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Cheope – l’Immortale

Cheope – l’immortale di Valery Esperian, edito da Fanucci, prima edizione 2018.

Valery Esperian è il nome scelto da un gruppo di importanti scrittori per dar vita a questa serie de “I Romanzi dei faraoni” ideate e curata da Franco Forte che comprende cinque titoli. Si tratta di una sorta di laboratorio di scrittura teso ad aumentare la qualità dei libri pubblicati.

Cominciamo col fare le presentazioni. Cheope fu un faraone egizio della IV dinastia. Regnò sull’intero Egitto dal 2589 (circa) al 2566 a.C.. Le date del suo regno non sono certe perché il materiale trovato durante i vari scavi sono pochi, lacunosi e si smentiscono l’un l’altro per cui poche sono le certezze su questo regnante. Addirittura la sua origine è avvolta nel dubbio. Si pensa che suo padre biologico possa essere il sovrano Snefru, ma anche qui le fonti non sono concordi. Anche sulla madre ci sono alcuni dubbi ma si propende per Hetepheres I. Di un cosa però siamo sicuri in tutta questa incertezza; fu lui a far progettare ed erigere la grande piramide che si trova nella piana di Giza e che porta il suo nome. A seconda di quali fonti si vadano a verificare il nome di Cheope è associato o ad un faraone benevolo e illuminato che si è impegnato per il benessere dei suoi sudditi, oppure un sovrano dittatoriale e crudele occupato solo dal pensiero dell’erezione della propria piramide. Probabilmente vale per lui ciò che vale anche per noi cioè che la verità si trova nel mezzo.

Dopo questo lunghissimo preambolo necessario, buttiamoci a capofitto nel romanzo.

Cheope, per nascita, non avrebbe dovuto diventare faraone perché quel ruolo era destinato a suo fratello maggiore. Per questo motivo Cheope viene mandato a studiare a Eliopoli ma i progetti degli dei erano diversi ed ecco che il “delfino” muore e si apre la battaglia per la successione. Proprio in forza dei suoi studi Cheope è abbondantemente avvantaggiato su tutti i fratelli sia quelli ufficiali sia i vari “bastardi” che suo padre ha seminato nei ventri delle sue concubine (cosa comune a tutte le corti del mondo).

Lo seguiremo nel suo incedere per arrivare al trono e alle corone dell’alto e basso Egitto. Cheope dovrà superare le gelosie e le manovre di palazzo, guardarsi le spalle dai falsi amici e combattere violenze e corruzioni. Accanto avrà delle persone fidate, tra cui la madre Hetepheres I. Grazie a lei, ad altri fedeli compagni e alle conoscenze apprese durante i suoi studi da scriba, Cheope arriva al trono ma non trova quella serenità che si era aspettato.

Tutta la sua vità sarà un rincorrere due obiettivi: la legittimità popolare del suo potere e svelare il segreto del Santuario di Thoth in cui si parla del metodo per raggiungere l’immortalità. Questo grande segreto sarebbe contenuto in alcuni papiri di cui ha trovato traccia negli scritti di Imothep. Per tutta la sua vita Cheope sarà assillato da questo pensiero; e forse li ha davvero trovati visto che a distanza di 4500 anni circa, ancora parliamo e scriviamo di lui.

Poche note sul romanzo. Lo stile è scorrevole ma le informazioni sono limpide. Il lettore viene catapultato nella storia e la narrazione è talmente “cinematografica” che sembra quasi di poterne vedere le immagini. I personaggi, sia quelli storicamente reali sia quelli immaginati, sono ben definiti. Personalmente ritengo che la grande bravura di questo collettivo stia nella descrizione dei paesaggi. Sembra quasi di sentire il caldo appiccicoso sulla pelle o gli odori e i profumi delle aree più fresche lungo il serpeggiare del Nilo.

Dietro questo libro, come penso dietro a tutti gli altri del collettivo, c’è una grande ricerca storica; ovviamente avendo pochissime informazioni riguardo a questo Faraone, su molte cose si è dovuto ricorrere alla fantasia ma sempre tenendo alta l’attenzione a ciò che, ad oggi, conosciamo con certezza.

La morale di questo libro, se volessimo trovarne una, è che non bisogna accontentarsi di quello che ci offre la vita, ma è necessario lottare per provare almeno a far avverare i propri sogni.

Libro molto consigliato se vi piace l’antico Egitto.

Il viaggio dell’elefante

Il viaggio dell’elefante di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2008.

Ancora un libro di Saramago? Ebbene si. Questo autore mi piace moltissimo e quindi recensisco ogni suo scritto.

Questo romanzo è diverso dagli altri che ho letto del grande autore lusitano; diverso perchè meno intimista del consueto, meno introspettivo, meno riflessivo.

L’azione si svolge alla metà circa del XVI secolo. Mentre i venti della protesta luterana spazzano l’Europa, a Lisbona fa la sua comparsa l’elefante Salomone che arriva direttamente dalle Indie insieme al suo “cornac” di nome Subhro. Come tutte le cose nuove, Salomone suscita nei lisboeti attrazione e curiosità, ma passato il primo momento di orgiastico interesse, l’elefante Salomone passa la sua vita a mangiare e dormire.

Il sovrano del Portogallo, João III e sua moglie Caterina d’Austria decidono di inviarlo in dono all’arciduca Massimiliano, proprio ora che questi si trova a Valladolid in qualità di Reggente di Spagna.

Il regalo viene accettato, e così si procede ad organizzare la carovana che dovrà accompagnare il portentoso quadrupede ed il suo cornac prima da Lisbona al confine con la Spagna, e poi da Valladolid fino a Vienna, passando per Genova, Verona, Padova e Innsbruck.

Il romanzo è quindi il racconto di questo viaggio, di questa variopinta comitiva di ufficiali, servitori, soldati, preti, cavalli e buoi che, in mezzo a molte difficoltà e tra ali di gente entusiasta, ha il compito di scortare il prezioso dono fino a Vienna, dove l’elefante sarà artefice di un “miracolo” squisitamente umano.

Fin qui il breve riassunto del libro. Ora ci addentriamo tra le pagine alla ricerca delle emozioni, dei profumi, dei sapori che il grande Saramago dispensa a piene mani.

E’ strano come il protagonista di questo libro sia l’unico che in realtà non fa assolutamente niente, si limita a camminare e poi attende che il resto del mondo giri intorno a lui; E così, puntualmente, accade. Quasi una metafora della vita.

Tutto il resto della comitiva è costretta ad adeguarsi al volere di Salomone. E’ lui che conduce il gioco; il suo stesso cornac si guarda bene da provare a fargli fare qualcosa contro la sua volontà; se Salomone ha voglia di fare un pisolino… la comitiva si ferma e aspetta che il pachiderma si svegli.

E’ quasi dicotomico vedere come la comitiva sia percorsa da ondate di attività frenetica, e al contempo Salomone sia placidamente intento a mangiare, bere, dormire o, semplicemente, a non fare niente.

Io interpreto questa dicotomia come quella presente nella società contemporanea dove il popolino (cioè la maggior parte delle persone) si devono affannare per cercare di sopravvivere, e invece pochi eletti (qua rappresentati dal pachiderma) possano vivere serenamente serviti e riveriti di tutto punto senza nemmeno aver bisogno di impegnarsi molto.

Il personaggio di Salomone però non è un personaggio “negativo” infatti spesso, nel corso del romanzo, ha degli slanci di affetto che lo portano a realizzare azioni che sorprendono il suo stesso cornac (e noi lettori con lui) per intensità e profondità.

E’ triste realizzare come tutti gli altri personaggi del libro, peraltro raccontati splendidamente dalle parole dell’autore, siano un contorno all’elefante. Gli stessi arciduchi con la loro prosopopea, sono solo comparse che elevano, in controcanto, una sperticata lode al pachidermico regalo ricevuto dal sovrano del Portogallo.

Grandissima l’abilità di Saramago che, come al solito, ci racconta una storia nell’intento di raccontarne due; infatti, mentre ci racconta la storia del magnifico viaggio dell’elefante Salomone, parallelamente ci informa sulla situazione socio-policito-culturale della penisola iberica del XVI secolo.

Il metodo di scrittura è quello tipico del miglior Saramago. Punteggiatura quasi inesistente e frasi appiccicate le une alle altre ma, nonostante questa piccola fatica, il libro scorre costante al ritmo del viaggio dell’elefante.

Libro consigliato.