroDavid Leavitt, SEM editore, prima edizione 2020.

Donald Trump è stato appena eletto Presidente degli Stati uniti d’America e la nazione si sta ancora riprendendo dallo shock, quando un gruppo di amici newyorkesi decide di rifugiarsi per qualche giorno in una lussuosa villa del Connecticut, nel tentativo di allontanare dagli occhi la nuova situazione.

Eva Lindquist chiede a sorpresa ai suoi amici progressisti chi di loro avrebbe il coraggio di chiedere a Siri come assassinare il neo presidente Trump.

Stupita dalla codardia dei suoi amici e sempre più angosciata dalla nuova situazione, Eva non si sente più sicura negli Usa e decide di emigrare a Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù.

Qui, un po’ per caso un po’ per rinforzare le sue radici in quella che definisce la sua nuova patria, almeno fino a che ci sarà Trump, Eva acquista un appartamento scontrandosi con le follie della burocrazia italiana.

Nel corso del romanzo Leavitt ci permette di seguire la “fuga” di Eva e la ricostruzione delle sue sicurezze nella nuova location, raccontandoci le sue vecchie e nuove paure.

Parallelamente alla storia di Eva, seguiremo anche le reazioni del gruppo che rimane negli Usa. Vedremo le loro reazioni alla paura e allo sconcerto per la nuova situazione.

Sarà la paura la mano che guiderà queste entità a fare ciò che decideranno di fare? O forse sarà il desiderio di fuga da quel “decoro” che per anni ha confinato le loro azioni?

Li vedremo provare a tradire persone care e ideologie, disconoscere le reazioni alle proprie azioni e tentare di inventare menzogne sempre più elaborate ed evidenti nell’istanza di mettere una distanza tra sé e il proprio operato.

Ma, i nostri protagonisti, saranno davvero in grado di uscire da quei limiti con cui hanno convissuto per tutta la vita, o scapperanno dalla porta per rientrare dalla finestra senza davvero rendersene conto?

Da grande narratore quale è Leavitt ha creato un romanzo in cui analizza il rapporto simbiotico tra desiderio d’amore, di potere e di libertà, e il bisogno di sicurezza e di conservazione che, più o meno albergano sempre nei cuori dei viventi.

Al termine della lettura rimane un dubbio ancora da chiarire. La nuova sicurezza costruita da Eva e dagli altri del gruppo attraverso strade diverse, è una sicurezza reale e matura che possa resistere al fluire del tempo? Ai lettori l’ardua sentenza.

Lo stile letterario è quello preferito dal Leavitt prima maniera. Un fluire senza intralci della trama e del pensiero. I personaggi, pochi ma ben centrati, sono esattamente la rappresentazione di un’élite spocchiosa e alienata dalla società contemporanea che non riuscendo più a capire il mondo che li circonda, fuggono nel passato come Eva o che si rintanano in un mondo di fantasia creato dalla loro mente e dalle loro bugie.

Libro consigliato.

Bianco letale

Bianco letaleRobert Galbraith, editore Salani, prima edizione 2019.

Oggi analizziamo il quarto romanzo della serie con protagonista Cormoran Strike scritto da J. K. Rowling con lo pseudonimo di Robert Galbraith.

Nella primavera 2012 i nostri protagonisti si muovono in una Londra in fervida preparazione dei giochi olimpici quando, totalmente inatteso, negli uffici dell’agenzia investigativa di Strike giunge un ragazzo di nome Billy Knight con evidenti problemi psicotici che vuole denunciare di aver visto l’omicidio di un bambino, nella tenuta dei Chiswell dove viveva con la sua famiglia e dove il padre lavorava.

Ci sarà un fondo di verità in quello che dice Billy o sono soltanto le folli esaltazioni di una persona disturbata?

Parallelamente a questo Strike viene assoldato dal ministro della cultura, Jasper Chiswell, per indagare su qualcuno che lo sta ricattando, minacciando di denunciarlo alla polizia, per una cosa accaduta sei anni prima, se non farà quello che lui gli chiede.

Tutto questo immerso nella salsa melensa e appiccicosa della relazione mai partita e contemporaneamente mai sopita tra Cormoran e la sua socia Robin che proprio come un elastico li allontana e poi li avvicina, si raffredda per poi bruciare improvvisamente come l’inferno.

Come se il loro connubio professionale impedisse lo svilupparsi profondo dei loro sentimenti che i due fanno fatica a gestire per colpa di parole non dette, emozioni nascoste per vergogna, ma anche partner sbagliati di cui è difficile sbarazzarsi. La tensione emotiva tra i due non cala mai per tutta la durata del romanzo palesandosi in scaramucce e battibecchi da teneri innamorati.

Seguiremo i due investigatori nelle loro fatiche per dipanare le due storie, fino ad un finale adrenalinico ed inatteso.

La Rowling /Galbraith si dimostra maestra nella gestione della suspance e ci fa fare un viaggio attraverso tutta Londra raccontando una storia avvincente in circa ottocento pagine. No fatevi scoraggiare dalla ponderosità del libro perché in realtà, l’incalzare degli eventi e il loro ritmo fanno in modo che le pagine vi scappino sotto le dita come percorse da un vento violento. L’intreccio è magistralmente realizzato e di facile lettura. I personaggi sono chiaramente caratterizzati e non si ha mai la sensazione di confonderli tra loro.

In conclusione possiamo dire di essere di fronte ad un romanzo raffinato ed elegante che rimane impresso per tanto tempo nella mente.

Non è necessario leggere i precedenti tre libri per poter seguire questo, ma varrebbe la pena farlo.

Libro consigliato.

Mio fratello rincorre i dinosauri

Mio fratello rincorre i dinosauriMazzariol Giacomo, Einaudi editore, prima pubblicazione 2016.

Quando hai cinque anni e due sorella non vedi l’ora che arrivi un fratellino per pareggiare il conto con loro, e quando mamma e papà ti dicono che presto arriverà effettivamente un fratellino e che sarà speciale, tu ti senti esplodere dalla felicità. Non vedi l’ora che arrivi per poter giocare insieme e fare tutte le cose da fratelli.

Poi arriva ed è prima troppo piccolo per giocare, quindi devi aspettare che cresca. Quando finalmente cresce un po’ capisci che cosa volevano dire i tuoi genitori con quello “speciale”. Nella tua testa “speciale” voleva dire che aveva i superpoteri, nella realtà invece, molto più banalmente ha un cromosoma in più e quindi Sindrome di Down.

Tutto il tuo entusiasmo per questo fratello tanto agognato si trasforma immediatamente in rifiuto. Non lo vuoi attorno, non sopporti la sua presenza, non vuoi farlo conoscere ai tuoi amici perché lui ti mette a disagio, ha degli comportamenti fuori dalle regole, perché lui non sa come ci si comporta, insomma perché lui è lui senza mezzi termini e senza filtri.

Insomma in questo libro trovate la storia di Giovanni, raccontata dal punto di vista del fratello. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso più largo dei suoi occhiali, che ama i dinosauri e il rosso; che va al cinema con una compagna, torna a casa e annuncia: «Mi sono sposato». Giovanni che il tempo sono sempre venti minuti, mai più di venti minuti: se uno va in vacanza per un mese, è stato via venti minuti. Giovanni che sa essere estenuante, logorante, che ogni giorno va in giardino e porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche.

Quando un libro deve raccontare una situazione così complessa e dolorosa deve per forza essere un libro pesante, con una ricercatezza eccessiva delle parole per non essere offensivo nei confronti di nessun tipo di diversità o handicap, e invece, quello di cui vi parlo è uno dei libri più leggeri e leggibili che ho mai incontrato perché sposta il punto focale dalla malattia di Giovanni a Giovanni, dalla malattia alla famiglia che affronta la malattia.

Giovanni è un bambino con una malattia, non è la sua malattia. Eccezionale è vedere come all’interno della famiglia Giovanni non è mai trattato come quello diverso, è trattato semplicemente come Giovanni, come un membro della famiglia che ha delle necessità speciali.

Giacomo ci racconta come ha “affrontato” questo alieno, i suoi dubbi, le sue paure, le sue emozioni, i suoi disagi in un’età in cui tutto quello che si vorrebbe è uniformarsi al gruppo sociale e invece tu non puoi perché solo tu hai un fratello come Giovanni.

Ma poi cresci, maturi e capisci che la diversità è fondamentalmente un vantaggio, e alla fine realizzi che i superpoteri tuo fratello ce li ha davvero, proprio come speravi da bambino.

Siamo davanti ad un libro speciale. Uno dei pochi libri di questi ultimi anni che scardinino davvero i massi dei nostri preconcetti, un libro leggero che non vuole avere grandi pretese se non quella di raccontarti una storia e mentre te la racconta ecco che inizia ad inocularti un po’ di buon senso; ecco che piano piano trasuda nel tuo cervello la verità contenuta nel libro e quando arrivi alla fine sei più saggio e intelligente allo stesso tempo.

La scrittura del testo è molto semplice, non ci sono fronzoli o merletti lessicali, non ci sono voli pindarici. E’ tutto molto trasparente; i personaggi sono tratteggiati così bene che quasi si possono guardare in faccia. So che è stata fatta una trasposizione cinematografica di questo film ma vi prego, leggete il libro perché le emozioni sono più dirette dal libro. Non fatevi scappare questa piccola gemma.

Un libro che non lascia indifferenti, un libro che arricchisce.

Libro consigliato.

Dalla parte di Swann

Dalla parte di SwannMarcel Proust, edito in un miliardo di case editrici e in un miliardo di formati, prima edizione 1913.

Primo degli otto romanzi che compongono l’opera gigantesca di Proust “La ricerca del tempo perduto”, questo romanzo racconta nella prima parte l’infanzia del protagonista Charles Swann, che per qualcuno è l’alter ego di Proust stesso, nel villaggio di Combray. Nella seconda parte invece ci viene raccontato dell’innamoramento di Swann per una giovane e non meglio identificata ragazza di nome Odette. Infine, nella terza ed ultima sezione che compone il romanzo, Proust ci racconta di Gilberte, figlia di Swann e Odette.

Delle tre parti quella che maggiormente mi ha colpito è stata la prima non fosse altro per la presenza di due elementi. Uno degli incipit più banali che siano mai stati concepiti da mente umana “Per molto tempo, sono andato a letto presto” e, secondo, per l’episodio della madeleine.

Le madeleine, per chi non lo sapesse, sono dei tipici e soffici dolci lievitati con una caratteristica forma di conchiglia, tipici della cucina francese.

Nel romanzo l’io narrante ci racconta di come sia rimasto impresso nella sua mente il sapore delle madeleine che era abitudine mangiare la domenica mattina prima della messa a Combray. Il gusto del piccolo pasticcino intinto nel te caldo apre, nella mente del narratore il primo degli esempi di memoria involontaria che caratterizzeranno tutti i libri della Ricerca.

La seconda parte del romanzo, intitolato, “Un amore di Swann” ha un ritmo più rapido ed anche un interesse maggiore visto che finalmente Swann si innamora perdutamente di Odette de Crecy, che conosce ad una serata mondana nel salotto mondano di Madame Verdurin. Odette è una raffinata, esclusiva donna di mondo molto più attenta ai propri interessi che non alle sofferenze inflitte agli altri. E questo lo imparerà bene il povero Swann.

Vedremo Swann correre dietro alla ben introdotta Odette, perdere il senno ed il sonno dietro a questa banderuola che un giorno corrisponde ai suoi sentimenti ed il giorno successivo lo tratta come se si fosse inventato tutto. Questa parte è il racconto esatto di quanto può annullarsi, e rendersi ridicolo un uomo quando è preso dai sentimenti d’amore.

All’inizio della terza parte intitolata “Nomi di Paesi: il nome”, il romanzo cambia ancora diventando una sorta di diario di viaggi immaginari partendo dal Combray che è e resterà per sempre il piccolo scrigno che contiene i ricordi dell’infanzia.

Questo mondo, così chiuso in se stesso e protettivo, si contrappone ai paesi che l’autore desidererebbe visitare, fantasticando a lungo sui loro nomi. Grande attrattiva hanno, per l’autore, due luoghi. Balbec e Venezia.

Anche se questo romanzo è l’incipit di una delle storie più lette ed apprezzate dell’intero mondo, devo dire che non mi è piaciuto, l’ho trovato lento, melenso e appiccicoso come le ragnatele.

Nella prima parte seguire l’infanzia di questo bambino con tutte le sue storie, le sue paure infantili, ed il suo tormentatissimo rapporto con la madre mi ha fatto sbadigliare più di una volta; nella seconda parte, ad un primo momento di piacere quando il ritmo accelera è seguito subito lo scoramento quando, dopo due pagine, si capisce di che pasta è fatta la tanto dolce e bella Odette; e la terza parte l’ho trovata inutile e noiosa. Forse ha un senso come prodromo del secondo volume.

Lo stile attraverso cui Proust ci racconta questa storia è quello che caratterizza buona parte della letteratura francese di fine ottocento. Lunghissimi periodi, lunghissimi pensieri che raccontano di minuzie, di aliti di vento che fanno lentamente dondolare una tenda e quel dondolio apre una porta, riportando alla memoria di quella volta in cui…, facendo entrare qualsiasi tipo di ricordo. La lettura l’ho trovata abbastanza pesante, forse perché la trama è molto leggera e i personaggi sembrano perennemente impegnati nel ballo di un minuetto.

Forse se avessi trovato un motivo  per continuare con il secondo romanzo, il mio giudizio non sarebbe così negativo.

Libro non consigliato.

L’odore dei libri

L’odore dei libriGiancaspro Mauro, edito da Grimaldi & C. Edizioni, prima edizione 2007.

Piccola raccolta di storie legate in qualche modo all’oggetto libro. Si tratta di 16 storie che raccontano l’oggetto libro come oggetto idealizzato.

Ovviamente non posso fare il riassunto di tutte le storie ma per farvi capire di cosa si tratta vi propongo un brevissimo riassunto di un paio di esse. Le due storie che ho scelto per voi sono una l’opposto dell’altra. Nella prima il libro è idolatrato e considerato come una entità viva e vitale, mentre nella seconda è considerato come una cosa inutile.

La prima storia racconta di quello strano paese in cui, senza apparente motivo e all’improvviso, tutti i cittadini sono stati colti dalla voglia irrefrenabile di leggere. Le librerie sono state prese d’assalto, così come le biblioteche pubbliche, da orde di persone che voleva acquistare o noleggiare uno o più libri da leggere.

La libreria presa d’assalto. File interminabili all’ingresso del negozio. E, quando entravano, sembravano cavallette su un campo di grano. Hanno comprato di tutto, hanno chiesto di tutto, hanno ordinato di tutto. I telefoni erano impazziti, ci chiamavano dalle librerie più piccole per avere aiuto, anche loro non riuscivano a far fronte alla richiesta”.

Si abbandona internet così come le televisioni per buttarsi su quel piccolo parallelepipedo di carta e colla che include parole e versi. Le tipografie sono costrette ad assumere lavoratori per poter stampare ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Questa strana voglia di leggere era scoppiata così silenziosamente che i grandi sociologi nazionali ancora brancolavano nel buio cercando di spiegare un evento che non era mai accaduto nel passato e per il quale non avevano modelli di riferimento a cui ispirarsi. Tutti erano un po’ così, incerti.

Durerà questa rinnovata passione per la lettura oppure sarà l’ennesimo fuoco di paglia?

La seconda storia di cui vi parlo per ingolosirvi racconta di quella volta in cui in una non meglio specificata città scoppia una gravissima crisi energetica che mette tutta la popolazione in ginocchio. I potenti della città tranquillizzano la popolazione dicendo che gli studi per la nuova energia pulita sono già in avanzato stato di elaborazione e, propongono un piano di energia provvisorio e temporaneo chiamato “I libri per la vita, dalla letteratura all’energia”.

Questo progetto in pratica prevede di ottenere energia bruciando i libri. E’ un piano ben articolato perché garantisce agli operatori che bruciano i libri che, quando la nuova energia sarà disponibile, loro verranno tutti riconvertiti alla nuova tecnologia.

Ovviamente un progetto governativo così indecente ha smosso tutte le coscienze. Da principio le opposizioni hanno tentato in tutti i modi di fermare questo scempio, ma il governo è andato avanti come un panzer fino alla sua realizzazione.

La popolazione però sembrava essere dalla parte del governo infatti tutte le domeniche portava pacchi e pacchi di libri alle camionette dell’esercito deputate al ritiro dei libri da portare agli inceneritori. D’altronde pensavano, meglio senza libri che senza energia.

Solo pochi sparuti gruppi di solitari “don Chisciotte” ancora combattono sulle piazze che gesti azzardati che purtroppo lasciano la situazione che trovano.

Il libro è ben scritto e decisamente interessante. La divisione dei racconti è perfetta per una lettura che non impegni tanto tempo. Ad esempio un lettore potrebbe leggere una storia ogni sera, prima di addormentarsi.

Siamo di fronte ad uno dei pochi casi in cui l’oggetto libro non è più il mezzo attraverso cui ci viene porta la storia del protagonista, ma è egli stesso il protagonista della sua storia.

Libro semplice, senza particolari velleità ma sincero e di piacevole lettura.

Libro consigliato.

Baci da Polignano

Baci da PolignanoLuca Bianchini, edito da Mondadori, prima edizione 2020.

Dopo sette anni dall’ultima volta, Luca Bianchini torna a Polignano e riprende a raccontarci la storia della famiglia Scagliusi, di Ninella con la sua tribù e della accogliente comunità polignanese che non si fa mai i fatti propri.

Le emozioni e i sentimenti non possono essere i medesimi di sette anni fa, ma queste nuove sensazioni sono altrettanto piacevoli e positive.

Durante il tempo non raccontato sono successe un sacco di cose. Ninella ha una tenera conoscenza con un architetto di Milano molto più giovane di lei, Chiara e Damiano hanno avuto una bambina pestifera che li comanda a bacchetta, sostenuta dalla nonna Scagliusi che la vizia comprandole tutto quello che la bambina possa desiderare.

Infine, quando don Mimì ha scoperto che donna Matilde, la moglie, lo cornifica con Pasqualino il tuttofare di casa, ha raccolto il proprio orgoglio e, con pochi stracci in una valigia, se ne è andato a vivere fuori dal suo palazzo che tutti in paese chiamano “il Petruzzelli”.

Proprio la stessa Matilde che ha lottato per tutta la vita con l’ombra di Ninella dietro le spalle, alla prima occasione ha buttato il marito fuori dalla porta come se fosse uno straccio vecchio per tirarsi in casa un rozzo tuttofare. Ma lo sappiamo tutti che l’amore è cieco!

In questo romanzo Bianchini finalmente può far si che la storia si concentri su quei due “ragazzi” ormai agée che sono Ninella e don Mimì che finalmente potrebbero amarsi apertamente ed alla luce del sole ma, come sempre nella vita, c’è qualcosa o qualcuno che si mette di traverso.

Don Mimì ritorna dunque da Ninella solo per trovarla impegnata in una relazione a distanza con una specie di toy-boy milanese. Viene quindi coinvolto da un amico in una serie di viaggi nelle città europee alla ricerca di situazioni piccanti e particolari che però poco divertono il nostro Mimì e lo lasciano parecchio deluso.

Lui è uno più da cose semplici inoltre ha passato tutta la sua vita ad occuparsi della coltivazione e vendita delle patate e proprio non ci riesce a diventare un viveur ed un tombeur de femme.

E così tra fare la spesa al supermercato o tuffarsi dalla scogliera in ricordo della spensieratezza di quando si era giovani, vediamo i due protagonisti di questo ennesimo racconto sbagliare, perdersi e rendersi conto dell’importanza di una persona solo quando si ha paura di perderla per sempre. E’ in questo momento che bisogna avere il coraggio di tornare indietro.

Lo faranno i due protagonisti oppure lasceranno che le loro vite li portino nuovamente alla deriva l’uno distante dall’altro ma, indissolubilmente legali l’uno all’altro?

Non c’è bisogno che vi parli dei personaggi perché l’arte affabulatoria di Bianchini è caratterizzata sempre dalla grande attenzione a non caricare eccessivamente le descrizioni dei personaggi o del contesto narrativo. Li abbiamo conosciuti due libri fa e oggi siamo ancora qua, seduti a tavola a festeggiare con loro.

Questo romanzo è la chiusura perfetta della storia anche perché si inizia a notare una certa stanchezza nel racconto; si intuisce la mancanza di quella freschezza che abbiamo respirato negli altri romanzi su Polignano.

E’ stato bello ritrovare tutta la banda e fare con loro un ultimo giro di valzer (anche se essendo in Puglia è più facile che fosse una taranta!), assaporare insieme dolci ricordi ma nel corso della lettura di questo romanzo, ci siamo tutti resi conto che siamo ai titoli di coda.

Come in quelle sere d’estate quando il vento increspa la pelle facendoci capire che tra poco tornerà il freddo, ci stringiamo ancora di più intorno al falò immaginato dal buon Luca Bianchini e solleviamo insieme i calici in un ultimo brindisi prima che la vita ci disperda come granelli di sabbia.

Libro consigliato.

Mai all’altezza / Per sole donne

Mai all’altezza e Per sole donneVeronica Pivetti, editi da Mondadori, prima edizione 2017 – 2019.

Cari amici ormai la mia follia non conosce più confini, così nell’intimità del mio lettino ho pensato bene di inventare le recensioni-gemelle. L’ho fatto perché volevo mettere in risalto come due romanzi, scritti dalla stessa mano, possano essere tanto distanti tra loro eppure, avere al proprio interno tante assonanze e similitudini.

L’autrice scrive Mai all’altezza dopo aver passato l’esperienza di un incendio devastante in casa, che le ha praticamente distrutto tutto. I pochi oggetti che si sono salvati dalle fiamme prima e dall’acqua poi, scatenano irresistibili ricordi che stimolano vieppiù il dolore.

Incontreremo Veronica bambina settenne con già il 36 di scarpe, la vedremo svettare lunga e secca sulle teste di tutti i suoi compagni di classe, come un fungo svetta sulle foglie. L’accompagneremo in quel periodo di inadeguatezza che è, di per sé stessa, l’adolescenza circondata da amiche cattive e da personaggi bizzarri.

La vedremo rapportarsi con una sorella ingombrante, adattiva e sempre più aggraziata di lei, più proporzionata, più peperina, più sgamata nella vita. Veronica spesso si sente come il brutto anatroccolo con una vita costellata di piccoli traumi

Eppure, proprio nel momento in cui si potrebbe percorrere la strada verso il baratro eccola estrarre la sua arma segreta. L’ironia e con quella combattere e vincere tutte le proprie negatività e sfighe.

Anche il rogo di casa cambia di significato. Da disgrazia devastante diventa una nuova e grande opportunità; quella di ricominciare da capo a vivere raccontandosi, e raccontandoci, una storia che insegna a sopravvivere ogni giorno, nonostante i gufi siano sempre pronti a gufare.

I personaggi sono tutti raccontati quel tanto che basta perché siano immaginabili. La storia è scorrevole e intrigante da tenere incollati alla pagina. Certo, non siamo di fronte ad un romanzo di formazione, magari ottocentesco, eppure questo libro, tra i sorrisi e le risate cristalline, insegna qualcosa, fosse anche solo ad affrontare la vita con ironia e con un sorriso.

Per sole donne ha un incipit fulminante ma non voglio togliervi la sorpresa.

Per questo terzo libro la Pivetti abbandona il romanzo autobiografico, che tanti successi le hanno portato, per buttarsi sul romanzo pseudo erotico. Perché pseudo? Perché il sesso è il cavallo di Troia con cui l’autrice ci induce ad ascoltare le chiacchiere di cinque amiche che si ritrovano in un ristorante cinese.

Se, durante la lettura, vi parrà di aver già visto un qualcosa di simile, sappiate che avete ragione perché queste amiche ricordano moltissimo le protagoniste di “Sex and the city” con la differenza che le americane si sfondavano di cocktail mentre le più ruspanti italiane si abboffano di cibo cinese.

Queste donne sono accomunate da due cose. Tutte stanno attraversando la crisi dei cinquant’anni, e tutte hanno in piedi una relazione che si regge sullo sputo. Sono molto diverse tra loro. Variano dall’antiquaria con marito più giovane che la tradisce, e madre saggia ma già sulla via dell’arteriosclerosi, alla cinquantenne single incallita però libertina e spregiudicata; dalla zitella un po’ snob e inflessibile alla lesbica seduttrice senza pudore né peli sulla lingua, per finire con la donna sciatta intrappolata in un matrimonio squallido e senza più amore.

Le ascolteremo raccontarsi le loro piccanti avventure come adolescenti alla prima cotta e ci domanderemo come abbiano fatto delle donne intelligenti, acculturate e eleganti a lasciarsi cadere così in basso, perché nonostante ci sia molta ironia, queste signore si abbandonano a commenti da bar di quart’ordine. L’ironia gettata a piene mani non riesce comunque a nascondere il vuoto che caratterizza queste donne.

Le protagoniste di questo romanzo sono tutte donne libere ed emancipate, sfacciate e volgari, che non hanno bisogno di nessuno al loro fianco; eppure, pur condividendo i motivi delle lotte femministe, credo che la rappresentazione fatta dall’autrice sia eccessiva nei modi e nei toni.

Non accusatemi di maschilismo o misoginia perché ho sempre pensato alla donna come pari dell’uomo in ogni aspetto della vita ma quelle rappresentate dalla Pivetti non sono donne, sono degli uomini con la vagina.V

Voglio sperare che le donne siano ancora quegli esseri intelligenti, abili, amorevoli e pieni di tenerezze che sono sempre state. Se così non fosse, se queste donne raccontante dalla Pivetti fossero lo spaccato della nostra società, allora tutti avremmo perso qualcosa di veramente prezioso.