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Il labirinto degli spiriti

Il labirinto degli spiriti di Carlos Ruiz Zafon, edito da Mondadori, prima edizione 2016.

Ultima fatica in ordine temporale per lo scrittore spagnolo che più di tutti negli ultimi anni ha conquistato le librerie e le classifiche di vendita, oltre che i nostri cuori.

Ancora una volta il romanziere spagnolo ci conquista con un libro inatteso anche se atteso a lungo.

Fa la sua comparsa Alice Gris. Emerge dalle profondità recondite della buia notte che è la guerra. Entra nella vita di Daniel Sampere in punta di piedi ma, quando ne uscirà nessuno avrà più la medesima esistenza che aveva prima, nemmeno la stessa Alice.

Il personaggio di Alice è il vero filo rosso che attraversa tutta la storia ed è l’unica persona talmente forte da poter portare questa storia ad una conclusione. Ho commesso un errore, ho scritto che porta la storia ad una fine ma in realtà questo libro è la conclusione di una ridda di storie.

Conosceremo la storia di Alice e finalmente vedremo anche il vero cuore di Fermin; anche Daniel arriverà a conoscere tutta la storia della sua famiglia mettendo così fine ad una pletora di supposizioni.

Ci immergeremo in un’ennesima storia ancora più nera e tetra di quelle che Zafon ci ha raccontato in questi anni nei precedenti romanzi.

Per tutti, di sicuro, il prezzo da pagare sarà altissimo. Talmente alto che ci sembrerà impossibile capire cosa sia pronta a fare la gente per ritrovare la serenità e tacitare quei fantasmi che, per anni hanno infestato le loro vite.

Tutti gli attori di questa storia usciranno cambiati dagli eventi raccontati nel libro. Con questo romanzo colossale Zafon ci porta al cuore delle passioni, degli intrighi e delle avventure.

Lo so che la sinossi stavolta è slegata e poco chiara ma è impossibile riassumere in poche righe tutto il “mare magnum” che Zafon ha infilato in questo romanzo. Tutte le storie, tutte le immagini, tutti i sentimenti, le citazioni, le ambientazioni.

Di sicuro però vi dico una cosa. In questa ultima fatica Zafon ha messo tutto quello che abbiamo amato nei suoi romanzi precedenti. C’è la Barcellona più intrigante e tirata a lucido che mai; c’è Madrid così affascinante e seducente da sembrare irreale; ci sono i personaggi disegnati sapientemente, ci sono i misteri e finalmente ci sono anche le soluzioni.

Come ogni volta che entriamo nella serie de “Il Cimitero dei libri dimenticati”, siamo di fronte ad un piccolo capolavoro, che sapientemente accarezza i nostri sentimenti, stimola la nostra curiosità, la porta al parossismo e poi ci fa urlare come durante una discesa verticale sull’ottovolante.

Libro assolutamente consigliato.

Il fantastico hidalgo don Chisciotte della Mancia

Il fantastico hidalgo don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes edito da Bur – prima edizione (prima parte 1605 – seconda parte 1615).

Dunque, cominciamo chiarendo il significato di “hidalgo”. Dalla fonte Wikipedia traggo “Il concetto di hidalgo ha la sua origine in Spagna e Portogallo, ed è sinonimo di nobile, sebbene colloquialmente si utilizzi il termine per riferirsi alla nobiltà non titolata. La hidalguìa dava diritto ad una serie di privilegi e distinzioni sociali, ad esempio gli hidalgos erano esentati dal pagare le tasse ma non necessariamente possedevano beni immobili. L’attributo veniva trasmesso di padre in figlio per linea maschile. Gli hidalgos erano i secondogeniti di una famiglia; diventavano conquistadores perchè a loro non spettava l’eredità della famiglia”.

Quindi don Chisciotte era un titolato ma non navigava certo nell’oro.

Il romanzo inizia con la presentazione del protagonista, al secolo Alonso Chisciana, un nobiluomo di campagna cinquantenne, che vive in un piccolo paese della Mancia e che dopo aver passato anni a leggere libri cavallereschi impazzisce e decide di diventare cavaliere di ventura ed emulare i grandi cavalieri di cui ha letto le gesta.

Si dota di una armatura (con la visiera in cartone), battezza il suo cavallo Ronzinante, cambia il suo nome in don Chisciotte della Mancia ed elegge a sua dama una contadina del luogo alla quale cambia il nome in Dulcinea del Toboso.

Parte quindi per il suo primo vagabondaggio che però durerà poco infatti dopo qualche disavventura e una buona dose di legnate inflittegli da chi ha sfidato, viene ritrovato alquanto malconcio da un suo compaesano che lo riconduce a casa.

Mentre si riprende dalle botte ricevute, il curato e il barbiere (amici di don Chisciotte) decidono che la causa della pazzia dell’amico stia nei libri cavallereschi della sua biblioteca e così ne bruciano la quasi totalità. Ma ciò non impedisce al cavaliere di rimettersi in piedi e di ripartire alla volta di nuove avventure. Prima però si sceglie uno scudiero, un contadino del paese – Sancio Panza – attratto dalla possibilità di guadagnare e dalla promessa di ottenere un’isola da governare.

E così si forma una delle coppie più celebri della storia della letteratura: il cavaliere alto, magro e allampanato in sella al suo Ronzinante, e lo scudiero basso e tondo in groppa al suo somaro (di questa immagine c’è una bellissima statua in Piazza di Spagna a Madrid).

In questa seconda uscita troviamo alcune delle più celebri avventure di tutto il romanzo tra le quali la battaglia contro i mulini a vento, scambiati da don Chisciotte per dei giganti e quindi sfidati a duello. Quasi tutte le avventure del dinamico duo finiscono con una sconfitta per il cavaliere e alla fine di questa seconda parte don Chisciotte viene convinto dal barbiere e dal curato, attraverso uno stratagemma, a ritornare a casa.

Nella seconda parte del romanzo il nobiluomo si decide ad una terza sortita proprio per affermare i suoi ideali di giustizia, di cortesia, di difesa degli oppressi tanto derisi nel libro appena pubblicato e della cui esistenza don Chisciotte viene a sapere al rientro dalla seconda fuga.

Numerose vicende si susseguono, ma il nostro protagonista ha quasi sempre la peggio; ormai divenuto famoso però è vittima delle beffe di coloro che incontra e lo riconoscono come il folle che si crede un cavaliere errante.

Motivo distintivo di questa seconda parte è però il fatto che non è più don Chisciotte a trasformare la realtà secondo la sua immaginazione (come avveniva nella prima parte), quanto i personaggi intorno a lui, compreso lo stesso Sancio, che lo convincono a compiere stramberie per poterne poi ridere. Anche questa sortita si conclude con il ritorno al villaggio dove don Chisciotte si ammala di una febbre forte che lo aiuta a rinsavire.

Don Chisciotte è un’opera di grande complessità e anche la lettura ha risentito di questa difficoltà; i personaggi creati da Cervantes sono sicuramente universali ed infatti vivono nell’immaginario collettivo avulsi dal contesto storico in cui li ha immersi l’autore.

Delle avventure del cavaliere della Mancia vengono date molte interpretazione ma quella che maggiormente affascina il mio ego di lettore, è quella che vede nell’hidalgo un campione di idealismo costretto a scontrarsi con la prosaica realtà priva di ogni eroismo che si permette anche di canzonare i suoi ideali. Probabilmente, come per l’Amleto di Shakespeare, anche del don Chisciotte continueranno a susseguirsi le più svariate interpretazioni.

Straordinario è, comunque, notare la freschezza di questo romanzo. Un’opera che Cervantes scrisse tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento, ha ancora un’“appeal” fortissima ai nostri tempi. I temi della cavalleria, del rispetto delle regole, dei valori dominanti della vita e dell’amicizia sono ancora i motivi per cui ci si affeziona a questo romanzo dopo essere stati attratti dalle follie del cavaliere.

Insomma si inizia a leggere per ridere delle sue avventure e si finisce con l’affezionarsi ai valori che muovono questo cavaliere.

Libro molto consigliato.