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Riccardino

RiccardinoAndrea CamilleriSellerio Editore, prima edizione 2020.

Nel bel mezzo di una notte agitata il commissario Montalbano viene svegliato dal trillo del telefono. Risponde aspettandosi Catarella ed invece c’è uno sconosciuto che dice di chiamarsi Riccardino che gli da appuntamento al bar Aurora, prima di riappendere la conversazione. Certo che si sia trattato di un errore o di uno scherzo, il commissario si rimette a dormire. Dopo poche ore suona nuovamente il telefono e questa volta è davvero Catarella che gli comunica che hanno trovato un morto. Giunto sul luogo del misfatto scopre che il morto è proprio tale Riccardino, ucciso con un solo colpo di pistola davanti ai tre amici che lo stavano aspettando.

Da un po’ di tempo al commissario manca la voglia di risolvere casi perché non prova più il piacere della caccia solitaria, perché gli anni cominciano a pesare e soprattutto perché non ha più voglia di avere a che fare con i cretini; vorrebbe demandare l’incarico al suo vice ma l’intervento del vescovo di Montelusa e di alcune personalità politiche lo obbligano a rimanere concentrato.

Anche se il caso sembra ovvio e banale, Montalbano sa che nulla è mai come sembra così aguzza i sensi sbirreschi, analizza, connette, inciampa in personaggi pittoreschi ma, nonostante metta in atto tutte le sue solite trappole e il solito impegno, il nostro eroe è confuso, insofferente ed è convinto di non essere più adatto al ruolo. L’autore comprende la difficoltà del suo personaggio così interviene direttamente concordando con lui modifiche alla trama, proponendo soluzioni e addirittura facendo intervenire il Montalbano televisivo.

Ma il commissario letterario è stanco, sfiduciato al punto che… Camilleri trova il modo di liberarsi di lui perché troppo invadente nella sua fantasia.

Per l’ultima avventura del commissario più famoso d’Italia, Camilleri trasforma il suo romanzo in un meta-romanzo, fa parlare il protagonista con l’autore e con il sé stesso del piccolo schermo alla ricerca di quelle motivazioni che hanno sostenuto Montalbano fino a questo momento.

Il Montalbano letterario si sente inferiore al proprio doppio televisivo e all’autore perché entrambi conoscono sempre tutta la storia, mentre lui deve improvvisare, indovinare e mettersi in gioco. Il Montalbano letterario vorrebbe, una volta tanto, poter decidere come vivere la propria vita in piena libertà.

Riccardino è un romanzo diverso da tutti quelli prodotti dalla grande penna di Camilleri, diverso e un po’ deludente perché la trama è abbastanza inconsistente e prevedibile, i colpi di scena scoppiano come petardi bagnati, la mancanza dell’arguzia di Livia e della forza pungolante di Augello sono evidenti; l’unica nota positiva presente è ancora una volta, la folle e scombinata follia di Catarella.

E’ evidente che l’autore si fosse stufato dell’ingombranza di Montalbano ma il modo che ha trovato per liberarsi e liberarci di lui proprio non mi è piaciuto.

Come tutte le altre avventure del commissario anche questa è ben scritto ma sembra un po’ fatto con la ricetta; dieci grammi di questo, otto di quell’altro ecc. ecc.

Il finale però è innovativo. Inaccettabile per me ma sicuramente diverso da qualsiasi altra cosa mai scritta da Camilleri.

Libro non consigliato.

Il decoro

Il decoroDavid Leavitt, SEM editore, prima edizione 2020.

Donald Trump è stato appena eletto Presidente degli Stati uniti d’America e la nazione si sta ancora riprendendo dallo shock, quando un gruppo di amici newyorkesi decide di rifugiarsi per qualche giorno in una lussuosa villa del Connecticut, nel tentativo di allontanare dagli occhi la nuova situazione.

Eva Lindquist chiede a sorpresa ai suoi amici progressisti chi di loro avrebbe il coraggio di chiedere a Siri come assassinare il neo presidente Trump.

Stupita dalla codardia dei suoi amici e sempre più angosciata dalla nuova situazione, Eva non si sente più sicura negli Usa e decide di emigrare a Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù.

Qui, un po’ per caso un po’ per rinforzare le sue radici in quella che definisce la sua nuova patria, almeno fino a che ci sarà Trump, Eva acquista un appartamento scontrandosi con le follie della burocrazia italiana.

Nel corso del romanzo Leavitt ci permette di seguire la “fuga” di Eva e la ricostruzione delle sue sicurezze nella nuova location, raccontandoci le sue vecchie e nuove paure.

Parallelamente alla storia di Eva, seguiremo anche le reazioni del gruppo che rimane negli Usa. Vedremo le loro reazioni alla paura e allo sconcerto per la nuova situazione.

Sarà la paura la mano che guiderà queste entità a fare ciò che decideranno di fare? O forse sarà il desiderio di fuga da quel “decoro” che per anni ha confinato le loro azioni?

Li vedremo provare a tradire persone care e ideologie, disconoscere le reazioni alle proprie azioni e tentare di inventare menzogne sempre più elaborate ed evidenti nell’istanza di mettere una distanza tra sé e il proprio operato.

Ma, i nostri protagonisti, saranno davvero in grado di uscire da quei limiti con cui hanno convissuto per tutta la vita, o scapperanno dalla porta per rientrare dalla finestra senza davvero rendersene conto?

Da grande narratore quale è Leavitt ha creato un romanzo in cui analizza il rapporto simbiotico tra desiderio d’amore, di potere e di libertà, e il bisogno di sicurezza e di conservazione che, più o meno albergano sempre nei cuori dei viventi.

Al termine della lettura rimane un dubbio ancora da chiarire. La nuova sicurezza costruita da Eva e dagli altri del gruppo attraverso strade diverse, è una sicurezza reale e matura che possa resistere al fluire del tempo? Ai lettori l’ardua sentenza.

Lo stile letterario è quello preferito dal Leavitt prima maniera. Un fluire senza intralci della trama e del pensiero. I personaggi, pochi ma ben centrati, sono esattamente la rappresentazione di un’élite spocchiosa e alienata dalla società contemporanea che non riuscendo più a capire il mondo che li circonda, fuggono nel passato come Eva o che si rintanano in un mondo di fantasia creato dalla loro mente e dalle loro bugie.

Libro consigliato.

Fight Club

Fight Club di Chuck Palahniuk, edito da Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione 1996.

Scommetto 10 caffè che non vi siete ancora imbattuti in un libro così strano. Attenzione: ho detto strano non brutto. Anzi! Fight Club è uno dei libri più interessanti e ben scritti non solo di Palahniuk o del suo genere ma dell’intera letteratura americana dalla fine del millennio fino ai giorni nostri.

Siccome non è buona norma mettere il carro davanti ai buoi è meglio andare per ordine, cominciando con un brevissimo riassunto.

Il protagonista di questo romanzo non ha un nome perché l’autore ha deciso di non assegnargliene uno, forse perché l’anonimato permette a noi di riconoscerci più facilmente in lui. E’ un impiegato che vive in una bella casa con arredamento moderno molto ricercato e molto costoso. E’ affetto da una gravissima forma di insonnia che ne sconvolge la vita e lo porta a ricercare le peggiori esperienze per affaticarsi e trovare un po’ sonno. L’unica cosa che sembra funzionare contro la sua insonnia è partecipare ai gruppi di auto aiuto per i malati di cancro.

La sua malattia è talmente invalidane che nel lungo periodo sarà la causa per cui perderà il lavoro dopo aver dato di matto con il suo capo.

Oltre all’insonnia il nostro protagonista soffre anche per una infinita sfiducia nel genere umano che lo porta sempre più giù nella sua spirale depressiva. Tutto fino all’incontro casuale con Tyrel Durden un eccentrico uomo che fabbrica saponette (e scoprirete partendo da cosa), che diventerà il suo guru oltre che il suo migliore amico. Ma non solo. Lentamente, proprio come fa un tumore, Tyrel si impossesserà di tutta la vita del nostro protagonista senza nome. Questi non sarà più in grado di fare alcunché di propria volontà. Anche la sua capacità di giudizio sarà completamente delegata a Tyrel.

Per cercare di aiutare tutti quegli uomini che, come il nostro protagonista, hanno problemi di svariati generi, ma connessi con la mascolinità, i due fondano il Fight Club. Una specie di associazione segreta in cui questi uomini si sfidano ad incontri di boxe molto rudimentale, senza protezioni, senza regole e soprattutto nella più assoluta segretezza con l’intento di ritrovare dentro di sé il maschio vero che la società contemporanea vuole sempre più delicato ed androgino (lamentando poi la morte della mascolinità).

Fanno le cose seriamente i due al punto che definiscono delle regole. Vi riporto le prime tre affinché possiate farvi un’idea:

“La prima regola del fight club è che non si parla del fight club.

La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club.

La terza regola del fight club, quando qualcuno dice basta o non reagisce più, anche se sta solo facendo finta, il combattimento è finito.”

L’idea ha talmente successo che i due saranno costretti ad aprire più “succursali” (solitamente nei bar più infimi dopo l’ora di chiusura per non dare nell’occhio). Proporzionale al successo dei vari Fight Club è la loro discesa negli inferi. Non sarà più sufficiente incontrarsi e menarsi a mani nude per ripristinare l’ego maschile ma, i due costruiranno via via, una organizzazione sempre più complessa, sempre più illegale, sempre legata alla follia di Tyrel.

Ma chi è davvero Tyrel? Lo scopriremo con l’avanzare del romanzo.

Siamo di fronte ad un romanzo talmente particolare che anche il giudizio dicotomico “Mi piace / non mi piace” viene momentaneamente sospeso, davanti all’incredulità di quello che si è appena terminato di leggere. E’ quasi impossibile includere questo romanzo in uno dei generi soliti. E’ probabilmente qualcosa che fa classe a se stante.

Certamente Tyrel Durden è un nuovo rivoluzionario che si è dato la missione di distruggere il capitalismo e il consumismo dal loro interno, e che vuole combattere il vuoto pneumatico che, la società contemporanea crea nell’amino delle persone.

Grande importanza in questo romanzo hanno le ripetizioni. Tyrel ripete sincopaticamente e ossessivamente le parole, i concetti alfine che formino un’immagine precisa nella nostra mente, affascinando e trasmettendo al lettore, un senso di smarrimento che è quello che provano i frequentatori del Fight Club quando sono immersi nella società.

Palahniuk sventola la sua bandiera contro la società civile moderna, l’omologazione sfrenata, la pubblicità ossessiva che ci serve modelli difficilmente perseguibili e che obbliga la massa in recinti fatti di menzogne. Dal suo acido giudizio non si salva nemmeno quella ideologia sovversiva e un po’ radical-chic tipica del nostro tempo.

Nonostante lo stile sia frammentario la lettura risulta comunque scorrevole e fluida. Opera indubbiamente originale nei contenuti e nel modo di raccontarli, ha nella figura del flashback il suo centro di rotazione, da cui parte e a cui sempre ritorna.

Romanzo cruento, violento, volgare, sporco, inquietante e per alcuni versi apocalittico. Non si può negare però che abbia anche una qual certa vena comica. Siamo sicuramente di fronte ad un libro molto originale e, a suo modo, paradossale: un romanzo che fa sobbalzare sulla poltrona e che non lascia indifferenti. O si ama, o si odia.

Libro molto consigliato.

A volte ritorno

A volte ritorno di John Niven, edito da Einaudi, prima edizione 2012.

Prima di cominciare l’analisi di questo romanzo divertente c’è da fare un distinguo. Se siete bigotti e avete l’ironia di un blocco di ghisa, allora chiudete pure questa recensione e tenetevi ben lontani da questo romanzo.

Dio decide di prendersi una vacanza, diremmo anche meritata, di una settimana. Sistema tutte le sue cose, lascia le incombenze a chi di dovere, guarda sulla terra e si compiace. C’è in corso il Rinascimento. Dio è felice.

Quando torna dalle ferie vede che le facce di tutti sono parecchio preoccupate e gli sguardi sono spesso sfuggenti ma non afferra subito la situazione; forse è ancora un po’ stonato dalle ferie. Soltanto quando butta un’occhio alla terra capisce e inorridisce. Dio è incazzato.

Sono passati circa cinquecento anni sulla terra e la situazione che vede è quella attuale. L’uomo si disinteressa dell’uomo, del pianeta, pensa solo ai soldi, la società è ovunque corrotta, piena di vizi, praticamente va a rotoli. Gli uomini sono gretti, senza slanci morali e l’arte è relegata ai confini della galassia. Dio è imbufalito, ma che dico, è molto incazzato. Il volto rosso vermiglio, i pugni stretti, gli occhi sono una fessura e la vena sul collo pulsa da paura.

Gli partono due “bestemmioni” così giganteschi che tutto il paradiso ammutolisce improvvisamente, i cori degli angeli sbagliano una nota dopo millenni e l’eco dell’urlo di Dio si propaga per tutto il paradiso facendo tremare le pareti, le sedie dei santi e dei beati, scompiglia il purgatorio come una tempesta e si schianta contro la volta dell’inferno facendola incrinare.

Passato però il primo momento di rabbia, Dio si mette a pensare a come può aiutare i suoi amatissimi umani e, dopo averci riflettuto un po’ e sentito anche il parere del suo entuorage, dei suoi consiglieri, decide che l’unica soluzione possibile sia inviare nuovamente Gesù sulla terra per ricordare a tutti di “fare i bravi”.

Gesù quindi si ritrova nuovamente tra gli uomini solo che questa volta è in una società che ha dimenticato completamente i suoi comandamenti, che attribuisce maggior valore ai beni materiali che al proprio essere uomo, che appesantisce la propria anima di cose materiali invece di aiutarla a librarsi libera e leggera nel cielo.

Oh, però adesso non pensate che Gesù sia uno pesante da sopportare, anzi è molto “fricchettone”; come l’altra volta si circonda di buone amicizie e finisce per partecipare ad un talent show dove canta con la sua chitarra. Canta, ovviamente, il messaggio di suo padre. “Fate i bravi”.

Riuscirà il nostro eroe a vincere il concorso e soprattutto a trasmettere il suo messaggio?

Ci troviamo al cospetto di un romanzo diverso da tutto quello che si sia mai visto. Ironico, irriverente e decisamente sopra le righe. In questo romanzo J. Niven racconta in modo più che realistico la società contemporanea e i suoi innumerevoli peccati.

Niven descrive in modo diretto ma al contempo dissacrante le tante assurdità umane ma anche il rapporto con la chiesa, i tabù, gli errori commessi dall’umanità nel passato ma anche quelli che ancora commettiamo.

Il linguaggio usato in questo particolare racconto è fresco, giovane, dissacrante e moderno. Questo linguaggio però è davvero calzante perché richiama moltissimo il linguaggio usato nelle nostre strade, dai nostri ragazzi, sui social e in televisione.

A volte ritorno” è un romanzo in cui, tra una canna ed una esibizione televisiva, ci viene ricordata la nostra follia umana, quella che sta distruggendo il nostro stesso mondo, avvelenando i nostri mari, estinguendo i bellissimi animali che ci circondano ma ci ricorda anche il valore dell’amicizia e dell’amore incondizionato.

Il linguaggio di Niven è fresco, giovane, senza schemi mentali; il libro è divertente e di facile lettura. I personaggi sono perfettamente raccontati ed è bello vedere come l’autore si sia inventato le personalità di Gesù e quella di un Dio decisamente sopra le righe o almeno al di sopra di quella rigidità che la Chiesa ci ha sempre fatto credere fino ad oggi.

Tirando le somme questo romanzo di Niven ha molte cose positive iniziando da una trama simpatica e avvincente, seguita poi da personaggi divertenti (Dio frichettone su tutti), per concludere con un messaggio di salvezza semplice e che ci viene ricordato senza particolari pensantezze, in fondo quanto può essere difficile da ricordare “Fate i bravi”.

Libro consigliato.

Una stagione selvaggia

Una stagione selvaggia di Joe R. Lansdale, edizione Einaudi, prima edizione 1990.

Questo è il romanzo con cui facciamo la conoscenza della strana coppia formata da Hap & Leonard, i due detective protagonisti della fortunata serie creata da Joe Lansdale.

Hap, bianco, maschio, eterosessuale che ha rinunciato da tempo ai propri sogni di giovane insurrezionalista che deve salvare il mondo, e la cui unica aspirazione ora è solo quella di una vita tranquilla, punteggiata dalle chiacchiere dell’amico e compagno di avventure Leonard.

Leonard invece è grosso maschio pieno di muscolosi, nero, cattivo, che pratica arti marziali, parla sporco, e senza peli sulla lingua, omosessuale in piena attività.

Nonostante la vita assomigli a quella che hanno scelto, poco lavoro e tanta serenità, Hap non ha rinunciato al suo sogno di fare la rivoluzione e l’arrivo della sua bionda ex moglie, Trudy risveglia gli antichi fuochi. Basta raccontargli della possibilità di recuperare mezzo milione di dollari, frutto di una rapina in banca compiuta anni fa che giace sul fondo della palude.

Anche se non completamente convinti il duo accetta l’incarico senza pensare che quei soldi non li stanno cercando soltanto loro e che molti soggetti ci hanno messo gli occhi sopra. In maniera un po’ avventata il trio si mette ad organizzare il recupero che non sarà assolutamente semplice in quanto non soltanto non sanno esattamente dove si trovano i soldi, ma sicuramente l’acqua della palude, marcescente e nauseabonda, non faciliterà il compito.

La storia è interessante, originale e talmente assurda da essere quasi incredibile. I personaggi sono molto originali, curiosi e ben caratterizzati. I due protagonisti sono così diversi tra loro, ricchi di unicità, che non si può non stare dalla loro parte. Trudy è la classica bella donna sfiorita nel tempo che si affida ai pensiero dei soldi per trovare nuovamente la felicità. Ovviamente è pure un po’ stronza.

Anche i personaggi secondari sono chiaramente ben definiti; tra loro troviamo Paco, un uomo con una storia che, quando ce la racconterà, ci farà accapponare la pelle dai brividi,

I dialoghi sono qualcosa che non ci si aspetta da un romanzo del genere; Non solo sono ben scritti, ma addirittura spassosi, ricchi di ironia ed autoironia. L’interazione tra i due protagonisti che chiacchierano, ricorda in qualche modo lo scambio di battute tra i comici del cabaret. Ognuno cerca sempre di avere la risata più fragorosa con soluzioni originali rarissime in questo genere di scritto.

La lettura del romanzo è davvero molto piacevole anche se alla fine ci lascia con ancora un po’ di fame.

Siamo forse di fronte al romanzo perfetto? No, certamente no però, a tutt’oggi è uno degli scritti che maggiormente ha stimolato la mia curiosità arrivando al punto da far montare dentro di me la giusta ansia di giungere al finale.

Ecco, due parole è necessario “sprecarle” anche per il finale. Siamo davanti ad un finale molto particolare infatti, se per tutto il romanzo l’autore ci ha coccolato con poche situazioni anomale o spaventose, ecco che con l’arrivo del finale apre le porte ad una serie di situazioni scioccanti ed improvvise che, quasi come una serie di badilate sui denti, ci obbligano ad ingoiare svariati bocconi di acqua melmosa mista a fango putrescente.

Ma non poteva esistere finale migliore.

Non ci resta che leggere i volumi successivi delle avventure di questo dinamico duo.

Libro leggero e consigliato.

I due hotel Francfort

I due hotel Francfort di David Leavitt edito da Mondadori, prima edizione 2013.

L’ultimo romanzo in ordine di pubblicazione di Leavitt è ambientato nella Lisbona del giugno 1940. Si tratta di una città che trabocca di persone che cercano di scappare dall’imminente guerra che si sente rumoreggiare alle frontiere. Le persone che ivi si trovano sono talmente numerose che tutti gli alberghi sono pieni all’inverosimile, al punto che sono affittate anche le poltrone delle hall e gli scantinati. E’ una situazione insostenibile, le persone si spostano in gruppo quasi fossero formiche alla ricerca di cibo.

All’interno di questo romanzo la topografia della città è così importante che una mappa di Lisbona è pubblicata all’inizio della storia per facilitare il lettore nel suo peregrinare.

In tutto questo carnaio di lusitani e stranieri, l’attenzione dell’autore si concentra su due coppie. Julia e Pete Winters e Edward e Iris Freleng.

Julia e Pete Winters sono cittadini americani molto per bene e residenti a Parigi, un po’ snob e molto annoiati mentre Edward e Iris sono spregiudicati giramondo, autori di gialli di successo con lo pseudonimo di Xavier Legrand. Le due coppie vivono pigramente la loro vita in attesa che giunga la nave SS. Manhattanche li deve riportare in America; durante una passeggiata in centro i quattro si conoscono per colpa di un paio di occhiali. Sembra quasi che le due coppie siano state scelte dal destino, infatti, una delle esse risiede all’Hotel Francfort, mentre l’altra ha trovato da dormire al Francfort Hotel che incredibilmente risultano, essere due strutture differenti in due indirizzi diversi.

Tra i quattro si sviluppa una strana frequentazione che via via si trasforma in una blanda amicizia. I due uomini iniziano a girare la regione come due adolescenti mentre le due signore si ritrovano per passeggiate in città o per bere il tea in uno degli hotel e si scambiano segreti.

Il rapporto tra Edward e Pete si fa sempre più profondo ed il legame che stringono li circonda e li avvolge e ancora gira loro intorno come un gorgo che si stringe sempre più; proprio come due adolescenti si ritroveranno alla fine l’uno tra le braccia dell’altro e, anziché stupirsi (come sarebbe lecito aspettarsi vista l’epoca in cui il libro è ambientato) i due decidono di provare a portare avanti la loro storia parallela e clandestina ma, come spesso accade nei romanzi di Leavitt, il loro amore si spegnerà lentamente prima dell’arrivo della fantomatica nave.

Delle due donne, Iris sicuramente sa di quanto accade ai due uomini mentre Julia preferisce continuare il suo tran tran quotidiano che nemmeno l’avvento della guerra è riuscito a sconvolgere.

Tutti i personaggi che popolano questa storia, siano essi principali o secondari, si muovono freneticamente come se fossero attori sul palco di un teatro; è tutto un entrare ed uscire di scena; la porta girevole dei due hotel ruota sempre molto rapida e non sempre ci permette di vedere bene i personaggi che riflette.

Centro nevralgico di questo romanzo, che si rifà al modernismo americano, non è il ripercorrere la storia dei quattro personaggi, bensì il prendere atto che non sempre è possibile trovare un vero significato a ogni persona e a ogni luogo.

Ancora una volta il buon Leavitt traccia una storia che sembra destinata a grandi sconvolgimenti e, nel suo incedere, la trasforma in una storia minima in cui i protagonisti scivolano in secondo piano mentre i sentimenti, le emozioni, le ansietà salgono al proscenio per portare a termine una storia che non avremmo mai sperato di conoscere.

Le abilità letterarie di Leavitt non sono certo io a doverle scoprire. Il suo stile è fresco, attraente e i suoi personaggi sono sempre raccontati quasi di tre quarti, come se un po’ se ne stessero nell’ombra per una qual certa forma di reticenza.

Prima di calare il sipario su questa che appare come una pièce teatrale, l’ultima notazione è su una frase del libro che ho trovato molto interessante perché rappresenta un po’ la summa del modo di scrivere di Leavitt: “… ma a volte, tutto quello che riuscivi ad afferrare era il riflesso di un riflesso in una porta girevole”.

Libro molto consigliato.

Io sono il messaggero

Io sono il messaggero di Markus Zusak, scritto nel 2002, vincitore del Children’s Book Council of Australia nel 2003. È stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2006 da Mondadori con il titolo La quinta carta, per poi essere tradotto nuovamente con il titolo Io sono il messaggeronel 2015, edito da Frassinelli.

Il romanzo racconta l’avventura vissuta da Ed Kennedy, diciannovenne tipico abitante dei sobborghi cittadini. Tassista, nonostante la sua giovane età, ama leggere e giocare a carte insieme ai sue tre migliori amici. Molto innamorato di Audrey che però non vuole legarsi per non rischiare di soffrire come è già successo in passato.

Durante una rapina in banca, fatta da uno che sembra proprio un principiante, Ed ferma il rapinatore quasi senza rendersene conto. Grazie alla fama dovuta a questo accadimento Ed ritrova ad essere scelto come destinatario per delle missioni che sono scritte su carte da gioco. La prima carta che gli viene consegnata è l’asso di quadri. Sulla carta Ed trova tre indirizzi e un orario in cui fare la sua visita. Ed capisce che dovrà fare qualcosa per cambiare la vita di alcune persone. Terminata questa prima missione la ricezione delle carte da gioco si arricchisce di qualche piccolo enigma per comprendere dove fare l’intervento successivo. Dopo l’asso di quadri Ed riceverà in ordine quello di fiori, poi picce ed infine quello di cuori.

Se all’inizio dell’avventura era solo la curiosità a spingere Ed, man mano che si avanza nella lettura si capisce che Ed inizia davvero a credere nel suo ruolo di messaggero anche se non ha la minima idea di chi ci sia dietro a tutto questo. Lo vedremo coinvolto nel tentativo di fermare la violenza domestica di un uomo verso la propria donna; sarà un ottimo compagno negli ultimi giorni di una donna ultraottantenne rimasta sola; porterà autostima ad una ragazzina.

Ogni volta che termina le missioni indicate su una carta, gliene viene consegnata una nuova. Con l’avvento dell’asso di cuore il gioco cambia un po’. Questa volta, destinatari delle sue “buone azioni” non sono più degli emeriti sconosciuti bensì i suoi più cari amici. Ritchie, Marvin e Audrey. Come nei casi precedenti il messaggio non è semplice ma, questa volta c’è la componente emotiva della conoscenza e amicizia a complicare le cose.

Chiaramente la chiave di volta di tutto il libro è l’ultima missione; quella con Audrey perché in questo caso c’è la componente dell’amore. I due si piacciono da molto tempo e non si sono mai concessi di amarsi perché le paure di soffrire li hanno sempre consumati. Ed e Audrey sono migliori amici da moltissimi anni e finalmente i due si diranno le cose che conservano nel cuore da sempre e faranno evolvere la loro amicizia in qualcosa di più profondo.

Diversamente da quanto ci si aspetta l’asso di cuori non sarà l’ultima carta che Ed riceverà, infatti ci sarà un’ultima consegna su cui il ragazzo troverà indicato il proprio indirizzo. “Che cosa vuol dire tutto questo?” si chiede il ragazzo – sarà compito del lettore scoprirlo insieme all’identità del vero mandante.

Dalla descrizione può sembrare un libro ricco di tanta tensione ed invece l’atteggiamento vagamente menefreghista di Ed riesce bene a smorzare questa suspance. Il lettore è catturato dalla curiosità di scoprire come evolve la storia eppure deve seguire Ed con la sua indolenza, con la sua flemma che però da tempo al lettore di riflettere su quanto sta accadendo e di farsi un’idea propria di tutta la situazione.

La scrittura è semplice ed efficace, ogni attore è disegnato dall’autore in maniera non troppo approfondita ma sufficiente per farci conoscere e comprendere le sue scelte ed i suoi comportamenti. Ed ci sta subito simpatico proprio perché in quasi tutte le famiglie c’è un personaggio come lui, il suo rapporto con gli amici ci ricorda le nostre amicizie di gioventù. Insomma è un libro che ci conquista con la sua semplicità. Non ha orpelli inutili ed anche la scrittura è semplice e diretta. Proprio per questa sua schiettezza è un libro che segna il lettore nel profondo e insegna che la vita è sempre e comunque una lotta.

Libro consigliato.

Rabbia. Una biografia orale di Buster Casey

Rabbia. Una biografia orale di Buster Casey di Chuck Palahniuk, edito da Mondadori – prima edizione 2007.

Chi è davvero Buster Casey, detto “Rant”? Questa è la domanda che percorre, come un filo di Arianna, tutto il romanzo di Palahniuk.

Il protagonista è un figlio della peggiore e più noiosa provincia americana; tendente al sociopatico; allevato in una famiglia la cui storia è talmente particolare da rasentare l’assurdo.

Fin da ragazzino il massimo divertimento per Rant è farsi mordere da ragni, insetti e serpenti vari fino a sviluppare una immunità a qualsiasi tipo di veleno.

Siccome nella vita non bisogna farsi mancare nulla il buon Rant scoprirà nel corso della storia di essere un portatore del virus della rabbia.

Non si sa bene se grazie alla rabbia o se per un dono naturale, il nostro protagonista è dotato di un olfatto sviluppatissimo al punto da riuscire a indovinare moltissimi particolari delle persone semplicemente “annusandole”.

Grazie alle confidenze di un viandante, Rant entra in possesso di una impressionante quantità di monete antiche, la cui vendita permetterà al giovane di abbandonare la squallida provincia americana per trasferirsi nella grande metropoli dove viene immediatamente arruolato nelle file dei “notturni”. (La città è talmente sovrappopolata che si è deciso di dividerla in due: i diurni e i notturni. Ciascun turno non può circolare nelle ore riservate all’altro, e per evitare eventuali commistioni, le autorità impongono un tassativo coprifuoco).

Siccome, prima di andare via da un luogo è cosa buona lasciare un ricordo di sé, ecco che il nostra Rant si adopera per infettare il maggior numero possibile di partner sessuali, amici e compagni di scuola.

Rant durante le sue peregrinazioni nella città incontra loschi figuri come lui, che si dedicano a uno sport automobilistico chiamato “party crashing”, che consiste nell’organizzare incidenti automobilistici a tema per le strade della città. Attraverso queste vere e proprie battute di caccia vengono azzerate le differenze sociali e ribaltati gli stereotipi della società contemporanea. Alternativo al party crashing ma, alla lunga non altrettanto divertente è l’isolamento causato da un nuovo modo di fare spettacolo; si tratta di eventi, manifestazioni, film, emozioni e sensazioni trasmessi direttamente nella mente delle persone attraverso una “porta” che viene installata dietro al collo.

Grazie alla rabbia inoculata da Rant i party-crasher scopriranno che acquisiscono una straordinaria capacità innovativa e molto intrigante; Quella di viaggiare nel tempo immediatamente prima di fare un incidente.

Il romanzo è una narrazione attraverso i ricordi di amici, parenti, party crasher, ammiratori e persone incontrate. Siamo di fronte ad una pletora di voci narranti che si accapigliano per parlare, per raccontare i vari punti di vista.

Sembra quasi di vedere un film sullo schermo del cinema in cui attraverso un montaggio frenetico e psichedelico, i vari attori ci raccontano la storia di questo untore del loro tempo.

I cambi di voce sono talmente rapidi che spesso si ha il dubbio su chi stia parlando. Il montaggio delle voci è talmente fatto ad arte che talvolta una dichiarazione positiva è immediatamente seguita da una totalmente negativa; questo dà al racconto un’energia e un ritmo quasi forsennato.

In questo romanzo Chuck Palahniuk si destreggia con toni satirici per esprimere il suo nichilismo esistenzialista.

Non si tratta certamente di uno scrittore per tutte le stagioni e per tutte le bocche. Le sue opere (decine tra romanzi e racconti) sono pervasi da una elevata critica sociale. Però, se si concede fiducia a questo visionario, il viaggio in cui ci accompagna è uno dei più strani, divertenti e allucinanti.

Giunti al termine di questo romanzo, solo due potranno essere le vostre reazioni. O lo amerete alla follia o lo detesterete nel modo più assoluto.

Credo che sia propria questo lo scopo del modo di scrivere dell’autore. Il non volere che il lettore rimanga indifferente ma che prenda posizione.

Un autore a tinte forti che negli anni novanta avrebbe incontrato il gusto degli amanti del genere “pulp”.

Libro consigliato a chi ha voglia di provare cose nuove ed un po’ tanto folli.

Il processo

Il processo di Franz Kafka, edito in una infinità di edizioni, prima edizione 1925.

Da dove comincio? Dal brevissimo riassunto.

Joseph K. sta più o meno serenamente vivendo la propria vita di procuratore in un istituto bancario quando, improvviso come un fulmine a ciel sereno si ritroverà nelle grinfie della giustizia che pretende di processarlo.

Il racconto ha una durata temporale di un anno esatto infatti inizia la mattina del trentesimo compleanno di K con l’arrivo nella camera della pensione dove questi alloggia, di due auto-identificatisi come agenti di polizia che gli notificano che intendono arrestarlo con un’accusa che non verrà mai esplicitata chiaramente; Dopo una lunga discussione decidono di lasciarlo in libertà provvisoria.

Questa libertà e l’assoluta certezza che si tratti di un errore giudiziario portano K. ad impegnarsi tempestivamente per la risoluzione immediata di questa assurda situazione.

Il suo iniziale tentativo di affrontare la macchina processuale con logica e pragmatismo si scontra con l’assurdità di un sistema giudiziario (ma è davvero questo?) che si avvita su se stesso non permettendo all’imputato né di conoscere la propria imputazione, né tanto meno di poter organizzare una difesa sia in solitaria che con l’aiuto di avvocati blasonati.

Vista l’inerzia che caratterizza l’azione dell’avvocato che dovrebbe patrocinarlo, K. decide di togliergli il mandato rinunciando di fatto alla propria difesa, perché un uomo solo non può combattere contro un sistema così complesso e volutamente incomprensibile quale è quello contro cui si trova a lottare il nostro protagonista.

Proprio questa rinuncia alla difesa sarà l’elemento di abbrivio del finale. Senza alcun preavviso K verrà infatti prelevato, la mattina del suo trentunesimo compleanno, da due agenti del tribunale e portato in una cava dove…

E’ evidente che l’oggetto del romanzo sia la passiva accettazione della impossibilità di combattere contro la giustizia e i suoi metodi spesso incomprensibili.

Lo stile narrativo è spesso spersonalizzato e angosciante ma proprio questo stile rende la narrazione simile ad un incubo in cui, il lettore è catapultato e in cui si dibatte insieme al protagonista senza mai riuscire a trovare il bandolo della matassa.

Si tratta comunque di un romanzo incompiuto, pubblicato dopo la morte dell’autore e contro il suo volere che aveva chiesto al suo curatore di “darlo alle fiamme”.

Lungi dal mettere in discussione l’autore o quello che voleva essere il suo intento, spesso nel corso della lettura, mi sono sentito annoiato (forse perché la storia è abbastanza miserrima) e arrivare alla fine di questo romanzo è stato quasi una dimostrazione di volontà.

A mio modestissimo parere si salva solo l’incipit “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”.

Libro non consigliato!

Senza vergogna

Senza Vergogna di Ursula Rutter Barzaghi edito da Tea prima edizione 1998.

Il sottotitolo di questo libro è “Una storia di coraggio contro l’AIDS”.

Enrico è malato di Aids e questa la sua storia raccontata dalla voce di una madre che non si arrende mai, che a tutti i costi vuole, per suo figlio, una vita piena di rispetto.

Riporto per intero il quarto di copertina perchè lo trovo bellissimo e chiarificante.<<“Ho potuto seguire con un solo occhio l’evolversi della malattia di mio figlio, perchè con l’altro ho dovuto vigilare che nessuno gli facesse più male dello stesso virus. Come una tigre mi sono battuta per sconfiggere ciò che poteva essergli nemico sia in me che negli altri, perchè il mio cucciolo voleva sorridere fino all’ultimo”. La storia di una madre che scopra la sieropositività del figlio e con lui affronta la paura, la sofferenza e il dolore ma anche l’isolamento e la vergogna. Madre e figlio insieme riescono, con il loro amore e la loro forza a vincere l’insicurezza dei famigliari, l’ostilità degli altri e l’indifferenza del mondo, trasformando una tragedia in una storia di solidarietà e amore.>>.

Credo sia inutile dilungarmi sul riassunto perchè quanto appena scritto è semplicemente perfetto. Seguiremo Ursula nella sua battaglia ed Enrico nel suo lento avvicinamento ad un finale che si intuisce dalle prime pagine.

Il libro sarebbe un normalissimo racconto di vita vera se non avesse una particolarità. E’ una storia italiana e in questo panorama affollato di libri che trattano lo stesso argomento ma sono tutti esteri, questa è una grande novità.

E’ uno scritto che cattura fin dalle prime righe perchè l’autrice non perde tempo in lunghi preamboli e ci introduce immediatamente nella vita di questo figlio amatissimo e fortissimo, nella sua schiettezza e nella sua faticosa lotta.

Ovviamente, proprio come ci si aspetta, in queste pagine troviamo momenti di divertimento, momenti di riflessione, di dolore ma il tutto è sempre condito dal desiderio di Ursula di dare al figlio la vita migliore possibile, ma anche dalla voglia di Enrico di non mollare mai, di continuare a lottare perchè la sua malattia esca da quel recesso sporco e puzzolente in cui è stato rinchiuso da anni di informazione terroristica.

In alcuni passaggi di questo bel romanzo mi è venuta in mente una scena del film Philadelphia quando i due avvocati sono seduti al tavolo della biblioteca e Andy legge la sentenza su cui si baserà tutta la sua accusa nei confronti dei suoi ex datori di lavoro: “L’aids è considerato un handicap ai sensi di legge non solo per le limitazioni fisiche che impone, ma anche per il pregiudizio che circonda l’aids, che esige la morte sociale che precede, e a volte accelera, la morte fisica. Questa è l’essenza della discriminazione: il formulare opinioni su altri non basate sui loro meriti individuali, ma piuttosto sulla loro appartenenza ad un gruppo con presunte caratteristiche”.

Ecco, questo è quanto si trova in questo libro-verità che sicuramente è ben scritto (anche se da un testo come questo, l’ultima cosa che si nota è il modo in cui è stato scritto).

Un libro che fa fare l’altalena al lettore; si passa dalle lacrime al sorriso e poi al riso pieno perchè, nonostante racconti una storia di sofferenza, i protagonisti di questa vicenda non perdono mai la capacità di sorridere e quella di amarsi incondizionatamente come, forse, dovremmo imparare a fare tutti. Fregandocene delle etichette.

Libro consigliato ma attenzione questo è un libro che vi cambia dentro.