Le piccole memorie di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2006

Se ci fosse un sottotitolo a questo libro reciterebbe “Sì, le memorie di quando ero piccolo, semplicemente”; in queste 8 parole è riassunto tutto il libro.

Ancora una volta Saramago non tradisce le aspettative riuscendo a fare qualcosa di nuovo, di strano perchè, mentre in altri suoi scritti dimentica volutamente nomi e località, in questo libello i nomi e le località sono preziosi, o forse sarebbe meglio dire fondamentali perchè la storia in sé e per sé non c’è essendo un libro che racconta i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza del giovane José.

Ecco quindi che vediamo il giovane Saramago percorrere le strade polverose di Azinhaga prima, avventurarsi nelle strade di Lisbona dopo, descriverci le case dove ha vissuto e tutte quelle che ha dovuto cambiare per seguire gli spostamenti dovuti alla professione di suo padre. Lo vediamo nelle relazioni sociali con i compagni di scuola e gli amici, ma anche quelle che intrattiene con parenti e vicini di casa.

E’ straordinaria la capacità di Saramago di trovare nuovi argomenti e nuovi stili di scrittura pur rimanendo sempre fedele al suo “marchio di fabbrica”. In queste “piccole memorie” affronta il racconto della sua infanzia e della sua adolescenza raccontandoci se stesso, raccontandoci i suoi sentimenti e utilizzando le persone e i luoghi della sua gioventù come se fossero gli scrigni che li contengono.

Ad una lettura poco attenta potrebbe sembrare abbastanza simile all’altro suo libro “Una terra chiamata Alentejo” ma, tra questi due libri vi è una differenza abissale; mentre ne “Le Piccole memorie” il punto focale sono le esperienze del giovane José in “Una terra chiamata Alentejo” è la natura, il paesaggio ad essere il vero protagonista.

Potremmo quasi dire, azzardando, che con questi due scritti, Saramago ci ha dischiuso due facce della sua anima. Quella avventurosa con il viaggio e quella romantica con le memorie.

Straordinariamente bello e romantico, per esempio, è il racconto in cui Saramago ci descrive la cassapanca della casa di Azinhaga nella quale venivano custodite le fave. La paura per la polvere delle fave secche che irritava la pelle del giovane José e che gli faceva venire le pustole; il desiderio però di aprire comunque quella cassapanca e la scoperta che incollata al soffitto del coperchio c’erano dei fogli di giornale (che la famiglia non poteva permettersi di acquistare) e il piacere di imparare a leggere proprio su quelle pagine di giornale in mezzo alla polvere tanto pericolosa.

In queste 120 pagine c’è davvero tutto Saramago “in nuce”. C’è l’amore per le piccole cose, i paesaggi così sapientemente descritti, gli amori travolgenti, le relazioni complicate, gli uomini e le donne che poi diventeranno i protagonisti delle sue storie, i genitori e gli affetti più cari, i vicini di casa, le rane colpite con grande abilità, con la frombola e i pesci che invece non abboccavano mai.

Insomma sembra quasi che questo libro sia una “summa” di tutto quello che abbiamo letto prima di questo grande scrittore; come se l’autore si fosse travestito da mago (in fondo il mago è presente nel suo stesso cognome) e, al termine dello spettacolo, mostrasse senza ritegno e con grande orgoglio, da dove ha tratto l’ispirazione per tutti i “trucchi” che ha utilizzato nel suo spettacolo; quasi un testamento ante mortem.

Libro consigliato!