Archivio Tag: violenza

Febbre

FebbreBazzi Jonathan, edito da Fandango Libri – Prima edizione 2019.

Romanzo autobiografico che ci pone di fronte ad un libro complesso per la forma narrativa che l’autore ha deciso di utilizzare infatti, la storia viaggia su due piani temporali diversi.

Nel primo troviamo il 31enne Jonathan che ancora frequenta l’università, ha una vita normale, convive con il suo compagno, frequenta gli amici, tiene i suoi corsi di yoga e che in un bel giorno di gennaio, un giorno tale e quale a tanti altri che lo hanno preceduto, scopre di avere la febbre. Non quei bei febbroni da cavallo che ti fanno delirare, che ti sconquassano, che ti fanno pensare a addii definitivi, a testamenti da scrivere, a cose da lasciare. No, niente di tutto questo ma una febbriciattola, poche linee sopra la norma; più una infreddatura che febbre vera e propria; in queste condizioni tutti prendiamo una compressa, ci mettiamo sotto le coperte e, al risveglio è tutto passato.

Jonathan però il mattino dopo purtroppo non è guarito, la febbre c’è ancora e sembra mangiargli piano piano le energie sia fisiche ma soprattutto mentali. Nei giorni successivi il protagonista prova in ogni modo noto a mandare via la febbre ma niente sembra avere la meglio su questo malanno molesto.

La vita di Jonathan rallenta via via che il giovane consuma le forze residue. E’ costretto a lasciare il corso di yoga, unica fonte di reddito e le lezioni in università. Insomma il ritmo vitale di Jonathan è scandito solo dai risvegli notturni in pozze di sudore e da una stanchezza persistente che si mangia via via tutte le sue energie lasciandolo bianco e indifeso come una larva di formica.

Non volendo anticipare nulla al lettore, interrompo qui il riassunto della prima parte del romanzo.

Sull’altro piano narrativo l’autore ci racconta sé stesso nell’interazione con la provincia dove è nato. Quella Rozzano che lui tanto odia e da cui si sente odiato.

Troviamo Jonathan bambino con bisogni speciali, figlio di una famiglia dove il padre è perennemente attaccato alle gonne di troppe donne e di una madre ovviamente ultra protettiva. Crescerà con l’aiuto dei nonni materni ma non si integrerà mai nella vita caotica e violenta di Rozzano definita “il Bronx di Milano”.

Questo bambino ha bisogno di affetto e attenzioni particolari che lo aiutino a capire tutto quello che accade intorno a lui, ma non è certo qui che troverà tutto ciò, non è certo in questa famiglia che potrà fare uno sviluppo infantile sereno.

Qualunque cosa faccia Jonathan si sente fuori luogo, si sente diverso da tutto e da tutti. Essendo anche molto timido non può trascorrere il tempo con gli altri ragazzini e preferisce sempre i giochi da femmina provando costantemente la sensazione di diversità che comprenderà soltanto alcuni anni dopo con lo sviluppo psico-sessuale.

Il romanzo prosegue via via arricchendosi di tinte sempre più fosche man mano che la vicenda avanza. Jonathan diventa il fantasma di sé stesso e solo grazie alla vicinanza del suo compagno e a quella della madre ultra presente e efficiente, Jonathan arriverà alla fine di un percorso durissimo e irto di insidie a scoprire il nome della sua malattia.

Lo dico subito, il romanzo non è piaciuto perché, a mio modestissimo parare, la trattazione è stata minima. Sembra quasi che la storia l’abbia scritta mentre era malato, non dopo che ha ritrovato una salute buona.

Inoltre ad entrambi i piani narrativi manca tutta la parte psicologica. Come ha affrontato la malattia che non passava? Quali riflessioni faceva mentre stava così male? Come trovava però la forza, almeno nel primo periodo, di fare quello che faceva?

E una volta scoperta la propria malattia come l’ha affrontata psicologicamente? Come è riuscito ad essergli di aiuto il suo compagno? Come ha elaborato la malattia e le conseguenze che avrebbe potuto avere? Come è passato dal terrore alla speranza?.

Ecco questo sono un po’ di domande che mi sono rimaste in testa dopo la lettura di questa biografia.

Anche la descrizione dei co-protagonisti è scarsa. I personaggi secondari sono quasi solo raccontanti dal loro nome. Sono pochissime le informazioni su di loro, sul loro aspetto, sul loro modo di interagire con il protagonista e quindi, il lettore fatica a completare l’immagine mentale.

Insomma la storia è interessante però lo sviluppo scelto dall’autore non è stato per me gradevole.

Libro da leggere obbligatoriamente perché nonostante tutte queste lacune di cui mi lamento, è uno dei pochi libri che affronta questa tematica a viso aperto, e che ci fa sentire la voce del protagonista.

Fight Club

Fight Club di Chuck Palahniuk, edito da Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione 1996.

Scommetto 10 caffè che non vi siete ancora imbattuti in un libro così strano. Attenzione: ho detto strano non brutto. Anzi! Fight Club è uno dei libri più interessanti e ben scritti non solo di Palahniuk o del suo genere ma dell’intera letteratura americana dalla fine del millennio fino ai giorni nostri.

Siccome non è buona norma mettere il carro davanti ai buoi è meglio andare per ordine, cominciando con un brevissimo riassunto.

Il protagonista di questo romanzo non ha un nome perché l’autore ha deciso di non assegnargliene uno, forse perché l’anonimato permette a noi di riconoscerci più facilmente in lui. E’ un impiegato che vive in una bella casa con arredamento moderno molto ricercato e molto costoso. E’ affetto da una gravissima forma di insonnia che ne sconvolge la vita e lo porta a ricercare le peggiori esperienze per affaticarsi e trovare un po’ sonno. L’unica cosa che sembra funzionare contro la sua insonnia è partecipare ai gruppi di auto aiuto per i malati di cancro.

La sua malattia è talmente invalidane che nel lungo periodo sarà la causa per cui perderà il lavoro dopo aver dato di matto con il suo capo.

Oltre all’insonnia il nostro protagonista soffre anche per una infinita sfiducia nel genere umano che lo porta sempre più giù nella sua spirale depressiva. Tutto fino all’incontro casuale con Tyrel Durden un eccentrico uomo che fabbrica saponette (e scoprirete partendo da cosa), che diventerà il suo guru oltre che il suo migliore amico. Ma non solo. Lentamente, proprio come fa un tumore, Tyrel si impossesserà di tutta la vita del nostro protagonista senza nome. Questi non sarà più in grado di fare alcunché di propria volontà. Anche la sua capacità di giudizio sarà completamente delegata a Tyrel.

Per cercare di aiutare tutti quegli uomini che, come il nostro protagonista, hanno problemi di svariati generi, ma connessi con la mascolinità, i due fondano il Fight Club. Una specie di associazione segreta in cui questi uomini si sfidano ad incontri di boxe molto rudimentale, senza protezioni, senza regole e soprattutto nella più assoluta segretezza con l’intento di ritrovare dentro di sé il maschio vero che la società contemporanea vuole sempre più delicato ed androgino (lamentando poi la morte della mascolinità).

Fanno le cose seriamente i due al punto che definiscono delle regole. Vi riporto le prime tre affinché possiate farvi un’idea:

“La prima regola del fight club è che non si parla del fight club.

La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club.

La terza regola del fight club, quando qualcuno dice basta o non reagisce più, anche se sta solo facendo finta, il combattimento è finito.”

L’idea ha talmente successo che i due saranno costretti ad aprire più “succursali” (solitamente nei bar più infimi dopo l’ora di chiusura per non dare nell’occhio). Proporzionale al successo dei vari Fight Club è la loro discesa negli inferi. Non sarà più sufficiente incontrarsi e menarsi a mani nude per ripristinare l’ego maschile ma, i due costruiranno via via, una organizzazione sempre più complessa, sempre più illegale, sempre legata alla follia di Tyrel.

Ma chi è davvero Tyrel? Lo scopriremo con l’avanzare del romanzo.

Siamo di fronte ad un romanzo talmente particolare che anche il giudizio dicotomico “Mi piace / non mi piace” viene momentaneamente sospeso, davanti all’incredulità di quello che si è appena terminato di leggere. E’ quasi impossibile includere questo romanzo in uno dei generi soliti. E’ probabilmente qualcosa che fa classe a se stante.

Certamente Tyrel Durden è un nuovo rivoluzionario che si è dato la missione di distruggere il capitalismo e il consumismo dal loro interno, e che vuole combattere il vuoto pneumatico che, la società contemporanea crea nell’amino delle persone.

Grande importanza in questo romanzo hanno le ripetizioni. Tyrel ripete sincopaticamente e ossessivamente le parole, i concetti alfine che formino un’immagine precisa nella nostra mente, affascinando e trasmettendo al lettore, un senso di smarrimento che è quello che provano i frequentatori del Fight Club quando sono immersi nella società.

Palahniuk sventola la sua bandiera contro la società civile moderna, l’omologazione sfrenata, la pubblicità ossessiva che ci serve modelli difficilmente perseguibili e che obbliga la massa in recinti fatti di menzogne. Dal suo acido giudizio non si salva nemmeno quella ideologia sovversiva e un po’ radical-chic tipica del nostro tempo.

Nonostante lo stile sia frammentario la lettura risulta comunque scorrevole e fluida. Opera indubbiamente originale nei contenuti e nel modo di raccontarli, ha nella figura del flashback il suo centro di rotazione, da cui parte e a cui sempre ritorna.

Romanzo cruento, violento, volgare, sporco, inquietante e per alcuni versi apocalittico. Non si può negare però che abbia anche una qual certa vena comica. Siamo sicuramente di fronte ad un libro molto originale e, a suo modo, paradossale: un romanzo che fa sobbalzare sulla poltrona e che non lascia indifferenti. O si ama, o si odia.

Libro molto consigliato.

Una stagione selvaggia

Una stagione selvaggia di Joe R. Lansdale, edizione Einaudi, prima edizione 1990.

Questo è il romanzo con cui facciamo la conoscenza della strana coppia formata da Hap & Leonard, i due detective protagonisti della fortunata serie creata da Joe Lansdale.

Hap, bianco, maschio, eterosessuale che ha rinunciato da tempo ai propri sogni di giovane insurrezionalista che deve salvare il mondo, e la cui unica aspirazione ora è solo quella di una vita tranquilla, punteggiata dalle chiacchiere dell’amico e compagno di avventure Leonard.

Leonard invece è grosso maschio pieno di muscolosi, nero, cattivo, che pratica arti marziali, parla sporco, e senza peli sulla lingua, omosessuale in piena attività.

Nonostante la vita assomigli a quella che hanno scelto, poco lavoro e tanta serenità, Hap non ha rinunciato al suo sogno di fare la rivoluzione e l’arrivo della sua bionda ex moglie, Trudy risveglia gli antichi fuochi. Basta raccontargli della possibilità di recuperare mezzo milione di dollari, frutto di una rapina in banca compiuta anni fa che giace sul fondo della palude.

Anche se non completamente convinti il duo accetta l’incarico senza pensare che quei soldi non li stanno cercando soltanto loro e che molti soggetti ci hanno messo gli occhi sopra. In maniera un po’ avventata il trio si mette ad organizzare il recupero che non sarà assolutamente semplice in quanto non soltanto non sanno esattamente dove si trovano i soldi, ma sicuramente l’acqua della palude, marcescente e nauseabonda, non faciliterà il compito.

La storia è interessante, originale e talmente assurda da essere quasi incredibile. I personaggi sono molto originali, curiosi e ben caratterizzati. I due protagonisti sono così diversi tra loro, ricchi di unicità, che non si può non stare dalla loro parte. Trudy è la classica bella donna sfiorita nel tempo che si affida ai pensiero dei soldi per trovare nuovamente la felicità. Ovviamente è pure un po’ stronza.

Anche i personaggi secondari sono chiaramente ben definiti; tra loro troviamo Paco, un uomo con una storia che, quando ce la racconterà, ci farà accapponare la pelle dai brividi,

I dialoghi sono qualcosa che non ci si aspetta da un romanzo del genere; Non solo sono ben scritti, ma addirittura spassosi, ricchi di ironia ed autoironia. L’interazione tra i due protagonisti che chiacchierano, ricorda in qualche modo lo scambio di battute tra i comici del cabaret. Ognuno cerca sempre di avere la risata più fragorosa con soluzioni originali rarissime in questo genere di scritto.

La lettura del romanzo è davvero molto piacevole anche se alla fine ci lascia con ancora un po’ di fame.

Siamo forse di fronte al romanzo perfetto? No, certamente no però, a tutt’oggi è uno degli scritti che maggiormente ha stimolato la mia curiosità arrivando al punto da far montare dentro di me la giusta ansia di giungere al finale.

Ecco, due parole è necessario “sprecarle” anche per il finale. Siamo davanti ad un finale molto particolare infatti, se per tutto il romanzo l’autore ci ha coccolato con poche situazioni anomale o spaventose, ecco che con l’arrivo del finale apre le porte ad una serie di situazioni scioccanti ed improvvise che, quasi come una serie di badilate sui denti, ci obbligano ad ingoiare svariati bocconi di acqua melmosa mista a fango putrescente.

Ma non poteva esistere finale migliore.

Non ci resta che leggere i volumi successivi delle avventure di questo dinamico duo.

Libro leggero e consigliato.

Kage – La liberazione di Kage – La rivelazione di Kage

Kage – La liberazione di Kage – La rivelazione di Kage di Maris Black, edito da Quixote Edizioni, prima edizione 2019.

Prima di partire a spron battuto con la sinossi ci tengo a precisare alcune cose.
Si tratta di una serie di tre romanzi che si possono leggere separatamente ma che in realtà fanno parte di un progetto comune e la storia giunge alla sua conclusione con il terzo volume;
Sono romanzi che io ho trovato in formato digitale (ebook) e di cui credo esistano anche le versioni cartacee ma con il prezzo di un volume cartaceo si comprano tutti e tre i romanzi elettronici;
Si tratta di un romanzo erotico gay, pertanto, se questo ti disturba o se sei minorenne, fermati qua.

James Atwood è il classico bravo ragazzo americano. Frequenta l’università, spera di laurearsi in giornalismo per occuparsi di sport. Viene dalla Georgia, vive in un appartamento con i suoi colleghi di università e si ubriaca di tanto in tanto. E’ mediamente bello ma ha parecchio fascino, è fidanzato con una cheerleader; insomma quella che suole chiamarsi una vita con il pilota automatico inserito.

Michael “The Machine” Kage è un lottatore semi professionista di MMA (Arti Marziali Miste), di quelli che combattono negli ottagoni con pugni e calci. Nell’ambiente si sta facendo un nome ma è dura riuscire ad entrare nel gotha del settore. Ovviamente è una montagna di muscoli e, quando è nell’ottagono, si trasforma in un animale tutto istinto e niente cervello, e soprattutto nessuna pietà. E’ talmente bello da poter competere con qualsiasi star del cinema e può avere tutte le ragazze che vuole. Vive a Las Vegas ovviamente, nell’albergo dello zio. Ha un passato di cui preferisce non parlare. Ma a chi interessa il passato di una “macchina” nata solo per menare le mani?

I due si conoscono una sera in cui Kage va a sostenere un incontro e James viene mandato dal suo tutor a fare un servizio come tesina in vista degli esami imminenti. Le conoscenze di James in merito al MMA sono poche e derivano tutte da quello che gli ha raccontato il suo compagno di appartamento, nozioni che ha ascoltato con pochissimo interesse.

Con una gran faccia tosta e con la fortuna tipica dei principianti, James riesce non solo a incontrare ma anche a fare qualche domanda a The Machine dopo il termine dell’incontro.
Durante le poche battute che si sono scambiati James ha notato uno strano atteggiamento del lottatore ma non ha il tempo di analizzare questa sensazione perché, per la prima volta nella sua vita, James si trova in serio imbarazzo a causa dell’evidente bellezza di Kage.

Portato a casa il pezzo James ritorna alla sua vita monotona cercando di scrollarsi dalla mente quell’uomo. Ma la cosa non è affatto facile. Mentre pianifica l’estate successiva il suo tutor universitario lo convoca per comunicargli una notizia sconvolgente. Kage “The Machine” ha espressamente chiesto che James vada a fargli da “addetto stampa” per l’estate.

Si tratta di una grandissima opportunità per fare un’esperienza che potrebbe aiutarlo poi nello sviluppo della sua carriera. James è scioccato da questa fortuna e, insieme alla sua famiglia, decide che non può lasciarsela scappare anche se nelle retrovie del suo cervello una domanda comincia a infastidirlo: “perché Kage vuole proprio me come suo addetto stampa, visto che non ho alcuna esperienza in merito e soprattutto visto che mi ha parlato per non più di cinque minuti?”.

Ma l’opportunità è troppo ghiotta per starci a riflettere più di un momento ed ecco che il piccolo Jamie si imbarca su un aeroplano che lo porterà a… incontrare la propria vita e il proprio destino.

Altro dirvi non voglio ma sappiate solo che la strada sarà lunga e perigliosa.

I personaggi sono pochi e molto ben caratterizzati. Ogni ruolo è coperto in maniera perfetta. Forse l’unico personaggio che poteva essere sviluppato maggiormente è lo zio di Kage ma le scelte autorali non sono mai discutibili. Il ritmo è incessante, come una folle corsa senza freni su una strada di grande pendenza. L’autrice è bravissima nel distribuire i colpi di scena e nel guidare il lettore alla fine del capitolo o alla fine del libro, tenendolo in sospeso in modo che sia invogliato a continuare nella lettura.

Trattandosi di un romanzo erotico le scene di sesso, necessarie allo sviluppo del romanzo, sono chiaramente esplicite, dirette e manifeste. Ma non si deve ritenere che queste siano le uniche emozioni presenti nel romanzo. Anzi, io mi sono trovato spesso a riflettere su come mi sarei comportato se fossi stato nei loro panni; se condividessi o meno le scelte che facevano nel corso della storia; mi sono ritrovato spesso a pensare che il tale personaggio o  che tale situazione fossero alquanto ambigue.

Un libro completo, piacevole, scorrevole, piccante al punto giusto, intrigante e che, in alcuni momenti, è stata una carezza sul cuore!

Libro consigliato a maggiorenni e a chi ha il coraggio di affrontare qualcosa di sconosciuto ai più.

Il signore delle mosche

Il Signore delle Mosche di William Golding edito da Oscar Mondadori, prima edizione 1954.

A causa di un incidente aereo, un gruppo di ragazzini si ritrova su una non meglio identificata isola deserta dell’oceano senza alcun adulto. Sono in una laguna con le acque cristalline, contornati da palme e da una vegetazione lussureggiante. I primi protagonistiche incontriamo sono Ralph, biondo dodicenne molto spigliatoaccompagnato daun bambino il cui soprannome è Piggy miope e grassottello. I due esplorando l’isola trovano una grande conchiglia che usano per provare a richiamare altri sopravvissuti. Dalla fitta vegetazione fanno la loro comparsa due gemelli, Sam ed Eric, e alcuni ragazzi appartenenti ad un coro, guidati da Jack, fulvo e leggermente robusto.

All’interno del coro spiccano Simone timido e affetto da frequenti crisi epilettiche e Ruggero solitario e schivo quasi avesse in noia la compagnia.

L’illusione di un paradiso pienodi giochi e divertimento senza alcuna regola né controllo, si scontro presto con il desiderio di costruire una comunità basata su regole certe. Ralph, astuto e dotato di grande carisma, viene immediatamente eletto capo del gruppo e la sua prima decisione sarà di ripartire le incombenze tra i vari membri del gruppo su suggerimento del cicciottello Piggy.

Quindi un gruppo si occuperà della ricerca di cibo, altri si occuperanno della costruzione di rifugi ma il compito più importante è quello di accendere un enorme fuoco, in cima alla montagna, il cui fumo possa attirare le navi di passaggio.

Ma ahimè, la situazione idilliaca inizia inesorabilmente a degenerare perché i bimbi trascurano i propri doveri. La caccia è un richiamo primordiale troppo forte ed ecco che quasi tutti i bambini iniziano a seguire il gruppo dei cacciatori guidati da Jack. La democrazia di Ralph e Piggy si sgretola in una società violenta e istintuale guidata da Jack.

Credendo nell’esistenza di una fantomatica bestia i ragazzi decidono di offrire in sacrificio la testa di una scrofa che hanno ucciso durante una battuta di caccia; portano questa testa nel cuore della giungla e la issano su un bastone. Simone durante una delle sue crisi si imbatte in questo feticcio putrefatto e ricoperto di mosche, che gli confida che il Male non può essere sconfitto. Nel tentativo di fuggire da questo terrore Simone giunge sulla spiaggia dove i suoi compagni di sventura stanno facendo una danza tribale. I suoi compagni lo circondano e…

Questo romanzo è l’opera di maggiore successo di WilliamGolding che ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1983. E’ un romanzo che ha visto una genesi difficile; scritto nel 1952 e rifiutato dalle alcune case editrici, vede la luce nel 1954 grazie alla “spinta” di T. S. Eliot che, si dice, abbia anche inventato il titolo.

Il libro è diviso nettamente in due parti. Prima la luce dell’organizzazione, della razionalità che ha come rappresentante il “biondo” Ralph a cui segue il buio della brutalità, della rozzezza che si identifica nel “fulvo” Jack.

Secondo la concezione di Golding l’uomo è, per sua propria natura, votato al male. Tale concezione è chiaramente espressa nella frase a lui attribuita “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.

Il romanzo, solare e accogliente nella prima parte diventa un incubo freddo e aspro nella seconda. I ragazzi sembrano posseduti da una bestia feroce che li porta a comportamenti violenti e crudeli. E’ netto il passaggio da una ordinata società ad un’orda di bestie violento e istintuale.

Per scelta dell’autore non sono presenti riferimenti temporali o geografici e questo fa si che “Il signore delle mosche” sia un testo validissimo per la rappresentazione di qualsiasi epoca e in qualsiasi società.

Indubbiamente una lettura cruda e violenta, dolorosa e spaventosa ma sicuramente un libro che non lascia indifferente il lettore. Non si esce da questo libro uguali a come si è entrati. Di sicuro in fondo al cuore rimane il retaggio del terroreche ciò che racconta Golding possa accadere anche nelle nostre società lucide e precise.

Lettura assolutamente consigliata e non solo ai ragazzi.

Io sono il messaggero

Io sono il messaggero di Markus Zusak, scritto nel 2002, vincitore del Children’s Book Council of Australia nel 2003. È stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2006 da Mondadori con il titolo La quinta carta, per poi essere tradotto nuovamente con il titolo Io sono il messaggeronel 2015, edito da Frassinelli.

Il romanzo racconta l’avventura vissuta da Ed Kennedy, diciannovenne tipico abitante dei sobborghi cittadini. Tassista, nonostante la sua giovane età, ama leggere e giocare a carte insieme ai sue tre migliori amici. Molto innamorato di Audrey che però non vuole legarsi per non rischiare di soffrire come è già successo in passato.

Durante una rapina in banca, fatta da uno che sembra proprio un principiante, Ed ferma il rapinatore quasi senza rendersene conto. Grazie alla fama dovuta a questo accadimento Ed ritrova ad essere scelto come destinatario per delle missioni che sono scritte su carte da gioco. La prima carta che gli viene consegnata è l’asso di quadri. Sulla carta Ed trova tre indirizzi e un orario in cui fare la sua visita. Ed capisce che dovrà fare qualcosa per cambiare la vita di alcune persone. Terminata questa prima missione la ricezione delle carte da gioco si arricchisce di qualche piccolo enigma per comprendere dove fare l’intervento successivo. Dopo l’asso di quadri Ed riceverà in ordine quello di fiori, poi picce ed infine quello di cuori.

Se all’inizio dell’avventura era solo la curiosità a spingere Ed, man mano che si avanza nella lettura si capisce che Ed inizia davvero a credere nel suo ruolo di messaggero anche se non ha la minima idea di chi ci sia dietro a tutto questo. Lo vedremo coinvolto nel tentativo di fermare la violenza domestica di un uomo verso la propria donna; sarà un ottimo compagno negli ultimi giorni di una donna ultraottantenne rimasta sola; porterà autostima ad una ragazzina.

Ogni volta che termina le missioni indicate su una carta, gliene viene consegnata una nuova. Con l’avvento dell’asso di cuore il gioco cambia un po’. Questa volta, destinatari delle sue “buone azioni” non sono più degli emeriti sconosciuti bensì i suoi più cari amici. Ritchie, Marvin e Audrey. Come nei casi precedenti il messaggio non è semplice ma, questa volta c’è la componente emotiva della conoscenza e amicizia a complicare le cose.

Chiaramente la chiave di volta di tutto il libro è l’ultima missione; quella con Audrey perché in questo caso c’è la componente dell’amore. I due si piacciono da molto tempo e non si sono mai concessi di amarsi perché le paure di soffrire li hanno sempre consumati. Ed e Audrey sono migliori amici da moltissimi anni e finalmente i due si diranno le cose che conservano nel cuore da sempre e faranno evolvere la loro amicizia in qualcosa di più profondo.

Diversamente da quanto ci si aspetta l’asso di cuori non sarà l’ultima carta che Ed riceverà, infatti ci sarà un’ultima consegna su cui il ragazzo troverà indicato il proprio indirizzo. “Che cosa vuol dire tutto questo?” si chiede il ragazzo – sarà compito del lettore scoprirlo insieme all’identità del vero mandante.

Dalla descrizione può sembrare un libro ricco di tanta tensione ed invece l’atteggiamento vagamente menefreghista di Ed riesce bene a smorzare questa suspance. Il lettore è catturato dalla curiosità di scoprire come evolve la storia eppure deve seguire Ed con la sua indolenza, con la sua flemma che però da tempo al lettore di riflettere su quanto sta accadendo e di farsi un’idea propria di tutta la situazione.

La scrittura è semplice ed efficace, ogni attore è disegnato dall’autore in maniera non troppo approfondita ma sufficiente per farci conoscere e comprendere le sue scelte ed i suoi comportamenti. Ed ci sta subito simpatico proprio perché in quasi tutte le famiglie c’è un personaggio come lui, il suo rapporto con gli amici ci ricorda le nostre amicizie di gioventù. Insomma è un libro che ci conquista con la sua semplicità. Non ha orpelli inutili ed anche la scrittura è semplice e diretta. Proprio per questa sua schiettezza è un libro che segna il lettore nel profondo e insegna che la vita è sempre e comunque una lotta.

Libro consigliato.

La via del male

La via del maledi Roberth Galbraith, edito da Salani, prima edizione 2015.

Ormai mancano pochi mesi alle nozze e Robin Ellacott, la socia di Cormoran Strike, è mentalmente occupata a pensare a tutte le cose che è necessario organizzare per il matrimonio.

In ufficio è passato un anno circa dall’ultimo caso impegnativo e la routine si ripete stancamente. Anche il corso di sorveglianza e contro sorveglianza è ormai alle spalle quando Robin riceve uno pacco particolarmente pesante. Nulla può preparare la ragazza a quello che l’aspetta.

All’interno del contenitore, indirizzato a lei, c’è una gamba di donna, amputata con tanto di dita e unghie. Inoltre c’è anche un biglietto con un verso di una canzone.

Il medesimo verso che era tatuato sull’inguine della madre di Strike. Questo particolare suggerisce all’investigatore il fatto che in realtà il messaggio sia stato inviato a lui utilizzando la sua socia come se fosse uno strumento.

Proprio la presenza di questo biglietto mette l’investigatore sulle tracce di tre suoi vecchi “nemici”. Noel Brockbank ex-commilitone e personaggio indubbiamente viscido; Donald Laing, ex compagno di squadra in polizia, battuto da Strike in un match pugilistico nel quale Laing dichiara di aver subito danni cerebrali per l’eccessiva violenza del poliziotto e Jeff Whittaker che è stato l’ultimo compagno della madre di Strike.

Il rapporto tra Strike e quest’uomo è sempre stato parecchio burrascoso quindi è facile immaginare quale sia la furia dell’investigatore in questa situazione. Strike sa in cuor suo che ciascuno di loro è capace di tale efferatezza e probabilmente anche peggio.

Seguiremo l’investigatore e la sua socia durante questo ennesimo caso che mette a rischio oltre alla stabilità economica e alla reputazione dell’agenzia investigativa anche il rapporto tra i due protagonisti.

Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, Galbraith dimostra di essere un ottimo distributore di suspence. Ci farà seguire separatamente i due soci nel tentativo di rintracciare quel impalpabile indizio che Strike non riesce a trovare nella sua memoria. Ci farà penare con Robin quando questa per seguire la propria indole rischierà la propria vita e buona la risoluzione del caso.

Di nuovo come già nei due romanzi precedenti l’autore assegna un ruolo paterno all’investigatore ma la ragazza metterà in atto tutto ciò che è in suo potere per far saltare questo ruolo. Tra i due c’è indubbiamente una attrazione latente che nessuno ha il coraggio di esplicitare.

Ormai l’autore non ha più bisogno di raccontarci i due protagonisti visto che siamo al terzo caso per i due investigatori; questo non vuol dire che non sia in grado di disegnarci i nuovi personaggi, le loro caratteristiche, le loro fobie, le loro manie e crudeltà passate e presenti.

A questo libro non manca nulla. C’è la suspence, c’è la crudeltà quasi pulp, c’è la Londra più notturna e pericolosa che si possa immaginare. Ogni pagina è una pennellata a tinta forte che rappresenta la crudeltà di certi personaggi.

Ultima annotazione. Il romanzo si può leggere anche come opera singola ma è quasi un peccato perdersi i due che lo hanno preceduto.

Libro indubbiamente consigliato.

Treno di notte per Lisbona

Treno di notte per Lisbona di Pascal Mercier (al secolo noto come Peter Bieri), edito da Mondadori, prima edizione 2004.

In questo libro si parla di un libro che non è quello che stiamo leggendo; il protagonista di questo libro è il paravento dietro cui si nasconde il vero protagonista e la città dove tutto avviene non è quella dove solitamente vive il nostro protagonista.

Lo so, sembra terribilmente complicato ma, se mi seguirete, prometto di essere più chiaro.

Raimund Gregorius di anni 57 (chiamato Mundus dai propri studenti) è un professore di latino, greco ed ebraico che svolge la sua mansione nel liceo di Berna; la mattina in cui inizia il nostro romanzo il professor Gregorius sta attraversando il ponte Kirchenfeld alle otto meno un quarto come tutte le mattine lavorative.

Ma questa non è una normale mattina lavorativa infatti il suo sguardo viene attratto da una cosa insolita. Vede una donna, a lui totalmente sconosciuta, gettare una lettera dalla spalla del ponte. Quasi come se si trattasse di una visione, il professore intuisce che il desiderio della donna sia quello di farla finita gettandosi anch’essa nelle acque del fiume. Immediatamente si lancia ad impedire questo gesto. La signora, grata, lo ringrazia dicendo poche parole in francese e… scrivendogli in fronte un numero di telefono.

Mentre i due si asciugano i vestiti nell’androne del Liceo dove Gregorius lavora, il professo chiede di dove sia la signora e lei risponde “Portugués”; il suono di questa parola inizia uno strano processo di scavo nella mente dello stimato professore.

Tale scavo accelera quando, poche ore dopo l’incontro, Gregorius si trova nella libreria spagnola dove casualmente viene in contatto con un libro che reca in copertina la seguente iscrizione: AMADEU INACIO DE ALMEIDA PRADO, UM OURIVES DAS PALAVRAS, LISBOA 1975.

L’attrazione verso il libro è tale che, dopo essersene fatto tradurre alcune pagine dal libraio, decide comunque di acquistarlo nonostante non parli portoghese. Compra anche un dizionario di portoghese e inizia a tradurre il testo di Prado.

Quello che trova scritto in questo libro è talmente affascinante ed evocativo che il nostro eroe, uomo di solito prevedibile, calmo e razionale decide in modo inaspettato di andare a Lisbona con il treno della notte.

Qui indagherà sulla complicata vita dell’autore e attraverso questa analisi avrà la possibilità di analizzare sé stesso e la propria esistenza.

Grazie alle idee e riflessioni che trova nel libro di Prado, Gregorius permette a sé stesso di mettersi in discussione per la prima volta, scoprendo finalmente chi è in realtà l’uomo che si nasconde dietro il cattedratico; questa nuovo occhio con cui guarda il suo passato scruterà approfonditamente tutta la sua esistenza mettendo delle luci accecanti su eventi e decisioni che lo hanno portato a chiudersi nella propria solitudine.

Si tratta chiaramente di un romanzo non di facilissima lettura anche se lo stile di scrittura è fluentissimo e molto gradevole; Il continuo ricorrere alle filosofie di Prado, permette al lettore di leggere contemporaneamente due storie, e di poter mettere in relazione le esistenze dei due protagonisti entrambi intrappolati nel proprio passato.

I personaggi sono tanti e finemente raccontati; la storia che scoprirà chi avrà la voglia di rapportarsi con questo libro, è una di quelle che si artigliano al cuore e non lo lasciano più.

Concludo con una citazione presa dagli scritti di Prado: “perché poi è così difficile mantenere aperto lo sguardo? Siamo esseri pigri, bisognosi di ciò che è noto, familiare. Curiosità come raro lusso sul terreno dell’abitudine. Stare saldi e saper giocare con l’apertura, questa sì sarebbe un’arte. Bisognerebbe essere Mozart. Un Mozart di un futuro aperto”.

Libro molto consigliato a chi ha palato fine.

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito

Il caso Malaussène – Mi hanno mentito di Daniel Pennac, edito da Feltrinelli – prima edizione 2017.

Questo romanzo è come un fiume che si forma dall’unione di tanti torrentelli; questi, prima di diventare fiume giocano, esplorano, si divertono, si avvicinano e poi subito si allontanano; si uniscono per dividersi subito dopo; convergono per divergere immediatamente, quasi avessero paura di annullare la propria unicità senza capire che proprio la somma delle loro personalità creerà l’anima e il carattere del fiume.

Ci sono un sacco di storie in questa ultima fatica del buon Daniel Pennac. Ovviamente c’è la storia di Benjamin che, come è previsto dall’ordine naturale delle cose, diventa presto secondaria rispetto a tutte le storie dei “bambini” della famiglia.

C’è il rapimento di un personaggio molto molto importante per cui viene presentata una richiesta di riscatto che è allo stesso tempo ingentissima e di una ingenuità incredibile.

C’è l’amore di Benjamin per la sua bellissima donna, c’è ovviamente la presenza del cane Julius che è lui ma non è lui, nel senso che non è lo stesso cane dei libri che lo hanno preceduto, ma che rappresenta ancora l’archetipo del cane dei Malaussène.

Ci sono tutti i personaggi della famiglia e soprattutto ci sono i fratelli di Benjamin che sono diventati adulti, hanno una propria vita che inorgoglisce Benjamin e lo preoccupa allo stesso tempo.

I fratelli richiedono una informazione supplementare. Bisogna ricordare che sono tutti fratelli perché la mamma è comune (e ogni volta che finisce un amore, torna a casa incinta fino alle orecchie), ma che sono tutti figli di padri diversi. Tutti amati e amanti alla medesima maniera ma tutti fratelli a metà.

Come sempre accade nei romanzi di Pennac, Benjamin si ritroverà, suo malgrado, invischiato nella indagine di polizia relativa al rapimento del personaggio, con la differenza che, mentre nelle altre avventure lo sfortunato protagonista aveva sentore della “sfiga” che stava per colpirlo, questa volta il tutto accadrà senza che lui ne abbia la minima avvisaglia. No, Benjamin non è diventato più stupido di quanto già non fosse, è che questa volta la sua attenzione è totalmente dedicata allo svolgimento del lavoro che la Regina Zabo (capo delle Edizioni del Taglione) gli ha assegnato. Proteggere il famoso scrittore che è la nuova gallina dalle uova d’oro, e che gli stessi familiari dell’autore vorrebbero eliminare per impedirgli di scrivere un altro libro con cui screditare la propria famiglia.

Consapevole di aver raccontato tanto ma di non aver detto assolutamente nulla del romanzo (anche perché si tratta di un giallo e quindi “zitto!”) voglio attirare l’attenzione sul sottotitolo del libro. Quel “Mi hanno mentito” che sembra messo lì per caso e invece ha un grande significato. Chi ha tradito chi? E perché? Lo scopriremo leggendo questo bel racconto.

Le capacità scrittorie e descrittive di Pennac non devo certo lodarle io perché sono note ai più.

Non saprei dirvi se questo è il più bel libro di Malaussène o il peggiore. Sicuramente l’intreccio della storia è tale che ne permette una lettura scorrevole e affascinante. Non consiglierei a chi vuole avvicinarsi al mondo fantastico di Malaussène di iniziare da questo libro, perché i riferimenti ai libri precedenti sono tanti ed è sicuramente più divertente aver conosciuto quegli episodi direttamente che non sotto forma di riassunto.

Da questa mia recensione può sembrare che il libro non mi sia piaciuto ed invece, proprio come è sempre accaduto con tutte le altre storie della famiglia, anche questa volta il grande fiume mi ha abbracciato, mi ha portato a fare un viaggio in territori sicuramente inesplorati per me e, quando mi ha liberato dal suo abbraccio, tutta la mia pelle, fisica e psicologica, era impregnata dalla dolcezza della storia e dall’amore che tracima da questi personaggi per avvolgere il lettore.

Tipico dei libri della saga di Malaussène è il fatto che “o si amano alla follia o non si possono sopportare”.

Libro consigliato.

Il simbolo perduto

Il simbolo perduto di Dan Brown edito da Mondadori prima edizione 2009.

Ancora una nuova avventura per il famosissimo Robert Langdon, professore di simbologia religiosa dell’università Harvard negli Stati Uniti, che abbiamo imparato a conoscere e ad amare nei precedenti romanzi di Dan Brown.

In questa nuova avventura l’azione si svolge totalmente nella città di Washington D.C. e la storia è ambientata nel mondo intrigantissimo della massoneria e il ruolo che ha avuto, e continua ad avere, nella storia americana; tutta la vicenda raccontata in questo ponderoso volume si svolge nell’arco di appena 12 ore.

Robert riceve un invito dal suo amico Peter Solomon ma quando si reca all’appuntamento troverà una sorpresa che lo catapulperà nel pieno dell’azione; il suo amico è stato rapito da un oscuro personaggio e il suo compito è quello di risolvere una serie di enigmi per provare a salvarlo.

Langdon viene affiancato in questa avventura da Katerine Solomon, geniale esperta in scienze neoetiche nonché sorella del rapito.

Nel corso dell’indagine si scoprirà che non è stato Solomon ad invitare Langdon al Campidoglio, ma un falso massone che si fa chiamare Mal’akh

In tutta questa corsa contro il tempo entra all’improvviso la CIA che, con un suo altissimo dirigente, cerca di impedire a Langdon di realizzare il proprio compito al fine di proteggere la massoneria.

Scopriremo tanti segreti della massoneria ma anche tante cose che ignoravamo dei vari personaggi della serie, e alcune di queste scoperte saranno veramente inaspettate.

Chiaramente non posso aggiungere altro per non rovinare la sorpresa a chi ancora non ha letto questo ottimo romanzo; inoltre, anche le informazioni che ho potuto scrivere in questo brevissimo riassunto, sono molto scarse proprio per non togliere suspance ad un libro che vive di ciò, e che corre con un ritmo forsennato verso una fine quasi epica.

Il libro si svolge in una serie di ambientazioni via via più favolose, si passa dal Campidoglio all’obelisco, dalla Casa Bianca alla House of Temple in un continuo rincorrersi di situazioni via via più pericolose.

Questa volta sembrerà che il nostro eroe non riesca a raggiungere il proprio scopo e invece, con un inaspettato colpo di scena finale…

Come tutti i libri di Brown, anche questo è scritto magnificamente; incolla il lettore alle pagine. Anche questa volta il libro è infarcito di verità e di menzogne mescolate ad arte per adattarle alle necessità scenografiche e storiche dell’autore.

Proprio quando credevo di non avere più niente da scoprire sul personaggio di Langdon, ecco che con questo romanzo Brown scombina le carte in tavola e ci presenta un professore diverso, molto meno smargiasso del solito e molto più profondo e preoccupato.

E’ un romanzo molto ben scritto e ben ideato, che come quelli che lo hanno preceduto, ha la capacità di incatenare il lettore fin dalle prime pagine e di non lasciarlo fuggire fino alla sua conclusione.

Libro consigliato.