Autore archivio: ilovebook

Fragile

Fragile Marco van Basten con la collaborazione di Edwin Schoon – Mondadori Editore – prima edizione 2020.

Essendo la biografia di un calciatore ci si aspetterebbe che ci fossero soltanto ricordi di calcio ma questo libro è un qualcosa di diverso. Il campione Marco van Basten è stato costretto a dire addio al calcio prima del tempo perché le sue caviglie (specialmente la destra) non lo hanno mai lasciato in pace.

Ecco spiegato il titolo che fa riferimento proprio alla fragilità delle caviglie del grande campione. Sei interventi chirurgici non sono riusciti a risolvere il problema; eppure non c’è solo questa fragilità. Nel corso della lettura scopriremo la vita del Cigno di Utrecht. La sua carriera calcistica termina il 18 agosto 1995 e lui racconta così quella sera. «Le lacrime premono per sgorgare, ma resto impassibile. Smetto di correre e di battere le mani, il giro è finito. Qualcosa è cambiato, qualcosa di fondamentale. Il calcio è la mia vita. Ho perso la mia vita».

Con uno stile narrativo semplice e una sincerità che a volta sorprende scopriamo che il campione aveva parecchi travagli interiori. L’aver visto morire il suo amico nel ghiaccio all’età di 7 anni o il notare lo scricchiolare del rapporto dei propri genitori a cui fa seguito la malattia della mamma e il rapporto con il padre che non è certo ideale; l’uomo é più interessato al calcio che a dare affetto a Marco e ai suoi fratelli.

Vedremo van Basten interagire con Sacchi, Boban, Seedorf e con l’amico Johan Cruiff. Lo sentiremo parlare delle sue ansie da prestazione soprattutto quando passerà dal calcio giocato alla panchina.

In questo libro si trovano tanti aneddoti, il calcio sicuramente ma anche le ansie di un uomo fragile non solo nelle caviglie. Ci racconterà emozioni, consapevolezze, epifanie e anche la maledetta caviglia che lo ha tormentato per tutta la sua carriera.

Credo che leggere questa autobiografia ci aiuti a mettere in luce alcuni punti oscuri del personaggio Marco van Basten ma soprattutto dell’uomo.

Mi ha colpito il fatto che, quando la caviglia gli faceva troppo male per poter camminare doveva andare in bagno spostandosi a carponi.

E’ un libro crudo a volte doloroso per chi lo legge, perché non ci risparmia nulla del suo dolore fisico e psicologico.

Quando guardiamo alla vita degli altri ci sembra sempre tutto facile, soprattutto quando ci rapportiamo con questi dei del pallone ed invece, dal libro, esce una figura piegata dalla vita, un uomo infelice. Nel caso degli atleti li consideriamo come pezzi di una “macchina” che deve sempre avere prestazioni altissime, invece in questo libro si mette meno in luce il calciatore per focalizzare la nostra attenzione sull’uomo e le sue sofferenze.

Una delle frasi più belle che mi sono appuntato è quella che dice «Se non sai cosa vuol dire essere infelice, non sai nemmeno cosa vuol dire essere felice». E dunque, non tutto ciò che è “fragile” è male.

Libro consigliato

Riccardino

RiccardinoAndrea CamilleriSellerio Editore, prima edizione 2020.

Nel bel mezzo di una notte agitata il commissario Montalbano viene svegliato dal trillo del telefono. Risponde aspettandosi Catarella ed invece c’è uno sconosciuto che dice di chiamarsi Riccardino che gli da appuntamento al bar Aurora, prima di riappendere la conversazione. Certo che si sia trattato di un errore o di uno scherzo, il commissario si rimette a dormire. Dopo poche ore suona nuovamente il telefono e questa volta è davvero Catarella che gli comunica che hanno trovato un morto. Giunto sul luogo del misfatto scopre che il morto è proprio tale Riccardino, ucciso con un solo colpo di pistola davanti ai tre amici che lo stavano aspettando.

Da un po’ di tempo al commissario manca la voglia di risolvere casi perché non prova più il piacere della caccia solitaria, perché gli anni cominciano a pesare e soprattutto perché non ha più voglia di avere a che fare con i cretini; vorrebbe demandare l’incarico al suo vice ma l’intervento del vescovo di Montelusa e di alcune personalità politiche lo obbligano a rimanere concentrato.

Anche se il caso sembra ovvio e banale, Montalbano sa che nulla è mai come sembra così aguzza i sensi sbirreschi, analizza, connette, inciampa in personaggi pittoreschi ma, nonostante metta in atto tutte le sue solite trappole e il solito impegno, il nostro eroe è confuso, insofferente ed è convinto di non essere più adatto al ruolo. L’autore comprende la difficoltà del suo personaggio così interviene direttamente concordando con lui modifiche alla trama, proponendo soluzioni e addirittura facendo intervenire il Montalbano televisivo.

Ma il commissario letterario è stanco, sfiduciato al punto che… Camilleri trova il modo di liberarsi di lui perché troppo invadente nella sua fantasia.

Per l’ultima avventura del commissario più famoso d’Italia, Camilleri trasforma il suo romanzo in un meta-romanzo, fa parlare il protagonista con l’autore e con il sé stesso del piccolo schermo alla ricerca di quelle motivazioni che hanno sostenuto Montalbano fino a questo momento.

Il Montalbano letterario si sente inferiore al proprio doppio televisivo e all’autore perché entrambi conoscono sempre tutta la storia, mentre lui deve improvvisare, indovinare e mettersi in gioco. Il Montalbano letterario vorrebbe, una volta tanto, poter decidere come vivere la propria vita in piena libertà.

Riccardino è un romanzo diverso da tutti quelli prodotti dalla grande penna di Camilleri, diverso e un po’ deludente perché la trama è abbastanza inconsistente e prevedibile, i colpi di scena scoppiano come petardi bagnati, la mancanza dell’arguzia di Livia e della forza pungolante di Augello sono evidenti; l’unica nota positiva presente è ancora una volta, la folle e scombinata follia di Catarella.

E’ evidente che l’autore si fosse stufato dell’ingombranza di Montalbano ma il modo che ha trovato per liberarsi e liberarci di lui proprio non mi è piaciuto.

Come tutte le altre avventure del commissario anche questa è ben scritto ma sembra un po’ fatto con la ricetta; dieci grammi di questo, otto di quell’altro ecc. ecc.

Il finale però è innovativo. Inaccettabile per me ma sicuramente diverso da qualsiasi altra cosa mai scritta da Camilleri.

Libro non consigliato.

La scomparsa di Stephanie Mailer

La scomparsa di Stephanie MailerJoel Dicker – Edito da La nave di Teseo, prima edizione 2018.

Orphea (stato di New York) 30 luglio 1994: vengono assassinati a colpi di pistola il sindaco della città, la moglie, il figlio e una ragazza che faceva jogging (probabilmente colpevole solo di aver visto e riconosciuto l’assassino). La polizia indaga e tenta di arrestare il sospettato principale dell’omicidio che però muore in un incidente stradale, durante l’inseguimento con la polizia.

Vent’anni dopo Jessie Rosemberg, quarantacinquenne capitano della polizia statale di New York ed ex ispettore di Orphea ai tempi dell’omicidio, viene avvicinato da Stephanie Mailer, giornalista freelance, che gli rivela che nel 1994 ha preso un grosso granchio e che l’assassino dei Orphea è ancora a piede libero.

Nonostante sia ormai prossimo alla pensione, Rosemberg decide di riaprire il caso quando scopre che la giornalista Mailer risulta irreperibile da oltre tre giorni.

Si troverà a dover dipanare una grossa matassa formata dai due filoni principali: scoprire che fine ha fatto Stephanie Mailer e dare un volto ed un nome all’assassino di Orphea.

Lo affiancheranno in questa nuova avventura il sergente Derek Scott e il vicecapo Anna Kanner. Seguiremo i tre investigatori lungo strade inaspettate in un continuo viaggio nel tempo che potrebbe sembrare complicato, ma che la bravura dell’autore rende lineare.

In vent’anni tante cose sono cambiate; soprattutto i rapporti tra i cittadini. Si sono create nuove alleanze e i vecchi accordi si sono sfilacciati. Gli investigatori dovranno fare opera di cucito per ripristinare la situazione al momento dell’omicidio.

I tre detective, incalzati dai superiori, rimestano nel torbido in fondo del barile, per far tornare a galla tutti gli elementi necessari alla riuscita dell’indagine. Proprio quando sembra che le loro fatiche siano inutili ecco la comparsa in scena di un nuovo personaggio. Kirk Harvey è uno scrittore, probabilmente affetto da disturbi mentali, ex capo della polizia di Orphea all’epoca degli omicidi e autore teatrale per hobby, che, avendo intuito l’identità del vero colpevole, è rimasto ben nascosto e solo ora decide di condividere con la polizia le sue certezze.

Queste nuove rivelazioni permetteranno ai tre poliziotti di dipanare l’intricatissima matassa formatasi nel tempo, e di assicurare alla giustizia il colpevole.

Questo romanzo sembra una collezione di scatole cinesi perché ogni volta che si analizza una situazione questa riporta ad un’altra che porta alla precedente e via di seguito. Però nonostante la complessità della trama, la vicenda scorre lineare e facilmente comprensibile per il lettore.

Le descrizioni e i flashback sono necessari per rendere semplice la fruizione della storia, così come la polifonia delle voci narranti è utile per rendere via via più chiaro lo svolgersi degli eventi; Ogni voce porta con se un piccolo pezzetto di verità che, aggiunto al puzzle dell’indagine aiutano il lettore ad arrivare ad un finale sconvolgente e rocambolesco.

L’autore è sicuramente abile nel cucire le varie storie e le varie anime dei personaggi per creare una trama avvincente e particolare. Tutti i attori sono soltanto accennati in quanto, nel corso del romanzo si scoprono ulteriori sfaccettature.

Libro di facile lettura nonostante la ponderosità; personaggi delineati quel tanto che basta a farli vivere nell’immaginazione del lettore; trama piacevole e ben congegnata; finale rocambolesco e inaspettato.

Dicker dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, di essere un cavallo di razza nella redazione di questo tipo di romanzi che strizzano l’occhio al giallo ma anche al noir. Abile nel tenere alta l’attenzione del lettore e nell’immaginare situazioni originali.

Libro consigliato.

La famiglia Karnowski

La famiglia KarnowskyIsrael Joshua Singer, edito da un sacco di case editrici, prima edizione 1943.

Siamo di fronte ad una saga familiare che nell’arco di circa ottant’anni vede avvicendarsi tre generazioni di Karnowski. David, il capostipite, uomo colto ed illuminista che, tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 per dissidi con il proprio shtetl si trasferisce a Berlino, allora capitale dell’impero tedesco e che gli sembra la capitale del pensiero libero e moderno soprattutto perché vi è nato il filosofo ebreo Moses Mendelssohn.

Si tratta di una figura di rottura perché contesta le tradizioni millenarie ebraiche ed è pronto a sostenere le proprie opinioni anche attraverso la lotta dialettica.

A David segue il figlio Georg che, non solo contesta i valori della fede ebraica, come già fatto dal padre, addirittura arriva a rifiutarli sposando una donna non ebrea. Fannullone e inaffidabile, per amore abbraccia la medicina all’università, nonostante la sua avversione per il sangue e le malattie.

Con questo secondo protagonista si accentua l’allontanamento volontario dei Karnowski dalla strada religiosa ebraica. Con il proprio atteggiamento si amplia la crepa creata da David con la propria fuga.

Terzo di questo gruppo è il figlio di Georg, Joachim Georg che, influenzato dall’ascesa irresistibile del Partito Nazista e soprattutto del suo leader Adolf Hitler, si riconoscerà in questi valori arrivando a disprezzare sé stesso e soprattutto le origini del padre. Alla ricerca di un’identità e di un posto che lo accetti, Joachim decide di trasferirsi con la sua famiglia a New York.

Come vedremo nel prosieguo del romanzo questa non sarà una saggia decisione. Infatti la società americana è apertamente contraria al terzo Reich che Georg tanto ammira.

Epopea commovente e straziante ci mette di fronte al tentativo di tre generazioni diverse di affrancarsi dalle credenze e dalla religione con scarsi risultati come a dimostrazione del fatto che i tempi per i cambiamenti sociali erano, e sono tutt’oggi, molto molto lenti.

Si tratta di un romanzo totalmente immerso nella cultura ebraica al punto che, può capitare di perdersi nelle descrizioni delle tradizioni di questa religione. Anche quando sembra che il sottile filo che lega Georg alla propria religione venga reciso dal matrimonio con una donna cattolica, egli in realtà, ne rimane invischiato e collegato.

Se l’apice della narrazione si rintraccia nella figura di Georg, non si può negare che tutta la storia di questa famiglia è intrisa di odio razziale. Nonostante il romanzo venga scritto nel 1943 quindi prima della scoperta delle atrocità compiute dai nazisti nei campi di concentramento, Singer sembra prevederli.

Romanzo difficile per i concetti trattati ma moderno e scorrevole nello stile. Tutti i personaggi sembrano un po’ trattenuti, legnosi, come se le regole ed i preconcetti non gli permettessero davvero di vivere la loro vita serenamente.

Forse qualcuno potrebbe fare un po’ di fatica nell’attraversare questo romanzo; certo è che non si esce da questa lettura, uguali a come ci si è entrati.

Lettura consigliata.

Tieni presente che

Tieni presente cheChuck Palahniuk, Mondadori Editore, prima edizione 2020.

Il sottotitolo di questo che non sono sicuro sia possibile definire romanzo è: “Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto”, e questo credo che di per sé dica già tutto su questo libro.

Perché fatico a definirlo romanzo? Perché da una parte questo libro racconta, o meglio dovrebbe raccontare ai novelli scrittori, come si scrive un libro, ma dall’altra è una specie di biografia in cui il buon Palahniuk ci svela una serie di aneddoti tutti legati alla scrittura o alla difficoltà di scrivere.

E’ sicuramente un libro che mette in luce alcuni trucchi del mestiere di scrittore, ma è anche un romanzo di formazione che sfocia in una guida galattica per chi non accetta l’orizzonte che lo circonda; inoltre è un guanto di sfida nonché una confessione. Insomma, come suo solito, Palahniuk sfugge a qualsiasi categorizzazione tentiamo di imporgli.

Proprio come all’esordio, quando con Fight Club scompigliò le carte presenti sulla tavola della letteratura contemporanea, così fa con questo ultimo lavoro dove, nel tentativo di trasmettere quello che ha imparato nella sua esperienza di scrittore, veicola le informazioni non sotto forma di regole auree date agli affamati lettori, bensì nascondendole sotto i veli della sua esperienza in modo che sia necessario “scartarle, distillarle, e condensarle” prima di poterle effettivamente fare nostre.

Si impara, ad esempio, che raccontare storie è un atto di potere. Potere di vita e di morte. Raccontare storie quindi come atto dirompente perché significa creare accanto, attorno e sopra ad un libro o romanzo o storia che sia, una comunità ristretta e parziale, autoreferenziale che si autoalimenta e che si sostiene come una setta. In pratica creare una comunità che riconosce se stessa come unica perché le persone che ne fanno parte condividono un’emozione, una sensazione, un dolore, una morte o una rinascita.

Nel corso della lettura saremo accompagnati da vecchi amici e da nuove conoscenze, grandi autori del passato e recenti, da film, citazioni, ricordi, emozioni o giochi di parole di dubbio gusto; una cosa però sappiamo di sicuro che, quando usciremo dalla lettura, saremo uomini e donne diversi, più felici, più consapevoli, meno facilmente abbindolabili perché, nel corso della lettura, avremo assorbito, quasi per osmosi, un po’ del cinismo tipico di Palahniuk.

Se Shakespeare diceva che “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, Palahniuk ci ricorda che siamo anche fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, ma che è bellissimo che le nostre brevi vite abbiano la possibilità di tirare di scherma con questi avversari imbattibili ma leali e formativi.

Tieni presente che” ci insegna l’importanza di vedere la realtà da più punti di vista stimolando il lettore a leggere nuovi testi e nuovi autori; anche quelli che ci sembrano più distanti dalle nostre posizioni. Nella peggiore delle ipotesi, ci rafforzeremo nella nostra convinzione di essere dalla parte giusta del fiume.

Tirando le somme possiamo dire di essere in presenza di un romanzo che non è un romanzo, di una biografia che non è una biografia, di un saggio che non è un saggio perché tutti questi stili sono compressi nel genere letterario di Palahniuk che, fin da suoi esordi, si è sempre divincolato come un pesce per non farsi mai rinchiudere in una gabbia stilistica e mentale.

Ancora una volta Palahniuk ci incuriosisce con una scrittura assolutamente geniale, per poi lasciarci con un desiderio di conclusione che, sappiamo già, andrà deluso.

Libro strano ma, se vi piace lo stile di Palahniuk, assolutamente ibrido e diverso da qualsiasi cosa abbiate mai letto.

Il decoro

Il decoroDavid Leavitt, SEM editore, prima edizione 2020.

Donald Trump è stato appena eletto Presidente degli Stati uniti d’America e la nazione si sta ancora riprendendo dallo shock, quando un gruppo di amici newyorkesi decide di rifugiarsi per qualche giorno in una lussuosa villa del Connecticut, nel tentativo di allontanare dagli occhi la nuova situazione.

Eva Lindquist chiede a sorpresa ai suoi amici progressisti chi di loro avrebbe il coraggio di chiedere a Siri come assassinare il neo presidente Trump.

Stupita dalla codardia dei suoi amici e sempre più angosciata dalla nuova situazione, Eva non si sente più sicura negli Usa e decide di emigrare a Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù.

Qui, un po’ per caso un po’ per rinforzare le sue radici in quella che definisce la sua nuova patria, almeno fino a che ci sarà Trump, Eva acquista un appartamento scontrandosi con le follie della burocrazia italiana.

Nel corso del romanzo Leavitt ci permette di seguire la “fuga” di Eva e la ricostruzione delle sue sicurezze nella nuova location, raccontandoci le sue vecchie e nuove paure.

Parallelamente alla storia di Eva, seguiremo anche le reazioni del gruppo che rimane negli Usa. Vedremo le loro reazioni alla paura e allo sconcerto per la nuova situazione.

Sarà la paura la mano che guiderà queste entità a fare ciò che decideranno di fare? O forse sarà il desiderio di fuga da quel “decoro” che per anni ha confinato le loro azioni?

Li vedremo provare a tradire persone care e ideologie, disconoscere le reazioni alle proprie azioni e tentare di inventare menzogne sempre più elaborate ed evidenti nell’istanza di mettere una distanza tra sé e il proprio operato.

Ma, i nostri protagonisti, saranno davvero in grado di uscire da quei limiti con cui hanno convissuto per tutta la vita, o scapperanno dalla porta per rientrare dalla finestra senza davvero rendersene conto?

Da grande narratore quale è Leavitt ha creato un romanzo in cui analizza il rapporto simbiotico tra desiderio d’amore, di potere e di libertà, e il bisogno di sicurezza e di conservazione che, più o meno albergano sempre nei cuori dei viventi.

Al termine della lettura rimane un dubbio ancora da chiarire. La nuova sicurezza costruita da Eva e dagli altri del gruppo attraverso strade diverse, è una sicurezza reale e matura che possa resistere al fluire del tempo? Ai lettori l’ardua sentenza.

Lo stile letterario è quello preferito dal Leavitt prima maniera. Un fluire senza intralci della trama e del pensiero. I personaggi, pochi ma ben centrati, sono esattamente la rappresentazione di un’élite spocchiosa e alienata dalla società contemporanea che non riuscendo più a capire il mondo che li circonda, fuggono nel passato come Eva o che si rintanano in un mondo di fantasia creato dalla loro mente e dalle loro bugie.

Libro consigliato.

Bianco letale

Bianco letaleRobert Galbraith, editore Salani, prima edizione 2019.

Oggi analizziamo il quarto romanzo della serie con protagonista Cormoran Strike scritto da J. K. Rowling con lo pseudonimo di Robert Galbraith.

Nella primavera 2012 i nostri protagonisti si muovono in una Londra in fervida preparazione dei giochi olimpici quando, totalmente inatteso, negli uffici dell’agenzia investigativa di Strike giunge un ragazzo di nome Billy Knight con evidenti problemi psicotici che vuole denunciare di aver visto l’omicidio di un bambino, nella tenuta dei Chiswell dove viveva con la sua famiglia e dove il padre lavorava.

Ci sarà un fondo di verità in quello che dice Billy o sono soltanto le folli esaltazioni di una persona disturbata?

Parallelamente a questo Strike viene assoldato dal ministro della cultura, Jasper Chiswell, per indagare su qualcuno che lo sta ricattando, minacciando di denunciarlo alla polizia, per una cosa accaduta sei anni prima, se non farà quello che lui gli chiede.

Tutto questo immerso nella salsa melensa e appiccicosa della relazione mai partita e contemporaneamente mai sopita tra Cormoran e la sua socia Robin che proprio come un elastico li allontana e poi li avvicina, si raffredda per poi bruciare improvvisamente come l’inferno.

Come se il loro connubio professionale impedisse lo svilupparsi profondo dei loro sentimenti che i due fanno fatica a gestire per colpa di parole non dette, emozioni nascoste per vergogna, ma anche partner sbagliati di cui è difficile sbarazzarsi. La tensione emotiva tra i due non cala mai per tutta la durata del romanzo palesandosi in scaramucce e battibecchi da teneri innamorati.

Seguiremo i due investigatori nelle loro fatiche per dipanare le due storie, fino ad un finale adrenalinico ed inatteso.

La Rowling /Galbraith si dimostra maestra nella gestione della suspance e ci fa fare un viaggio attraverso tutta Londra raccontando una storia avvincente in circa ottocento pagine. No fatevi scoraggiare dalla ponderosità del libro perché in realtà, l’incalzare degli eventi e il loro ritmo fanno in modo che le pagine vi scappino sotto le dita come percorse da un vento violento. L’intreccio è magistralmente realizzato e di facile lettura. I personaggi sono chiaramente caratterizzati e non si ha mai la sensazione di confonderli tra loro.

In conclusione possiamo dire di essere di fronte ad un romanzo raffinato ed elegante che rimane impresso per tanto tempo nella mente.

Non è necessario leggere i precedenti tre libri per poter seguire questo, ma varrebbe la pena farlo.

Libro consigliato.

Profumi

Profumi “Inventario sentimentale degli odori di una vita” – scritto da Philippe Claudel, “Ponte delle grazie” editore, prima edizione 2012.

Quando sono inciampato in questo libro, il mio primo pensiero è stato “come si può raccontare una cosa così personale, volubile ed eterea come il profumo?”, e devo ammettere che ho acquistato il libro quasi solo per togliermi questo dubbio.

Ebbene il geniale Philippe Claudel ha giocato sulle sensazioni sulle esperienze che hanno scatenato in lui i profumi, gli odori o le puzze, per cercare di dare fisicità all’inconsistenza stessa del profumo.

Quante volte nel corso della nostra vita sotto al nostro naso finisce un odore o un profumo che ci fa fare un salto indietro nel tempo. In una situazione particolare che pensavamo di avere completamente dimenticata, sepolta nel nostro passato ed invece basta un attimo, un vago afrore ed eccoci catapultati proprio lì in quel preciso momento, in quel luogo esatto per ritrovare nuovamente quello stesso identico profumo e per rivivere esattamente quello stesso momento.

Può capitare ovunque, sempre e a chiunque; mentre si guida, mentre si entra in un negozio o si fruga tra le cose vecchie o magari si sistema la cartella di nostro figlio ed ecco che parte il flashback.

Così, seguendo l’ordine alfabetico, l’autore ci fa avanzare nella sua geografia olfattiva. Dall’infanzia alla giovinezza all’età adulta viaggiamo avanti e indietro nella sua vita e nel suo carico emozionale. Ogni momento che visitiamo è popolato da persone amate o temute, da grandi emozioni come quella del primo motorino o dal ricordo degli allenamenti di calcio o i primi approcci con le ragazze e i loro profumi, o gli odori acri degli orinatoi e di tutta la fauna che li frequenta.

E dunque saliamo sul treno dei ricordi che parte dal naso e attraverso i profumi di Claudel entriamo in punta di piedi nel suo mondo più intimo che parte dal villaggio natale di Sommervillier nei Vosgi per portarci in un mondo più rustico e palpitante ove egli ritenga utile condurci per darci libero accesso ai suoi ricordi olfattivi, saziarci quindi con i suoi ricordi olfattivi, le sue fotografie profumate.

Poi quando forse avremo acquisito la tecnica, saremo in grado anche noi di raccontarci i nostri ricordi partendo proprio dalle nostre le fotografie olfattive.

Siamo di fronte ad un volumetto che si potrebbe leggere in una sera, ma che in realtà va affrontato come una biografia dell’autore, dove le tante tessere formano il mosaico della persona che è stato, che è e che sarà. Perché senza i ricordi, senza il passato, non siamo niente.

Se decidete di leggere questo volume mi raccomando, toglietevi le scarpe prima di entrare, e camminate in punta di piedi perché i profumi, così come i ricordi sono fragili.

Libro vivamente consigliato

Mio fratello rincorre i dinosauri

Mio fratello rincorre i dinosauriMazzariol Giacomo, Einaudi editore, prima pubblicazione 2016.

Quando hai cinque anni e due sorella non vedi l’ora che arrivi un fratellino per pareggiare il conto con loro, e quando mamma e papà ti dicono che presto arriverà effettivamente un fratellino e che sarà speciale, tu ti senti esplodere dalla felicità. Non vedi l’ora che arrivi per poter giocare insieme e fare tutte le cose da fratelli.

Poi arriva ed è prima troppo piccolo per giocare, quindi devi aspettare che cresca. Quando finalmente cresce un po’ capisci che cosa volevano dire i tuoi genitori con quello “speciale”. Nella tua testa “speciale” voleva dire che aveva i superpoteri, nella realtà invece, molto più banalmente ha un cromosoma in più e quindi Sindrome di Down.

Tutto il tuo entusiasmo per questo fratello tanto agognato si trasforma immediatamente in rifiuto. Non lo vuoi attorno, non sopporti la sua presenza, non vuoi farlo conoscere ai tuoi amici perché lui ti mette a disagio, ha degli comportamenti fuori dalle regole, perché lui non sa come ci si comporta, insomma perché lui è lui senza mezzi termini e senza filtri.

Insomma in questo libro trovate la storia di Giovanni, raccontata dal punto di vista del fratello. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso più largo dei suoi occhiali, che ama i dinosauri e il rosso; che va al cinema con una compagna, torna a casa e annuncia: «Mi sono sposato». Giovanni che il tempo sono sempre venti minuti, mai più di venti minuti: se uno va in vacanza per un mese, è stato via venti minuti. Giovanni che sa essere estenuante, logorante, che ogni giorno va in giardino e porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche.

Quando un libro deve raccontare una situazione così complessa e dolorosa deve per forza essere un libro pesante, con una ricercatezza eccessiva delle parole per non essere offensivo nei confronti di nessun tipo di diversità o handicap, e invece, quello di cui vi parlo è uno dei libri più leggeri e leggibili che ho mai incontrato perché sposta il punto focale dalla malattia di Giovanni a Giovanni, dalla malattia alla famiglia che affronta la malattia.

Giovanni è un bambino con una malattia, non è la sua malattia. Eccezionale è vedere come all’interno della famiglia Giovanni non è mai trattato come quello diverso, è trattato semplicemente come Giovanni, come un membro della famiglia che ha delle necessità speciali.

Giacomo ci racconta come ha “affrontato” questo alieno, i suoi dubbi, le sue paure, le sue emozioni, i suoi disagi in un’età in cui tutto quello che si vorrebbe è uniformarsi al gruppo sociale e invece tu non puoi perché solo tu hai un fratello come Giovanni.

Ma poi cresci, maturi e capisci che la diversità è fondamentalmente un vantaggio, e alla fine realizzi che i superpoteri tuo fratello ce li ha davvero, proprio come speravi da bambino.

Siamo davanti ad un libro speciale. Uno dei pochi libri di questi ultimi anni che scardinino davvero i massi dei nostri preconcetti, un libro leggero che non vuole avere grandi pretese se non quella di raccontarti una storia e mentre te la racconta ecco che inizia ad inocularti un po’ di buon senso; ecco che piano piano trasuda nel tuo cervello la verità contenuta nel libro e quando arrivi alla fine sei più saggio e intelligente allo stesso tempo.

La scrittura del testo è molto semplice, non ci sono fronzoli o merletti lessicali, non ci sono voli pindarici. E’ tutto molto trasparente; i personaggi sono tratteggiati così bene che quasi si possono guardare in faccia. So che è stata fatta una trasposizione cinematografica di questo film ma vi prego, leggete il libro perché le emozioni sono più dirette dal libro. Non fatevi scappare questa piccola gemma.

Un libro che non lascia indifferenti, un libro che arricchisce.

Libro consigliato.

Febbre

FebbreBazzi Jonathan, edito da Fandango Libri – Prima edizione 2019.

Romanzo autobiografico che ci pone di fronte ad un libro complesso per la forma narrativa che l’autore ha deciso di utilizzare infatti, la storia viaggia su due piani temporali diversi.

Nel primo troviamo il 31enne Jonathan che ancora frequenta l’università, ha una vita normale, convive con il suo compagno, frequenta gli amici, tiene i suoi corsi di yoga e che in un bel giorno di gennaio, un giorno tale e quale a tanti altri che lo hanno preceduto, scopre di avere la febbre. Non quei bei febbroni da cavallo che ti fanno delirare, che ti sconquassano, che ti fanno pensare a addii definitivi, a testamenti da scrivere, a cose da lasciare. No, niente di tutto questo ma una febbriciattola, poche linee sopra la norma; più una infreddatura che febbre vera e propria; in queste condizioni tutti prendiamo una compressa, ci mettiamo sotto le coperte e, al risveglio è tutto passato.

Jonathan però il mattino dopo purtroppo non è guarito, la febbre c’è ancora e sembra mangiargli piano piano le energie sia fisiche ma soprattutto mentali. Nei giorni successivi il protagonista prova in ogni modo noto a mandare via la febbre ma niente sembra avere la meglio su questo malanno molesto.

La vita di Jonathan rallenta via via che il giovane consuma le forze residue. E’ costretto a lasciare il corso di yoga, unica fonte di reddito e le lezioni in università. Insomma il ritmo vitale di Jonathan è scandito solo dai risvegli notturni in pozze di sudore e da una stanchezza persistente che si mangia via via tutte le sue energie lasciandolo bianco e indifeso come una larva di formica.

Non volendo anticipare nulla al lettore, interrompo qui il riassunto della prima parte del romanzo.

Sull’altro piano narrativo l’autore ci racconta sé stesso nell’interazione con la provincia dove è nato. Quella Rozzano che lui tanto odia e da cui si sente odiato.

Troviamo Jonathan bambino con bisogni speciali, figlio di una famiglia dove il padre è perennemente attaccato alle gonne di troppe donne e di una madre ovviamente ultra protettiva. Crescerà con l’aiuto dei nonni materni ma non si integrerà mai nella vita caotica e violenta di Rozzano definita “il Bronx di Milano”.

Questo bambino ha bisogno di affetto e attenzioni particolari che lo aiutino a capire tutto quello che accade intorno a lui, ma non è certo qui che troverà tutto ciò, non è certo in questa famiglia che potrà fare uno sviluppo infantile sereno.

Qualunque cosa faccia Jonathan si sente fuori luogo, si sente diverso da tutto e da tutti. Essendo anche molto timido non può trascorrere il tempo con gli altri ragazzini e preferisce sempre i giochi da femmina provando costantemente la sensazione di diversità che comprenderà soltanto alcuni anni dopo con lo sviluppo psico-sessuale.

Il romanzo prosegue via via arricchendosi di tinte sempre più fosche man mano che la vicenda avanza. Jonathan diventa il fantasma di sé stesso e solo grazie alla vicinanza del suo compagno e a quella della madre ultra presente e efficiente, Jonathan arriverà alla fine di un percorso durissimo e irto di insidie a scoprire il nome della sua malattia.

Lo dico subito, il romanzo non è piaciuto perché, a mio modestissimo parare, la trattazione è stata minima. Sembra quasi che la storia l’abbia scritta mentre era malato, non dopo che ha ritrovato una salute buona.

Inoltre ad entrambi i piani narrativi manca tutta la parte psicologica. Come ha affrontato la malattia che non passava? Quali riflessioni faceva mentre stava così male? Come trovava però la forza, almeno nel primo periodo, di fare quello che faceva?

E una volta scoperta la propria malattia come l’ha affrontata psicologicamente? Come è riuscito ad essergli di aiuto il suo compagno? Come ha elaborato la malattia e le conseguenze che avrebbe potuto avere? Come è passato dal terrore alla speranza?.

Ecco questo sono un po’ di domande che mi sono rimaste in testa dopo la lettura di questa biografia.

Anche la descrizione dei co-protagonisti è scarsa. I personaggi secondari sono quasi solo raccontanti dal loro nome. Sono pochissime le informazioni su di loro, sul loro aspetto, sul loro modo di interagire con il protagonista e quindi, il lettore fatica a completare l’immagine mentale.

Insomma la storia è interessante però lo sviluppo scelto dall’autore non è stato per me gradevole.

Libro da leggere obbligatoriamente perché nonostante tutte queste lacune di cui mi lamento, è uno dei pochi libri che affronta questa tematica a viso aperto, e che ci fa sentire la voce del protagonista.