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I due hotel Francfort

I due hotel Francfort di David Leavitt edito da Mondadori, prima edizione 2013.

L’ultimo romanzo in ordine di pubblicazione di Leavitt è ambientato nella Lisbona del giugno 1940. Si tratta di una città che trabocca di persone che cercano di scappare dall’imminente guerra che si sente rumoreggiare alle frontiere. Le persone che ivi si trovano sono talmente numerose che tutti gli alberghi sono pieni all’inverosimile, al punto che sono affittate anche le poltrone delle hall e gli scantinati. E’ una situazione insostenibile, le persone si spostano in gruppo quasi fossero formiche alla ricerca di cibo.

All’interno di questo romanzo la topografia della città è così importante che una mappa di Lisbona è pubblicata all’inizio della storia per facilitare il lettore nel suo peregrinare.

In tutto questo carnaio di lusitani e stranieri, l’attenzione dell’autore si concentra su due coppie. Julia e Pete Winters e Edward e Iris Freleng.

Julia e Pete Winters sono cittadini americani molto per bene e residenti a Parigi, un po’ snob e molto annoiati mentre Edward e Iris sono spregiudicati giramondo, autori di gialli di successo con lo pseudonimo di Xavier Legrand. Le due coppie vivono pigramente la loro vita in attesa che giunga la nave SS. Manhattanche li deve riportare in America; durante una passeggiata in centro i quattro si conoscono per colpa di un paio di occhiali. Sembra quasi che le due coppie siano state scelte dal destino, infatti, una delle esse risiede all’Hotel Francfort, mentre l’altra ha trovato da dormire al Francfort Hotel che incredibilmente risultano, essere due strutture differenti in due indirizzi diversi.

Tra i quattro si sviluppa una strana frequentazione che via via si trasforma in una blanda amicizia. I due uomini iniziano a girare la regione come due adolescenti mentre le due signore si ritrovano per passeggiate in città o per bere il tea in uno degli hotel e si scambiano segreti.

Il rapporto tra Edward e Pete si fa sempre più profondo ed il legame che stringono li circonda e li avvolge e ancora gira loro intorno come un gorgo che si stringe sempre più; proprio come due adolescenti si ritroveranno alla fine l’uno tra le braccia dell’altro e, anziché stupirsi (come sarebbe lecito aspettarsi vista l’epoca in cui il libro è ambientato) i due decidono di provare a portare avanti la loro storia parallela e clandestina ma, come spesso accade nei romanzi di Leavitt, il loro amore si spegnerà lentamente prima dell’arrivo della fantomatica nave.

Delle due donne, Iris sicuramente sa di quanto accade ai due uomini mentre Julia preferisce continuare il suo tran tran quotidiano che nemmeno l’avvento della guerra è riuscito a sconvolgere.

Tutti i personaggi che popolano questa storia, siano essi principali o secondari, si muovono freneticamente come se fossero attori sul palco di un teatro; è tutto un entrare ed uscire di scena; la porta girevole dei due hotel ruota sempre molto rapida e non sempre ci permette di vedere bene i personaggi che riflette.

Centro nevralgico di questo romanzo, che si rifà al modernismo americano, non è il ripercorrere la storia dei quattro personaggi, bensì il prendere atto che non sempre è possibile trovare un vero significato a ogni persona e a ogni luogo.

Ancora una volta il buon Leavitt traccia una storia che sembra destinata a grandi sconvolgimenti e, nel suo incedere, la trasforma in una storia minima in cui i protagonisti scivolano in secondo piano mentre i sentimenti, le emozioni, le ansietà salgono al proscenio per portare a termine una storia che non avremmo mai sperato di conoscere.

Le abilità letterarie di Leavitt non sono certo io a doverle scoprire. Il suo stile è fresco, attraente e i suoi personaggi sono sempre raccontati quasi di tre quarti, come se un po’ se ne stessero nell’ombra per una qual certa forma di reticenza.

Prima di calare il sipario su questa che appare come una pièce teatrale, l’ultima notazione è su una frase del libro che ho trovato molto interessante perché rappresenta un po’ la summa del modo di scrivere di Leavitt: “… ma a volte, tutto quello che riuscivi ad afferrare era il riflesso di un riflesso in una porta girevole”.

Libro molto consigliato.

Treno di notte per Lisbona

Treno di notte per Lisbona di Pascal Mercier (al secolo noto come Peter Bieri), edito da Mondadori, prima edizione 2004.

In questo libro si parla di un libro che non è quello che stiamo leggendo; il protagonista di questo libro è il paravento dietro cui si nasconde il vero protagonista e la città dove tutto avviene non è quella dove solitamente vive il nostro protagonista.

Lo so, sembra terribilmente complicato ma, se mi seguirete, prometto di essere più chiaro.

Raimund Gregorius di anni 57 (chiamato Mundus dai propri studenti) è un professore di latino, greco ed ebraico che svolge la sua mansione nel liceo di Berna; la mattina in cui inizia il nostro romanzo il professor Gregorius sta attraversando il ponte Kirchenfeld alle otto meno un quarto come tutte le mattine lavorative.

Ma questa non è una normale mattina lavorativa infatti il suo sguardo viene attratto da una cosa insolita. Vede una donna, a lui totalmente sconosciuta, gettare una lettera dalla spalla del ponte. Quasi come se si trattasse di una visione, il professore intuisce che il desiderio della donna sia quello di farla finita gettandosi anch’essa nelle acque del fiume. Immediatamente si lancia ad impedire questo gesto. La signora, grata, lo ringrazia dicendo poche parole in francese e… scrivendogli in fronte un numero di telefono.

Mentre i due si asciugano i vestiti nell’androne del Liceo dove Gregorius lavora, il professo chiede di dove sia la signora e lei risponde “Portugués”; il suono di questa parola inizia uno strano processo di scavo nella mente dello stimato professore.

Tale scavo accelera quando, poche ore dopo l’incontro, Gregorius si trova nella libreria spagnola dove casualmente viene in contatto con un libro che reca in copertina la seguente iscrizione: AMADEU INACIO DE ALMEIDA PRADO, UM OURIVES DAS PALAVRAS, LISBOA 1975.

L’attrazione verso il libro è tale che, dopo essersene fatto tradurre alcune pagine dal libraio, decide comunque di acquistarlo nonostante non parli portoghese. Compra anche un dizionario di portoghese e inizia a tradurre il testo di Prado.

Quello che trova scritto in questo libro è talmente affascinante ed evocativo che il nostro eroe, uomo di solito prevedibile, calmo e razionale decide in modo inaspettato di andare a Lisbona con il treno della notte.

Qui indagherà sulla complicata vita dell’autore e attraverso questa analisi avrà la possibilità di analizzare sé stesso e la propria esistenza.

Grazie alle idee e riflessioni che trova nel libro di Prado, Gregorius permette a sé stesso di mettersi in discussione per la prima volta, scoprendo finalmente chi è in realtà l’uomo che si nasconde dietro il cattedratico; questa nuovo occhio con cui guarda il suo passato scruterà approfonditamente tutta la sua esistenza mettendo delle luci accecanti su eventi e decisioni che lo hanno portato a chiudersi nella propria solitudine.

Si tratta chiaramente di un romanzo non di facilissima lettura anche se lo stile di scrittura è fluentissimo e molto gradevole; Il continuo ricorrere alle filosofie di Prado, permette al lettore di leggere contemporaneamente due storie, e di poter mettere in relazione le esistenze dei due protagonisti entrambi intrappolati nel proprio passato.

I personaggi sono tanti e finemente raccontati; la storia che scoprirà chi avrà la voglia di rapportarsi con questo libro, è una di quelle che si artigliano al cuore e non lo lasciano più.

Concludo con una citazione presa dagli scritti di Prado: “perché poi è così difficile mantenere aperto lo sguardo? Siamo esseri pigri, bisognosi di ciò che è noto, familiare. Curiosità come raro lusso sul terreno dell’abitudine. Stare saldi e saper giocare con l’apertura, questa sì sarebbe un’arte. Bisognerebbe essere Mozart. Un Mozart di un futuro aperto”.

Libro molto consigliato a chi ha palato fine.

Lucernario

Lucernario di José Saramago edito da Feltrinelli, prima edizione 2011.

Prima di avventurarci nel racconto di questo romanzo del grande autore portoghese, è necessaria una brevissima nota introduttiva.

José Saramago muore nel 2010 ma questo romanzo è stato scritto sessanta anni prima da un Josè giovane che ancora non era assurto all’onore delle cronache letterarie. La mancata pubblicazione si deve innanzitutto alla casa editrice a cui l’autore invio il manoscritto (di cui non aveva una copia), che rifiutò la pubblicazione; così il volume, anziché essere gettato, venne posto negli archivi della casa editrice.

Solo dopo molti anni Saramago richiese la restituzione del manoscritto che però sembrava essere andato perduto. Fortunatamente durante il trasloco dell’editore si rintracciò il volume e la casa editrice chiese all’autore il diritto di pubblicarlo; l’autore negò l’autorizzazione e decise che non sarebbe mai stato pubblicato se non dopo la sua morte.

Nel romanzo l’autore ci racconta la vita di un condominio della zona popolare dove vivono sei famiglie. L’azione è ambientata nella Lisbona salazarista del 1952.

La trama del romanzo è abbastanza semplice. Sembra quasi che le pareti di questo condominio siano di vetro e ci permettano di vedere le vite dei suoi abitanti. Scorgiamo quindi la famigliola distrutta dal dolore della perdita della figlioletta; ci accostiamo alla vita della famiglia che combatte per garantire alla figlia un avvenire sereno, e al desiderio di questa figlia di fuggire da quell’ambiente opprimente che è la sua stessa casa; spiamo la vita serena di una donna sola che sfrutta la propria bellezza facendosi mantenere dal ricco amante, senza che questo sia, per lei, motivo di preoccupare o remora; entreremo nella vita del vecchio calzolaio e di sua moglie quando decidono di affittare una stanza della casa ad Abel, un giovane intellettuale libertario che legherà con i padroni di casa (soprattutto con il ciabattino) e che darà una forte scossa alla loro routinaria esistenza, senza però che questa cambi veramente.

Il rapporto tra Abel e il vecchio padrone di casa è sincero e profondo (quasi un amore ante litteram); li vediamo in un formale balletto di avvicinamenti ed allontanamenti, frequentarsi, annusarsi, studiarsi, conoscersi ed abbandonarsi.

E’ folle notare come in questo romanzo giovanile di Saramago ci sia già “in nuce” tutta la poetica del grande scrittore andaluso; quasi come se avesse voluto racchiudere le caratteristiche della sua scrittura in un unico testo e come se, i successivi romanzi, fossero una rielaborazione estesa dei temi trattati in questo primo volume (che però sarà l’ultimo in ordine di pubblicazione).

Che dire della capacità descrittiva di Saramago che non sia già stato detto abbondantemente? Come al solito il grande portoghese racconta immagini, sensazioni, emozioni e personaggi in maniera meravigliosa lasciando sempre al lettore la possibilità di personalizzare con la propria fantasia quelli che sono gli elementi raccontati. Ecco quindi che ognuno di noi si ritrova catapultato in una Lisbona che è uguale a sé stessa ma al contempo assolutamente unica ed incondivisibile, a contatto con i personaggi che sono diversi di lettore in lettore.

Forse questa è proprio la chiave che ha portato Saramago al grande successo letterario e alla assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1998.

Anche se non serve dirlo, libro consigliatissimo

Il viaggio dell’elefante

Il viaggio dell’elefante di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2008.

Ancora un libro di Saramago? Ebbene si. Questo autore mi piace moltissimo e quindi recensisco ogni suo scritto.

Questo romanzo è diverso dagli altri che ho letto del grande autore lusitano; diverso perchè meno intimista del consueto, meno introspettivo, meno riflessivo.

L’azione si svolge alla metà circa del XVI secolo. Mentre i venti della protesta luterana spazzano l’Europa, a Lisbona fa la sua comparsa l’elefante Salomone che arriva direttamente dalle Indie insieme al suo “cornac” di nome Subhro. Come tutte le cose nuove, Salomone suscita nei lisboeti attrazione e curiosità, ma passato il primo momento di orgiastico interesse, l’elefante Salomone passa la sua vita a mangiare e dormire.

Il sovrano del Portogallo, João III e sua moglie Caterina d’Austria decidono di inviarlo in dono all’arciduca Massimiliano, proprio ora che questi si trova a Valladolid in qualità di Reggente di Spagna.

Il regalo viene accettato, e così si procede ad organizzare la carovana che dovrà accompagnare il portentoso quadrupede ed il suo cornac prima da Lisbona al confine con la Spagna, e poi da Valladolid fino a Vienna, passando per Genova, Verona, Padova e Innsbruck.

Il romanzo è quindi il racconto di questo viaggio, di questa variopinta comitiva di ufficiali, servitori, soldati, preti, cavalli e buoi che, in mezzo a molte difficoltà e tra ali di gente entusiasta, ha il compito di scortare il prezioso dono fino a Vienna, dove l’elefante sarà artefice di un “miracolo” squisitamente umano.

Fin qui il breve riassunto del libro. Ora ci addentriamo tra le pagine alla ricerca delle emozioni, dei profumi, dei sapori che il grande Saramago dispensa a piene mani.

E’ strano come il protagonista di questo libro sia l’unico che in realtà non fa assolutamente niente, si limita a camminare e poi attende che il resto del mondo giri intorno a lui; E così, puntualmente, accade. Quasi una metafora della vita.

Tutto il resto della comitiva è costretta ad adeguarsi al volere di Salomone. E’ lui che conduce il gioco; il suo stesso cornac si guarda bene da provare a fargli fare qualcosa contro la sua volontà; se Salomone ha voglia di fare un pisolino… la comitiva si ferma e aspetta che il pachiderma si svegli.

E’ quasi dicotomico vedere come la comitiva sia percorsa da ondate di attività frenetica, e al contempo Salomone sia placidamente intento a mangiare, bere, dormire o, semplicemente, a non fare niente.

Io interpreto questa dicotomia come quella presente nella società contemporanea dove il popolino (cioè la maggior parte delle persone) si devono affannare per cercare di sopravvivere, e invece pochi eletti (qua rappresentati dal pachiderma) possano vivere serenamente serviti e riveriti di tutto punto senza nemmeno aver bisogno di impegnarsi molto.

Il personaggio di Salomone però non è un personaggio “negativo” infatti spesso, nel corso del romanzo, ha degli slanci di affetto che lo portano a realizzare azioni che sorprendono il suo stesso cornac (e noi lettori con lui) per intensità e profondità.

E’ triste realizzare come tutti gli altri personaggi del libro, peraltro raccontati splendidamente dalle parole dell’autore, siano un contorno all’elefante. Gli stessi arciduchi con la loro prosopopea, sono solo comparse che elevano, in controcanto, una sperticata lode al pachidermico regalo ricevuto dal sovrano del Portogallo.

Grandissima l’abilità di Saramago che, come al solito, ci racconta una storia nell’intento di raccontarne due; infatti, mentre ci racconta la storia del magnifico viaggio dell’elefante Salomone, parallelamente ci informa sulla situazione socio-policito-culturale della penisola iberica del XVI secolo.

Il metodo di scrittura è quello tipico del miglior Saramago. Punteggiatura quasi inesistente e frasi appiccicate le une alle altre ma, nonostante questa piccola fatica, il libro scorre costante al ritmo del viaggio dell’elefante.

Libro consigliato.

 

Le piccole memorie

Le piccole memorie di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2006

Se ci fosse un sottotitolo a questo libro reciterebbe “Sì, le memorie di quando ero piccolo, semplicemente”; in queste 8 parole è riassunto tutto il libro.

Ancora una volta Saramago non tradisce le aspettative riuscendo a fare qualcosa di nuovo, di strano perchè, mentre in altri suoi scritti dimentica volutamente nomi e località, in questo libello i nomi e le località sono preziosi, o forse sarebbe meglio dire fondamentali perchè la storia in sé e per sé non c’è essendo un libro che racconta i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza del giovane José.

Ecco quindi che vediamo il giovane Saramago percorrere le strade polverose di Azinhaga prima, avventurarsi nelle strade di Lisbona dopo, descriverci le case dove ha vissuto e tutte quelle che ha dovuto cambiare per seguire gli spostamenti dovuti alla professione di suo padre. Lo vediamo nelle relazioni sociali con i compagni di scuola e gli amici, ma anche quelle che intrattiene con parenti e vicini di casa.

E’ straordinaria la capacità di Saramago di trovare nuovi argomenti e nuovi stili di scrittura pur rimanendo sempre fedele al suo “marchio di fabbrica”. In queste “piccole memorie” affronta il racconto della sua infanzia e della sua adolescenza raccontandoci se stesso, raccontandoci i suoi sentimenti e utilizzando le persone e i luoghi della sua gioventù come se fossero gli scrigni che li contengono.

Ad una lettura poco attenta potrebbe sembrare abbastanza simile all’altro suo libro “Una terra chiamata Alentejo” ma, tra questi due libri vi è una differenza abissale; mentre ne “Le Piccole memorie” il punto focale sono le esperienze del giovane José in “Una terra chiamata Alentejo” è la natura, il paesaggio ad essere il vero protagonista.

Potremmo quasi dire, azzardando, che con questi due scritti, Saramago ci ha dischiuso due facce della sua anima. Quella avventurosa con il viaggio e quella romantica con le memorie.

Straordinariamente bello e romantico, per esempio, è il racconto in cui Saramago ci descrive la cassapanca della casa di Azinhaga nella quale venivano custodite le fave. La paura per la polvere delle fave secche che irritava la pelle del giovane José e che gli faceva venire le pustole; il desiderio però di aprire comunque quella cassapanca e la scoperta che incollata al soffitto del coperchio c’erano dei fogli di giornale (che la famiglia non poteva permettersi di acquistare) e il piacere di imparare a leggere proprio su quelle pagine di giornale in mezzo alla polvere tanto pericolosa.

In queste 120 pagine c’è davvero tutto Saramago “in nuce”. C’è l’amore per le piccole cose, i paesaggi così sapientemente descritti, gli amori travolgenti, le relazioni complicate, gli uomini e le donne che poi diventeranno i protagonisti delle sue storie, i genitori e gli affetti più cari, i vicini di casa, le rane colpite con grande abilità, con la frombola e i pesci che invece non abboccavano mai.

Insomma sembra quasi che questo libro sia una “summa” di tutto quello che abbiamo letto prima di questo grande scrittore; come se l’autore si fosse travestito da mago (in fondo il mago è presente nel suo stesso cognome) e, al termine dello spettacolo, mostrasse senza ritegno e con grande orgoglio, da dove ha tratto l’ispirazione per tutti i “trucchi” che ha utilizzato nel suo spettacolo; quasi un testamento ante mortem.

Libro consigliato!