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Tieni presente che

Tieni presente cheChuck Palahniuk, Mondadori Editore, prima edizione 2020.

Il sottotitolo di questo che non sono sicuro sia possibile definire romanzo è: “Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto”, e questo credo che di per sé dica già tutto su questo libro.

Perché fatico a definirlo romanzo? Perché da una parte questo libro racconta, o meglio dovrebbe raccontare ai novelli scrittori, come si scrive un libro, ma dall’altra è una specie di biografia in cui il buon Palahniuk ci svela una serie di aneddoti tutti legati alla scrittura o alla difficoltà di scrivere.

E’ sicuramente un libro che mette in luce alcuni trucchi del mestiere di scrittore, ma è anche un romanzo di formazione che sfocia in una guida galattica per chi non accetta l’orizzonte che lo circonda; inoltre è un guanto di sfida nonché una confessione. Insomma, come suo solito, Palahniuk sfugge a qualsiasi categorizzazione tentiamo di imporgli.

Proprio come all’esordio, quando con Fight Club scompigliò le carte presenti sulla tavola della letteratura contemporanea, così fa con questo ultimo lavoro dove, nel tentativo di trasmettere quello che ha imparato nella sua esperienza di scrittore, veicola le informazioni non sotto forma di regole auree date agli affamati lettori, bensì nascondendole sotto i veli della sua esperienza in modo che sia necessario “scartarle, distillarle, e condensarle” prima di poterle effettivamente fare nostre.

Si impara, ad esempio, che raccontare storie è un atto di potere. Potere di vita e di morte. Raccontare storie quindi come atto dirompente perché significa creare accanto, attorno e sopra ad un libro o romanzo o storia che sia, una comunità ristretta e parziale, autoreferenziale che si autoalimenta e che si sostiene come una setta. In pratica creare una comunità che riconosce se stessa come unica perché le persone che ne fanno parte condividono un’emozione, una sensazione, un dolore, una morte o una rinascita.

Nel corso della lettura saremo accompagnati da vecchi amici e da nuove conoscenze, grandi autori del passato e recenti, da film, citazioni, ricordi, emozioni o giochi di parole di dubbio gusto; una cosa però sappiamo di sicuro che, quando usciremo dalla lettura, saremo uomini e donne diversi, più felici, più consapevoli, meno facilmente abbindolabili perché, nel corso della lettura, avremo assorbito, quasi per osmosi, un po’ del cinismo tipico di Palahniuk.

Se Shakespeare diceva che “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, Palahniuk ci ricorda che siamo anche fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, ma che è bellissimo che le nostre brevi vite abbiano la possibilità di tirare di scherma con questi avversari imbattibili ma leali e formativi.

Tieni presente che” ci insegna l’importanza di vedere la realtà da più punti di vista stimolando il lettore a leggere nuovi testi e nuovi autori; anche quelli che ci sembrano più distanti dalle nostre posizioni. Nella peggiore delle ipotesi, ci rafforzeremo nella nostra convinzione di essere dalla parte giusta del fiume.

Tirando le somme possiamo dire di essere in presenza di un romanzo che non è un romanzo, di una biografia che non è una biografia, di un saggio che non è un saggio perché tutti questi stili sono compressi nel genere letterario di Palahniuk che, fin da suoi esordi, si è sempre divincolato come un pesce per non farsi mai rinchiudere in una gabbia stilistica e mentale.

Ancora una volta Palahniuk ci incuriosisce con una scrittura assolutamente geniale, per poi lasciarci con un desiderio di conclusione che, sappiamo già, andrà deluso.

Libro strano ma, se vi piace lo stile di Palahniuk, assolutamente ibrido e diverso da qualsiasi cosa abbiate mai letto.

Mio fratello rincorre i dinosauri

Mio fratello rincorre i dinosauriMazzariol Giacomo, Einaudi editore, prima pubblicazione 2016.

Quando hai cinque anni e due sorella non vedi l’ora che arrivi un fratellino per pareggiare il conto con loro, e quando mamma e papà ti dicono che presto arriverà effettivamente un fratellino e che sarà speciale, tu ti senti esplodere dalla felicità. Non vedi l’ora che arrivi per poter giocare insieme e fare tutte le cose da fratelli.

Poi arriva ed è prima troppo piccolo per giocare, quindi devi aspettare che cresca. Quando finalmente cresce un po’ capisci che cosa volevano dire i tuoi genitori con quello “speciale”. Nella tua testa “speciale” voleva dire che aveva i superpoteri, nella realtà invece, molto più banalmente ha un cromosoma in più e quindi Sindrome di Down.

Tutto il tuo entusiasmo per questo fratello tanto agognato si trasforma immediatamente in rifiuto. Non lo vuoi attorno, non sopporti la sua presenza, non vuoi farlo conoscere ai tuoi amici perché lui ti mette a disagio, ha degli comportamenti fuori dalle regole, perché lui non sa come ci si comporta, insomma perché lui è lui senza mezzi termini e senza filtri.

Insomma in questo libro trovate la storia di Giovanni, raccontata dal punto di vista del fratello. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso più largo dei suoi occhiali, che ama i dinosauri e il rosso; che va al cinema con una compagna, torna a casa e annuncia: «Mi sono sposato». Giovanni che il tempo sono sempre venti minuti, mai più di venti minuti: se uno va in vacanza per un mese, è stato via venti minuti. Giovanni che sa essere estenuante, logorante, che ogni giorno va in giardino e porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche.

Quando un libro deve raccontare una situazione così complessa e dolorosa deve per forza essere un libro pesante, con una ricercatezza eccessiva delle parole per non essere offensivo nei confronti di nessun tipo di diversità o handicap, e invece, quello di cui vi parlo è uno dei libri più leggeri e leggibili che ho mai incontrato perché sposta il punto focale dalla malattia di Giovanni a Giovanni, dalla malattia alla famiglia che affronta la malattia.

Giovanni è un bambino con una malattia, non è la sua malattia. Eccezionale è vedere come all’interno della famiglia Giovanni non è mai trattato come quello diverso, è trattato semplicemente come Giovanni, come un membro della famiglia che ha delle necessità speciali.

Giacomo ci racconta come ha “affrontato” questo alieno, i suoi dubbi, le sue paure, le sue emozioni, i suoi disagi in un’età in cui tutto quello che si vorrebbe è uniformarsi al gruppo sociale e invece tu non puoi perché solo tu hai un fratello come Giovanni.

Ma poi cresci, maturi e capisci che la diversità è fondamentalmente un vantaggio, e alla fine realizzi che i superpoteri tuo fratello ce li ha davvero, proprio come speravi da bambino.

Siamo davanti ad un libro speciale. Uno dei pochi libri di questi ultimi anni che scardinino davvero i massi dei nostri preconcetti, un libro leggero che non vuole avere grandi pretese se non quella di raccontarti una storia e mentre te la racconta ecco che inizia ad inocularti un po’ di buon senso; ecco che piano piano trasuda nel tuo cervello la verità contenuta nel libro e quando arrivi alla fine sei più saggio e intelligente allo stesso tempo.

La scrittura del testo è molto semplice, non ci sono fronzoli o merletti lessicali, non ci sono voli pindarici. E’ tutto molto trasparente; i personaggi sono tratteggiati così bene che quasi si possono guardare in faccia. So che è stata fatta una trasposizione cinematografica di questo film ma vi prego, leggete il libro perché le emozioni sono più dirette dal libro. Non fatevi scappare questa piccola gemma.

Un libro che non lascia indifferenti, un libro che arricchisce.

Libro consigliato.

Dalla parte di Swann

Dalla parte di SwannMarcel Proust, edito in un miliardo di case editrici e in un miliardo di formati, prima edizione 1913.

Primo degli otto romanzi che compongono l’opera gigantesca di Proust “La ricerca del tempo perduto”, questo romanzo racconta nella prima parte l’infanzia del protagonista Charles Swann, che per qualcuno è l’alter ego di Proust stesso, nel villaggio di Combray. Nella seconda parte invece ci viene raccontato dell’innamoramento di Swann per una giovane e non meglio identificata ragazza di nome Odette. Infine, nella terza ed ultima sezione che compone il romanzo, Proust ci racconta di Gilberte, figlia di Swann e Odette.

Delle tre parti quella che maggiormente mi ha colpito è stata la prima non fosse altro per la presenza di due elementi. Uno degli incipit più banali che siano mai stati concepiti da mente umana “Per molto tempo, sono andato a letto presto” e, secondo, per l’episodio della madeleine.

Le madeleine, per chi non lo sapesse, sono dei tipici e soffici dolci lievitati con una caratteristica forma di conchiglia, tipici della cucina francese.

Nel romanzo l’io narrante ci racconta di come sia rimasto impresso nella sua mente il sapore delle madeleine che era abitudine mangiare la domenica mattina prima della messa a Combray. Il gusto del piccolo pasticcino intinto nel te caldo apre, nella mente del narratore il primo degli esempi di memoria involontaria che caratterizzeranno tutti i libri della Ricerca.

La seconda parte del romanzo, intitolato, “Un amore di Swann” ha un ritmo più rapido ed anche un interesse maggiore visto che finalmente Swann si innamora perdutamente di Odette de Crecy, che conosce ad una serata mondana nel salotto mondano di Madame Verdurin. Odette è una raffinata, esclusiva donna di mondo molto più attenta ai propri interessi che non alle sofferenze inflitte agli altri. E questo lo imparerà bene il povero Swann.

Vedremo Swann correre dietro alla ben introdotta Odette, perdere il senno ed il sonno dietro a questa banderuola che un giorno corrisponde ai suoi sentimenti ed il giorno successivo lo tratta come se si fosse inventato tutto. Questa parte è il racconto esatto di quanto può annullarsi, e rendersi ridicolo un uomo quando è preso dai sentimenti d’amore.

All’inizio della terza parte intitolata “Nomi di Paesi: il nome”, il romanzo cambia ancora diventando una sorta di diario di viaggi immaginari partendo dal Combray che è e resterà per sempre il piccolo scrigno che contiene i ricordi dell’infanzia.

Questo mondo, così chiuso in se stesso e protettivo, si contrappone ai paesi che l’autore desidererebbe visitare, fantasticando a lungo sui loro nomi. Grande attrattiva hanno, per l’autore, due luoghi. Balbec e Venezia.

Anche se questo romanzo è l’incipit di una delle storie più lette ed apprezzate dell’intero mondo, devo dire che non mi è piaciuto, l’ho trovato lento, melenso e appiccicoso come le ragnatele.

Nella prima parte seguire l’infanzia di questo bambino con tutte le sue storie, le sue paure infantili, ed il suo tormentatissimo rapporto con la madre mi ha fatto sbadigliare più di una volta; nella seconda parte, ad un primo momento di piacere quando il ritmo accelera è seguito subito lo scoramento quando, dopo due pagine, si capisce di che pasta è fatta la tanto dolce e bella Odette; e la terza parte l’ho trovata inutile e noiosa. Forse ha un senso come prodromo del secondo volume.

Lo stile attraverso cui Proust ci racconta questa storia è quello che caratterizza buona parte della letteratura francese di fine ottocento. Lunghissimi periodi, lunghissimi pensieri che raccontano di minuzie, di aliti di vento che fanno lentamente dondolare una tenda e quel dondolio apre una porta, riportando alla memoria di quella volta in cui…, facendo entrare qualsiasi tipo di ricordo. La lettura l’ho trovata abbastanza pesante, forse perché la trama è molto leggera e i personaggi sembrano perennemente impegnati nel ballo di un minuetto.

Forse se avessi trovato un motivo  per continuare con il secondo romanzo, il mio giudizio non sarebbe così negativo.

Libro non consigliato.

I delitti di via Medina-Sidonia

I delitti di via Medina-SidoniaPiazzese Santo, edito da Sellerio – Prima edizione 1996.

Questo è sicuramente un romanzo strano infatti cerca di farci credere che un omicidio sia un suicidio e che un altro omicidio sia una disgrazia. Entrambi gli omicidi si svolgono all’interno del dipartimento di biologia dell’università. Questo particolare è quello che assume a giustificazione il personaggio che, senza alcuna competenza specifica, si assume l’onere delle indagini.

Non siamo davanti ad un commissario di polizia o qualcuno debitamente formato in materia bensì al professore universitario della facoltà di biologia. Ricordiamo che l’autore rivestiva esattamente questo ruolo pertanto possiamo dire che il protagonista, la voce narrante, sia l’autore stesso.

Il giallo è ambientato a Palermo ma questa volta la mafia non ha luogo di esistere o di essere anche solo nominata. Seguiremo il protagonista, tale Lorenzo La Marca nel suo percorso per scoprire chi ha è macchiato le mani con il sangue di due brave persone.

Si tratta di un giallo molto ben scritto e costruito; se proprio un dettaglio che stona voglio cercare, diciamo che è un po’ troppo vecchio stile. Intendo che richiama molto lo stile narrativo dei grandi gialli della letteratura anglosassone.

Però uno dei vantaggi di questo romanzo è la grande capacità letteraria dell’autore. Ciò gli permette di infarcire il suo scritto di molte parole ricercate, molti aneddoti simpatici o piccanti che ne impreziosiscono il tessuto. Forse in alcuni passaggi il godimento di saper scrivere e di conoscere termini così inutilizzati ha inorgoglito l’autore al punto da fargli perdere il senso della misura. Ammetto che alcune frasi sono un po’ pesanti; sembrano quasi frasi da romanzi ottocenteschi.

Ma non perdiamo il filo. Nel corso della lettura vedremo il La Marca girare per una Palermo calda come un forno e, al tempo stesso, succulenta come una granita di caffè. Lo vedremo girare per zone della città che sembrano non essere collegate con gli eventi su cui sta indagando; parlare con persone e fare domande che sembrano lontane mille miglia dagli omicidi avvenuti.

E invece il buon La Marca, con i suo metodo un po’ arraffazzonato, la sua musica, il suo amore per il gentil sesso arriva, alla fine, a svelare tutto il mistero.

Ammetto che quando sono arrivato a leggere il finale sono rimasto un po’ deluso perché tutto è molto semplice e logico però, in un secondo momento e ad un’analisi più approfondita, ho capito che sbagliavo io. Infatti il vero obiettivo che Piazzese vuole che perseguiamo non è la banale scoperta dell’assassino bensì il viaggio percorso dal La Marca. E’ un po’ come godersi il viaggio prima di arrivare alla meta del nostro viaggio.

Lo stile letterario di Piazzese è limpido, fresco, leggero e, come certe piante carnivore, traditore. Infatti dopo poche pagine si capisce che quello stile ci incatenerà fino alla fine della storia.

Non aspettatevi un libro noioso perché Piazzese si diverte nel raccontarci la storia e ci fa divertire con simpatici calambour e frecciatine. Ma nonostante ciò, il libro è un omaggio alla letteratura e all’amore per i libri che si evidenzia nelle continue citazioni letterarie, ma anche cinematografiche e musicali del protagonista.

Lo dicevo all’inizio e lo confermo ora. Siamo di fronte ad un testo strano, difficile per alcuni versi, semplicissimo per altri; attrattivo come una calamita per le descrizioni magnifiche di una magnifica Sicilia e vagamente respingente se, come me, non amate troppo il citazionismo in cui Piazzese intinge un po’ troppo la penna.

Un grande pregio di questo romanzo giallo è che, di sicuro non lascia indifferenti infatti, o si ama o si odia.

Libro consigliato.

Maschio bianco etero

Maschio bianco etero di John Niven, edito da Einaudi, prima edizione 2014.

Kennedy Marr è uno che vive come un nababbo, coccolato e avvolto dal proprio egoismo. E’ giovane, è bello, veste alla moda e non si pone limiti. Nato nella vecchia Inghilterra rurale, Kennedy ha scritto un libro che ha fatto grande successo e che ancora adesso gli permette di vivere come un signore in California. La California è il posto ideale per lui perché qui gli eccessi sono più eccessi e nessuno sembra minimamente preoccuparsene.

Gli stravizi continui però non hanno influito solo sulla sua qualità scrittoria; infatti questi vanno di pari passo con una grave crisi creativa che non gli permette di scrivere una riga da oltre cinque anni. Ovviamente del suo live style risentono fortemente anche le sue finanze che al momento sono molto asfittiche per uno che spende e spande senza che ci sia mai un limite. Per arrotondare scrive squallide sceneggiature per il mostro fagocita pellicole che è Hollywood.

Inatteso giunge un ingente premio letterario attribuito al nostro protagonista da un piccolo college inglese che come controprestazione gli richiede solo di insegnare scrittura creativa per un anno ai loro studenti.

Se Kennedy dovesse accettare sarebbe un’ottima notizia per i pub e gli spacciatori della zona ma, il nostro protagonista, è lambiccato da una infinità di dubbi.

Intanto non gradisce lasciare la sua amata California e per un tempo così lungo, poi c’è il problema della destinazione, il college si trova in una sperduta campagna e non è “sufficientemente” vicino a nessuna grande città che gli permetta di mantenere i suoi vizi.

Per aggiungere beffa al danno nel college che, così disinteressatamente gli offre il premio, lavora la sua ex moglie nonché madre di sua figlia. I loro rapporti dopo il divorzio, sono nulli e anche nei confronti della figlia è sempre freddo e scostante perché, si giustifica, non è quel tipo di padre sempre presente nella vita dei figli post divorzio.

Ultima preoccupazione che vaga nella mente obnubilata del nostro protagonista è che il college è pericolosamente vicino alla casa di sua madre con cui praticamente non intrattiene rapporti.

Questa vicinanza lo obbligherebbe a doverla visitare spesso cosa che Kennedy preferirebbe non fare per il semplice fatto che non è capace di affrontare la madre soprattutto ora che soffre così tanto.

Che farà il nostro eroe? Correrà il rischio di risistemare, almeno temporaneamente, le sue finanze nella squallida e silenziosa campagna inglese oppure si farà nuovamente irretire dalle sontuose e rutilanti luci di Hollywood?

Che John Niven sia un scrittore con uno stile disturbante ormai si è capito bene dopo i primi due suoi successi “Uccidi i tuoi amici” (che in Italia sarà pubblicato solo nel 2019) e “A volte ritorno” recensito in queste pagine ma, in questo romanzo, al suo stile si accoppia anche l’amarezza di vedere quanto un uomo possa rimanere immaturo nonostante sia quasi di mezza età.

Il Kennedy che conosciamo nelle prime pagine è un uomo gretto, stupido, distratto, assolutamente edonista ed immaturo al punto da non riuscire nemmeno ad organizzarsi una serena vecchiaia. Talmente arrotolato sul proprio ego da non ascoltare nemmeno i buoni consigli di chi lo circonda.

Il linguaggio è quello tipico di Niven. Forte e sboccato. Non usa panegirici, dice le cose dirette sul muso. I suoi personaggi sono tutti ben definiti anche se sembra sempre che ci sia qualcos’altro da scoprire su di loro.

Camminano tutti sulle uova per non disturbare il sonno egoistico di Kennedy. Tutti provano a proteggerlo perché non abbia mai a soffrire, quando invece quello di cui avrebbe proprio bisogno è una buona bastonata sui denti, di quelle che la vita è così brava a dare.

Libro consigliato.

Mucho mojo

Mucho mojo di Joe R. Lansdale, edizione Einaudi , prima edizione 2007.

Non abbiamo ancora finito di ridere con l’immagine di Hap e Leonard sgocciolanti acqua e melma nell’avventura precedente ed ecco che li ritroviamo asciutti e oziosi in questa nuova storia raccontata da Lansdale con la solita cinica asciuttezza. Il nostro serafico duo è seduto sulla veranda di casa ad ammazzare cimici e a bere birra ghiacciata, sempre alla ricerca di qualche lavoretto per sbarcare il lunario. Non potrebbero sognare di meglio, ma il fato ha in serbo per loro qualcosa di completamente diverso. Uno zio di Leonard muore e lascia al nipote una fatiscente proprietà e centomila dollari in contanti. I due si trasferiscono là per ristrutturare la casa e poi venderla ad un prezzo maggiore ma, di nuovo, il destino mette loro il bastone tra le ruote. Sotto la casa che stanno ristrutturando, scoprono la mummia di una creatura. Scambiata, il un primo momento per un animale andato a morire sotto le assi della casa e mummificata dal caldo asciutto della zona, si scoprirà poi trattarsi di un bambino.

Il serafico duo si ritrova, suo malgrado invischiato in una nuova avventura che li porterà a scavare nel passato più sordido che possiate immaginare. Scopriranno, con l’aiuto di due poliziotti non sempre entusiasti, e di una sexy avvocatessa di colore che nel piccolo villaggio sono ormai dieci anni che scompare dal quartiere un bambino di colore figlio, spesso illegittimo, dei più poveri e derelitti o delle prostitute.

La notizia scioccherà, come è giusto che sia, i due amici che si impegneranno nella ricerca del mostro andando ad infilarsi, non immaginano quanto, tra le gambe del diavolo. Le indagini si dipaneranno sullo sfondo di una America nera che poco si fida del bianco Hap, mescolato a riti sessual-satanici. L’immagine che ne deriva è quella di una società americana spaccata in mille rivoli e che cammina con grande attenzione perché è cosciente del fatto che il terreno sotto i piedi è maledettamente friabile e che basterebbe anche solo una minima pressione perché tutto il castello crollasse al suolo.

Siamo di fronte ad un libro schietto e che sicuramente conquista l’attenzione del lettore. Ricordo che c’erano giorni in cui non vedevo l’ora di correre a casa per potermi buttare nuovamente tra le sue pagine, coccolato dalle parole di Lansdale. Il modo di scrivere di questo autore è fantastico. Ha la straordinaria capacità di affabulare il lettore e incatenarlo alla storia. Non usa trucchi o mezzucci come fanno altri per tenere vivo l’interesse del lettore. A volte è addirittura stringato nel suo modo di esprimere la storia e nonostante ciò, gli indizi di questo romanzo, che può benissimo essere considerato un giallo/horror, non sono nascosti ma ben esposti alla luce del sole. Tutti i lettori hanno quindi a disposizione gli elementi per giungere allo svelamento del mistero.

Ultima annotazione, lo stile di scrittura usato da Lansdale lo obbliga a fare delle descrizioni che siano molto asciutte quasi carenti. Questa caratteristica, che in altri autori o in altri romanzi può far sembrare claudicante il racconto, nel caso di questo scrittore assomiglia ad una sfida. Sembra quasi che l’autore sfidi il lettore a completare quelle parti che ha solo accennato obbligandolo a lavorare di fantasia per riempire quei buchi e pertanto a rendere sempre più personale la lettura.

Libro consigliato.

Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio

Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Amara Lakhous, edito da Edizioni EO, prima edizione 2006.

Ma che bello questo libro, ma che bello questo libro, ma che bello questo libro. Per niente facile fare una sinossi però.

Roma, piazza Vittorio, nell’ascensore di un condominio viene trovato un cadavere.

Immediatamente le indagini (che non ci verranno raccontate) si indirizzano sull’intervista dei vari condòmini. Tutti sono convinti di sapere chi sia l’assassino. Da ogni abitante del palazzo ci verrà raccontata una storia che sembrerà fine a se stessa, ma che poi intrecciandosi a tutte le altre, ci porterà a vedere la realtà sotto molte luci diverse; a vedere la verità in base alla cultura e all’educazione di ogni condòmino; sembrerà quasi che la loro capacità di elaborare la realtà sia imbrigliata dalle convenzioni più comuni. Rappresentano forse degli stereotipi?

Ogni personaggio però, ha una propria identità chiara che si delinea perfettamente nel corso del racconto facendosi portavoce di una personalità effettivamente “reale”; proprio in questo si trova la chiave dell’ironia di questo romanzo. Perché ognuno di noi ci si può riconoscere. In ognuno di loro, c’è un pezzetto di noi.

Tra le accuse della portinaia, convinta che l’assassino sia uno degli immigrati che “girano” nella zona, la badante peruviana che vive nel terrore di perdere il lavoro e che si “ammazza” di televisione, si ubriaca e si concede al primo che capita la domenica pomeriggio, ascoltiamo esterrefatti le tante altre storie che si intersecano mandando in secondo piano la ricerca dell’omicida.

Tutte queste storie sono intervallate dagli “ululati” di un non meglio precisato Amedeo che sembra essere una voce narrante “sovrana” ed invece è solo la cassa di risonanza attraverso cui queste storie sono legate le une alle altre. Ad ogni ululato conosceremo anche un pezzetto della vita precedente di questo oscuro figuro che frequenta gli immigrati e li tratta con sincero affetto.

Ma chi è veramente Amedeo? E soprattutto, perché è scomparso?

E’ bello questo modo di raccontare una diversità che ormai non notiamo nemmeno più. Tutte queste storie raccontano una realtà che spesso non conosciamo perché temiamo di “sporcare” la nostra educazione e la nostra cultura con educazioni e culture differenti.

Può sembrare un libricino leggero leggero, quasi letteratura da spiaggia, eppure ogni volta che si chiude il libro ci si ritrova a riflettere su una condizione di disagio su cui, forse, non abbiamo mai riflettuto abbastanza.

Si ride in questo libro certo ma si fanno anche riflessioni profonde. Alla fine di questo romanzo indubbiamente avremo una mentalità diversa anche solo per il fatto che abbiamo buttato un’occhiata in questo mondo.

L’autore, algerino di nascita, vive a Roma dal 1995 e ha vinto nel 2006 il premio Ennio Flaiano per la narrativa ed il premio Recalmare – Leonardo Sciascia.

Inoltre nel maggio 2010 è uscito il film omonimo diretto da Isotta Toso.

Ovviamente libro consigliato per un po’ di riflessione con il sorriso sulle labbra.

Nessuno come noi

Nessuno come noi di Luca Bianchini edito da Mondadori prima edizione 2017.

Prendendo ispirazione da un famosissimo quadro di Magritte “Ceci n’est pas un livre”, infatti questo romanzo è una macchina del tempo; lo inizi, ti rapisce e ti ritrovi soavemente nel 1987.

Nel liceo torinese quell’anno si trovano in classe tre grandi amici; Vincenzo, detto Vince; Caterina ovviamente detta Cate, e Spagna. Sono inseparabili al punto che, i loro compagni di classe li apostrofano “Tre cuori in affitto” come la famosissima sit-com in onda in TV.

Vince, il vero protagonista di tutta questa avventura, è un normale quasi diciassettenne che prova a destreggiarsi tra il desiderio di uniformità alla moda paninara, in voga in quegli anni e le difficoltà economiche della propria famiglia. Vive nella periferia di Torino, in un piccolo appartamento al piano rialzato e, mai ha trovato il coraggio di invitare a casa gli amici.

Tutti gli adolescenti hanno un grande amore in fondo al cuore e il nostro protagonista non si discosta da questo “clichè”. Ama perdutamente la sua amica Cate che ovviamente non se ne rende conto e continua, crudelmente, a chiedergli consigli amorosi.

Spagna è l’amica alternativa che abbiamo avuto tutti in classe. In questo caso si tratta di una ragazza dark che cerca di “reclamizzare” se stessa, aderendo ad una moda controversa.

La tranquilla navigazione di questo terzetto di terza liceo viene improvvisamente sconvolta dall’apparire del nuovo alunno. Romeo: bullo, ripetente, quasi diciottenne. A differenza degli altri tre “amigos”, Romeo è benestante per non dire schifosamente ricco.

Il mix è chiaramente esplosivo. Assisteremo alla vita di questo quasi quartetto, dal suo difficile formarsi fino alla fine di un anno scolastico scandito dalle lezioni della professoressa più simpatica del mondo, Betty Bottone, che inconsciamente e con grande sobrietà, insegnerà ai ragazzi quanto sia importante rincorrere i propri sogni rimanendo però con gli occhi ben spalancati.

Conosceremo le paure più profonde e le gioie più intime di questo quartetto.

Vince, Cate, Romeo e Spagna partiranno per il loro viaggio alla scoperta di se stessi portandosi solo la loro ingenuità; senza computer o smartphone ad indicargli la via, dovranno fare affidamento solo sulle proprie forze e sulla loro amicizia nutrita di bigliettini e preghiere perché il telefono di casa squilli e che sia libero.

Ultima notazione quasi inutile: in trasparenza al personaggio di Vince, si intravede il giovane Bianchini alle prese con la sua crescita.

Ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, Bianchini dimostra la sua grandissima abilità nel raccontare, attraverso storie minime, i grandi processi formativi dell’uomo; In altri romanzi ci ha esposto la “formazione” degli adulti con i gravi problemi che caratterizzano la nostra epoca, ma in questo tenue racconto è tornato alla soavità dei giovani, degli adolescenti raccontando con grande maestria quelli che sono gli anni più “difficili” della vita.

La scrittura è piacevole e permette al romanzo di scivolare come le placide acque del Po; i personaggi sono raccontati quel tanto che basta per permettere al lettore di figurarseli e di arricchirli con quei ricordi che ognuno di noi ha di quell’epoca.

Se, come me, siete stati adolescenti o giovani alla fine degli anni ‘80, sarà come immergervi in un fiume di dolcissimi ricordi. Se invece quegli anni non li avete conosciuti allora sarà un buon modo per assaporarli sulla punta della lingua.

Libro consigliato perché dolce come “un cuore di panna”!