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Nessuno come noi

Nessuno come noi – di Luca Bianchini, edito da Mondadori, prima edizione 2017.

La location di questa storia è situata nella provincia di Torino e l’anno è il 1987. Nel fulgore dei ruggenti anni ottanta, nel liceo Majorana di   Moncalieri si aggira un losco figuro che risponde al nome di Vincenzo ma, per tutti è solo Vince.

Come tutti quelli della sua età è un grande “aspirante”. Aspirante paninaro, aspirante innamorato, aspirante diciassettenne, aspirante di avere più libertà, aspirante che gli regalino un motorino, e aspirante… un sacco di altre cose che non confesserebbe a nessuno nemmeno sotto tortura.

Come tutti i protagonisti ha intorno a se i suoi seguaci: nello specifico si chiamano Caterina detta Cate e Spagna che è la dark della scuola. Capelli scuri e atteggiamento sempre molto simile al colore dei suoi capelli. Sono amici e credono talmente tanto nella loro amicizia che si sentono come se fossero amici da sempre. Sono così amici che, a scuola li chiamano “Tre cuori in affitto” che, guarda caso è anche la loro sit-com preferita.

La santità di questa triade viene spezzata improvvisamente e senza preavviso dall’arrivo di un nuovo alunno che si chiama Romeo Fioravanti e non potrebbe essere più diverso da loro. Il nuovo arrivato sembra un alieno per quanto è diverso da loro. Più grande di un anno perché è stato bocciato, bello, veste alla moda, ha la moto, e recita il ruolo, prima con sé stesso poi con gli altri, di quello forte, duro, che ha già capito tutto della vita. Siccome Romeo rischia di essere nuovamente bocciato viene affidato alle cure di Vince che lo dovrebbe aiutare a studiare. All’inizio i due fanno fatica a comprendersi ma, una volta prese le misure, inizieranno a camminare con lo stesso passo facendo esperienze che ricorderanno per tutta la vita.

Riuscirà l’aspirante Vince, coadiuvato dalle due parche a salvare il bullo Romeo? Cosa apprenderà in cambio Vince da questa relazione?

Questo romanzo ha un che di anomalo per tante ragioni. Intanto è un romanzo breve (siamo intorno alle 250 pagine) e ad una lettura distratta potrebbe sembrare un libricino che non lascia nulla al lettore; sembra che il protagonista sia soltanto Vince e invece arrivando alla fine e lasciandolo sedimentare si scopre tutto un mondo che non si era notato durante la lettura.

Spicca nella memoria il personaggio di Betty Bottone, insegnante di italiano che fa esercizi di danza moderna mentre spiega e che quando si arrabbia, lo fa in francese.

Tutti i personaggi, dai principali ai secondari rivestono un ruolo fondamentale perché incoscientemente danno ai quattro ragazzi delle lezioni importantissime.

Ogni pagina del romanzo è pervasa da quel senso di meraviglia che è tipico dell’adolescenza; dove sembra che tutto sia a portata di mano, che tutto sia fattibile; addirittura mentre lo leggevo avevo la sensazione di sentire il profumo degli ormoni dei ragazzi.

Questo scritto, tra le altre cose ricorda a noi, che non siamo più adolescenti da un po’, che la vita non necessita di accompagnamenti. Non servono i cellulari o i computer, non serve il Suv o la macchina sportiva, quello che serve è solo la voglia di passare, di nuovo, tutto il tempo possibile con le persone che siano in grado di farci battere il cuore. Ma non si tratta di battiti d’amore ma di quei battiti che, solo con gli amici veri sono all’unisono.

Secondo me l’autore ha cercato di fare una “operazione nostalgia” più per sé stesso che per noi lettori ma, ad un certo punto si è accorto che si erano affastellati nella sua memoria talmente tanti ricordi che chiedevano di essere spolverati, che non ha potuto fare altro che lasciare scorrere la penna e fluire insieme all’inchiostro anche la sua vita di adolescente.

Ultima notazione: Bianchini ha la straordinaria capacità di tratteggiare i personaggi con pochi elementi ma talmente pregnanti da permettere al lettore di immaginarli a tutto tondo.

In questo romanzo c’è molto dell’autore e proprio per questo è un libro consigliato a tutti ma soprattutto a chi ha voglia di ricordare, con un velo di malinconia, l’epoca dorata dell’adolescenza.

Il labirinto degli spiriti

Il labirinto degli spiriti di Carlos Ruiz Zafon, edito da Mondadori, prima edizione 2016.

Ultima fatica in ordine temporale per lo scrittore spagnolo che più di tutti negli ultimi anni ha conquistato le librerie e le classifiche di vendita, oltre che i nostri cuori.

Ancora una volta il romanziere spagnolo ci conquista con un libro inatteso anche se atteso a lungo.

Fa la sua comparsa Alice Gris. Emerge dalle profondità recondite della buia notte che è la guerra. Entra nella vita di Daniel Sampere in punta di piedi ma, quando ne uscirà nessuno avrà più la medesima esistenza che aveva prima, nemmeno la stessa Alice.

Il personaggio di Alice è il vero filo rosso che attraversa tutta la storia ed è l’unica persona talmente forte da poter portare questa storia ad una conclusione. Ho commesso un errore, ho scritto che porta la storia ad una fine ma in realtà questo libro è la conclusione di una ridda di storie.

Conosceremo la storia di Alice e finalmente vedremo anche il vero cuore di Fermin; anche Daniel arriverà a conoscere tutta la storia della sua famiglia mettendo così fine ad una pletora di supposizioni.

Ci immergeremo in un’ennesima storia ancora più nera e tetra di quelle che Zafon ci ha raccontato in questi anni nei precedenti romanzi.

Per tutti, di sicuro, il prezzo da pagare sarà altissimo. Talmente alto che ci sembrerà impossibile capire cosa sia pronta a fare la gente per ritrovare la serenità e tacitare quei fantasmi che, per anni hanno infestato le loro vite.

Tutti gli attori di questa storia usciranno cambiati dagli eventi raccontati nel libro. Con questo romanzo colossale Zafon ci porta al cuore delle passioni, degli intrighi e delle avventure.

Lo so che la sinossi stavolta è slegata e poco chiara ma è impossibile riassumere in poche righe tutto il “mare magnum” che Zafon ha infilato in questo romanzo. Tutte le storie, tutte le immagini, tutti i sentimenti, le citazioni, le ambientazioni.

Di sicuro però vi dico una cosa. In questa ultima fatica Zafon ha messo tutto quello che abbiamo amato nei suoi romanzi precedenti. C’è la Barcellona più intrigante e tirata a lucido che mai; c’è Madrid così affascinante e seducente da sembrare irreale; ci sono i personaggi disegnati sapientemente, ci sono i misteri e finalmente ci sono anche le soluzioni.

Come ogni volta che entriamo nella serie de “Il Cimitero dei libri dimenticati”, siamo di fronte ad un piccolo capolavoro, che sapientemente accarezza i nostri sentimenti, stimola la nostra curiosità, la porta al parossismo e poi ci fa urlare come durante una discesa verticale sull’ottovolante.

Libro assolutamente consigliato.

Nessuno come noi

Nessuno come noi di Luca Bianchini edito da Mondadori prima edizione 2017.

Prendendo ispirazione da un famosissimo quadro di Magritte “Ceci n’est pas un livre”, infatti questo romanzo è una macchina del tempo; lo inizi, ti rapisce e ti ritrovi soavemente nel 1987.

Nel liceo torinese quell’anno si trovano in classe tre grandi amici; Vincenzo, detto Vince; Caterina ovviamente detta Cate, e Spagna. Sono inseparabili al punto che, i loro compagni di classe li apostrofano “Tre cuori in affitto” come la famosissima sit-com in onda in TV.

Vince, il vero protagonista di tutta questa avventura, è un normale quasi diciassettenne che prova a destreggiarsi tra il desiderio di uniformità alla moda paninara, in voga in quegli anni e le difficoltà economiche della propria famiglia. Vive nella periferia di Torino, in un piccolo appartamento al piano rialzato e, mai ha trovato il coraggio di invitare a casa gli amici.

Tutti gli adolescenti hanno un grande amore in fondo al cuore e il nostro protagonista non si discosta da questo “clichè”. Ama perdutamente la sua amica Cate che ovviamente non se ne rende conto e continua, crudelmente, a chiedergli consigli amorosi.

Spagna è l’amica alternativa che abbiamo avuto tutti in classe. In questo caso si tratta di una ragazza dark che cerca di “reclamizzare” se stessa, aderendo ad una moda controversa.

La tranquilla navigazione di questo terzetto di terza liceo viene improvvisamente sconvolta dall’apparire del nuovo alunno. Romeo: bullo, ripetente, quasi diciottenne. A differenza degli altri tre “amigos”, Romeo è benestante per non dire schifosamente ricco.

Il mix è chiaramente esplosivo. Assisteremo alla vita di questo quasi quartetto, dal suo difficile formarsi fino alla fine di un anno scolastico scandito dalle lezioni della professoressa più simpatica del mondo, Betty Bottone, che inconsciamente e con grande sobrietà, insegnerà ai ragazzi quanto sia importante rincorrere i propri sogni rimanendo però con gli occhi ben spalancati.

Conosceremo le paure più profonde e le gioie più intime di questo quartetto.

Vince, Cate, Romeo e Spagna partiranno per il loro viaggio alla scoperta di se stessi portandosi solo la loro ingenuità; senza computer o smartphone ad indicargli la via, dovranno fare affidamento solo sulle proprie forze e sulla loro amicizia nutrita di bigliettini e preghiere perché il telefono di casa squilli e che sia libero.

Ultima notazione quasi inutile: in trasparenza al personaggio di Vince, si intravede il giovane Bianchini alle prese con la sua crescita.

Ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, Bianchini dimostra la sua grandissima abilità nel raccontare, attraverso storie minime, i grandi processi formativi dell’uomo; In altri romanzi ci ha esposto la “formazione” degli adulti con i gravi problemi che caratterizzano la nostra epoca, ma in questo tenue racconto è tornato alla soavità dei giovani, degli adolescenti raccontando con grande maestria quelli che sono gli anni più “difficili” della vita.

La scrittura è piacevole e permette al romanzo di scivolare come le placide acque del Po; i personaggi sono raccontati quel tanto che basta per permettere al lettore di figurarseli e di arricchirli con quei ricordi che ognuno di noi ha di quell’epoca.

Se, come me, siete stati adolescenti o giovani alla fine degli anni ‘80, sarà come immergervi in un fiume di dolcissimi ricordi. Se invece quegli anni non li avete conosciuti allora sarà un buon modo per assaporarli sulla punta della lingua.

Libro consigliato perché dolce come “un cuore di panna”!

La regina scalza

La regina scalza di Ildefonso Falcones edito da Longanesi prima edizione 2013. 

Il terzo romanzo di Falcone non è il migliore dei tre ma nemmeno quello che mi è piaciuto meno.

Dunque, cominciamo col dire che in questo romanzo non c’è un vero protagonista. Il romanzo segue più storie all’interno della stessa famiglia. Conosceremo Caridad, una ex schiava proveniente da Cuba che si aggira nelle strade della Siviglia del 1748. La donna si aggira per la città in preda alla febbre altissima e alle paure per il suo futuro ora che quello che era il suo padrone è morto lasciandola libera ma completamente sola.

Proprio nel momento in cui sente più vicina la morte, Caridad incontra Melchor un uomo rude e sprezzante, a capo di una delle famiglie gitane più importanti di tutta Siviglia, che la porta a casa propria ma non se ne occupa personalmente. Grazie a questo atto di umanità, Caridad incontra Milagros la giovane nipote di Melchor.

Milagros è una giovane che trasuda bellezza da ogni poro e come tutte le gitane ha il coraggio e la sfrontatezza della sua età e della sua razza. Si diverte a mettere in difficoltà gli uomini che incontra seducendoli per gioco per poi lasciarli con un palmo di naso.

Tra Milagros e Caridad nasce una amicizia bellissima, profonda e sincera che sperano durerà per tutta la vita.

La bella Milagros si invaghisce dell’arrogante Pedro Garcia, il giovane rampollo della famiglia “nemica” di quella di Melchor.

Il tutto si complica quando un editto regio bandisce i gitani come fuori legge; questo insieme alla cocciutaggine di Milagros, fa esplodere la famiglia obbligando i componenti a scappare per mezza Spagna nel tentativo di sistemare gli eventi privati. In tutto questo andirivieni Melchor, Caridad e Milagros dovranno separarsi e… solo seguendo le loro avventure si capirà se torneranno a riunirsi e in che modo.

Come suo solito Falcones scrive un romanzo di ambientazione storica; questa volta ci racconta della condizione dei gitani nella Spagna del XVIII secolo. Il suo romanzo è ricco, scorrevole, intrigante e la capacità descrittiva di Falcones permette di “vedere” gli avvenimenti, i paesaggi attraverso gli occhi dei tre protagonisti.

Nonostante le oltre 700 pagine (vi prego non fatevi spaventare dalla mole del libro), il romanzo scorre veloce e leggero; senza mai diventare verboso o annoiare.

Avrei preferito che venisse trattato un po’ più approfonditamente la situazione gitana dopo l’emissione del regio decreto di espulsione, ma probabilmente sarebbe stato poco coerente con la narrazione scelta dall’autore relativamente alla vita dei tre protagonisti.

Non scopro certo io il valore di Ildefonso Falcones, la sua abilità linguistica, la sua capacità nel creare trame complesse ma intriganti, la sua bravura nel raccontare i personaggi con brevi descrizioni che stimolano la curiosità del lettore obbligandolo a “riempire gli spazi” in modo da raffigurarsi gli attori.

Se vi sono piaciuti gli altri due libri di Falcones, non potete perdervi questo. Lo amerete come lo amo io!

Il viaggio dell’elefante

Il viaggio dell’elefante di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2008.

Ancora un libro di Saramago? Ebbene si. Questo autore mi piace moltissimo e quindi recensisco ogni suo scritto.

Questo romanzo è diverso dagli altri che ho letto del grande autore lusitano; diverso perchè meno intimista del consueto, meno introspettivo, meno riflessivo.

L’azione si svolge alla metà circa del XVI secolo. Mentre i venti della protesta luterana spazzano l’Europa, a Lisbona fa la sua comparsa l’elefante Salomone che arriva direttamente dalle Indie insieme al suo “cornac” di nome Subhro. Come tutte le cose nuove, Salomone suscita nei lisboeti attrazione e curiosità, ma passato il primo momento di orgiastico interesse, l’elefante Salomone passa la sua vita a mangiare e dormire.

Il sovrano del Portogallo, João III e sua moglie Caterina d’Austria decidono di inviarlo in dono all’arciduca Massimiliano, proprio ora che questi si trova a Valladolid in qualità di Reggente di Spagna.

Il regalo viene accettato, e così si procede ad organizzare la carovana che dovrà accompagnare il portentoso quadrupede ed il suo cornac prima da Lisbona al confine con la Spagna, e poi da Valladolid fino a Vienna, passando per Genova, Verona, Padova e Innsbruck.

Il romanzo è quindi il racconto di questo viaggio, di questa variopinta comitiva di ufficiali, servitori, soldati, preti, cavalli e buoi che, in mezzo a molte difficoltà e tra ali di gente entusiasta, ha il compito di scortare il prezioso dono fino a Vienna, dove l’elefante sarà artefice di un “miracolo” squisitamente umano.

Fin qui il breve riassunto del libro. Ora ci addentriamo tra le pagine alla ricerca delle emozioni, dei profumi, dei sapori che il grande Saramago dispensa a piene mani.

E’ strano come il protagonista di questo libro sia l’unico che in realtà non fa assolutamente niente, si limita a camminare e poi attende che il resto del mondo giri intorno a lui; E così, puntualmente, accade. Quasi una metafora della vita.

Tutto il resto della comitiva è costretta ad adeguarsi al volere di Salomone. E’ lui che conduce il gioco; il suo stesso cornac si guarda bene da provare a fargli fare qualcosa contro la sua volontà; se Salomone ha voglia di fare un pisolino… la comitiva si ferma e aspetta che il pachiderma si svegli.

E’ quasi dicotomico vedere come la comitiva sia percorsa da ondate di attività frenetica, e al contempo Salomone sia placidamente intento a mangiare, bere, dormire o, semplicemente, a non fare niente.

Io interpreto questa dicotomia come quella presente nella società contemporanea dove il popolino (cioè la maggior parte delle persone) si devono affannare per cercare di sopravvivere, e invece pochi eletti (qua rappresentati dal pachiderma) possano vivere serenamente serviti e riveriti di tutto punto senza nemmeno aver bisogno di impegnarsi molto.

Il personaggio di Salomone però non è un personaggio “negativo” infatti spesso, nel corso del romanzo, ha degli slanci di affetto che lo portano a realizzare azioni che sorprendono il suo stesso cornac (e noi lettori con lui) per intensità e profondità.

E’ triste realizzare come tutti gli altri personaggi del libro, peraltro raccontati splendidamente dalle parole dell’autore, siano un contorno all’elefante. Gli stessi arciduchi con la loro prosopopea, sono solo comparse che elevano, in controcanto, una sperticata lode al pachidermico regalo ricevuto dal sovrano del Portogallo.

Grandissima l’abilità di Saramago che, come al solito, ci racconta una storia nell’intento di raccontarne due; infatti, mentre ci racconta la storia del magnifico viaggio dell’elefante Salomone, parallelamente ci informa sulla situazione socio-policito-culturale della penisola iberica del XVI secolo.

Il metodo di scrittura è quello tipico del miglior Saramago. Punteggiatura quasi inesistente e frasi appiccicate le une alle altre ma, nonostante questa piccola fatica, il libro scorre costante al ritmo del viaggio dell’elefante.

Libro consigliato.