Archivio Tag: mondadori

La famiglia Karnowski

La famiglia KarnowskyIsrael Joshua Singer, edito da un sacco di case editrici, prima edizione 1943.

Siamo di fronte ad una saga familiare che nell’arco di circa ottant’anni vede avvicendarsi tre generazioni di Karnowski. David, il capostipite, uomo colto ed illuminista che, tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 per dissidi con il proprio shtetl si trasferisce a Berlino, allora capitale dell’impero tedesco e che gli sembra la capitale del pensiero libero e moderno soprattutto perché vi è nato il filosofo ebreo Moses Mendelssohn.

Si tratta di una figura di rottura perché contesta le tradizioni millenarie ebraiche ed è pronto a sostenere le proprie opinioni anche attraverso la lotta dialettica.

A David segue il figlio Georg che, non solo contesta i valori della fede ebraica, come già fatto dal padre, addirittura arriva a rifiutarli sposando una donna non ebrea. Fannullone e inaffidabile, per amore abbraccia la medicina all’università, nonostante la sua avversione per il sangue e le malattie.

Con questo secondo protagonista si accentua l’allontanamento volontario dei Karnowski dalla strada religiosa ebraica. Con il proprio atteggiamento si amplia la crepa creata da David con la propria fuga.

Terzo di questo gruppo è il figlio di Georg, Joachim Georg che, influenzato dall’ascesa irresistibile del Partito Nazista e soprattutto del suo leader Adolf Hitler, si riconoscerà in questi valori arrivando a disprezzare sé stesso e soprattutto le origini del padre. Alla ricerca di un’identità e di un posto che lo accetti, Joachim decide di trasferirsi con la sua famiglia a New York.

Come vedremo nel prosieguo del romanzo questa non sarà una saggia decisione. Infatti la società americana è apertamente contraria al terzo Reich che Georg tanto ammira.

Epopea commovente e straziante ci mette di fronte al tentativo di tre generazioni diverse di affrancarsi dalle credenze e dalla religione con scarsi risultati come a dimostrazione del fatto che i tempi per i cambiamenti sociali erano, e sono tutt’oggi, molto molto lenti.

Si tratta di un romanzo totalmente immerso nella cultura ebraica al punto che, può capitare di perdersi nelle descrizioni delle tradizioni di questa religione. Anche quando sembra che il sottile filo che lega Georg alla propria religione venga reciso dal matrimonio con una donna cattolica, egli in realtà, ne rimane invischiato e collegato.

Se l’apice della narrazione si rintraccia nella figura di Georg, non si può negare che tutta la storia di questa famiglia è intrisa di odio razziale. Nonostante il romanzo venga scritto nel 1943 quindi prima della scoperta delle atrocità compiute dai nazisti nei campi di concentramento, Singer sembra prevederli.

Romanzo difficile per i concetti trattati ma moderno e scorrevole nello stile. Tutti i personaggi sembrano un po’ trattenuti, legnosi, come se le regole ed i preconcetti non gli permettessero davvero di vivere la loro vita serenamente.

Forse qualcuno potrebbe fare un po’ di fatica nell’attraversare questo romanzo; certo è che non si esce da questa lettura, uguali a come ci si è entrati.

Lettura consigliata.

Baci da Polignano

Baci da PolignanoLuca Bianchini, edito da Mondadori, prima edizione 2020.

Dopo sette anni dall’ultima volta, Luca Bianchini torna a Polignano e riprende a raccontarci la storia della famiglia Scagliusi, di Ninella con la sua tribù e della accogliente comunità polignanese che non si fa mai i fatti propri.

Le emozioni e i sentimenti non possono essere i medesimi di sette anni fa, ma queste nuove sensazioni sono altrettanto piacevoli e positive.

Durante il tempo non raccontato sono successe un sacco di cose. Ninella ha una tenera conoscenza con un architetto di Milano molto più giovane di lei, Chiara e Damiano hanno avuto una bambina pestifera che li comanda a bacchetta, sostenuta dalla nonna Scagliusi che la vizia comprandole tutto quello che la bambina possa desiderare.

Infine, quando don Mimì ha scoperto che donna Matilde, la moglie, lo cornifica con Pasqualino il tuttofare di casa, ha raccolto il proprio orgoglio e, con pochi stracci in una valigia, se ne è andato a vivere fuori dal suo palazzo che tutti in paese chiamano “il Petruzzelli”.

Proprio la stessa Matilde che ha lottato per tutta la vita con l’ombra di Ninella dietro le spalle, alla prima occasione ha buttato il marito fuori dalla porta come se fosse uno straccio vecchio per tirarsi in casa un rozzo tuttofare. Ma lo sappiamo tutti che l’amore è cieco!

In questo romanzo Bianchini finalmente può far si che la storia si concentri su quei due “ragazzi” ormai agée che sono Ninella e don Mimì che finalmente potrebbero amarsi apertamente ed alla luce del sole ma, come sempre nella vita, c’è qualcosa o qualcuno che si mette di traverso.

Don Mimì ritorna dunque da Ninella solo per trovarla impegnata in una relazione a distanza con una specie di toy-boy milanese. Viene quindi coinvolto da un amico in una serie di viaggi nelle città europee alla ricerca di situazioni piccanti e particolari che però poco divertono il nostro Mimì e lo lasciano parecchio deluso.

Lui è uno più da cose semplici inoltre ha passato tutta la sua vita ad occuparsi della coltivazione e vendita delle patate e proprio non ci riesce a diventare un viveur ed un tombeur de femme.

E così tra fare la spesa al supermercato o tuffarsi dalla scogliera in ricordo della spensieratezza di quando si era giovani, vediamo i due protagonisti di questo ennesimo racconto sbagliare, perdersi e rendersi conto dell’importanza di una persona solo quando si ha paura di perderla per sempre. E’ in questo momento che bisogna avere il coraggio di tornare indietro.

Lo faranno i due protagonisti oppure lasceranno che le loro vite li portino nuovamente alla deriva l’uno distante dall’altro ma, indissolubilmente legali l’uno all’altro?

Non c’è bisogno che vi parli dei personaggi perché l’arte affabulatoria di Bianchini è caratterizzata sempre dalla grande attenzione a non caricare eccessivamente le descrizioni dei personaggi o del contesto narrativo. Li abbiamo conosciuti due libri fa e oggi siamo ancora qua, seduti a tavola a festeggiare con loro.

Questo romanzo è la chiusura perfetta della storia anche perché si inizia a notare una certa stanchezza nel racconto; si intuisce la mancanza di quella freschezza che abbiamo respirato negli altri romanzi su Polignano.

E’ stato bello ritrovare tutta la banda e fare con loro un ultimo giro di valzer (anche se essendo in Puglia è più facile che fosse una taranta!), assaporare insieme dolci ricordi ma nel corso della lettura di questo romanzo, ci siamo tutti resi conto che siamo ai titoli di coda.

Come in quelle sere d’estate quando il vento increspa la pelle facendoci capire che tra poco tornerà il freddo, ci stringiamo ancora di più intorno al falò immaginato dal buon Luca Bianchini e solleviamo insieme i calici in un ultimo brindisi prima che la vita ci disperda come granelli di sabbia.

Libro consigliato.

Mai all’altezza / Per sole donne

Mai all’altezza e Per sole donneVeronica Pivetti, editi da Mondadori, prima edizione 2017 – 2019.

Cari amici ormai la mia follia non conosce più confini, così nell’intimità del mio lettino ho pensato bene di inventare le recensioni-gemelle. L’ho fatto perché volevo mettere in risalto come due romanzi, scritti dalla stessa mano, possano essere tanto distanti tra loro eppure, avere al proprio interno tante assonanze e similitudini.

L’autrice scrive Mai all’altezza dopo aver passato l’esperienza di un incendio devastante in casa, che le ha praticamente distrutto tutto. I pochi oggetti che si sono salvati dalle fiamme prima e dall’acqua poi, scatenano irresistibili ricordi che stimolano vieppiù il dolore.

Incontreremo Veronica bambina settenne con già il 36 di scarpe, la vedremo svettare lunga e secca sulle teste di tutti i suoi compagni di classe, come un fungo svetta sulle foglie. L’accompagneremo in quel periodo di inadeguatezza che è, di per sé stessa, l’adolescenza circondata da amiche cattive e da personaggi bizzarri.

La vedremo rapportarsi con una sorella ingombrante, adattiva e sempre più aggraziata di lei, più proporzionata, più peperina, più sgamata nella vita. Veronica spesso si sente come il brutto anatroccolo con una vita costellata di piccoli traumi

Eppure, proprio nel momento in cui si potrebbe percorrere la strada verso il baratro eccola estrarre la sua arma segreta. L’ironia e con quella combattere e vincere tutte le proprie negatività e sfighe.

Anche il rogo di casa cambia di significato. Da disgrazia devastante diventa una nuova e grande opportunità; quella di ricominciare da capo a vivere raccontandosi, e raccontandoci, una storia che insegna a sopravvivere ogni giorno, nonostante i gufi siano sempre pronti a gufare.

I personaggi sono tutti raccontati quel tanto che basta perché siano immaginabili. La storia è scorrevole e intrigante da tenere incollati alla pagina. Certo, non siamo di fronte ad un romanzo di formazione, magari ottocentesco, eppure questo libro, tra i sorrisi e le risate cristalline, insegna qualcosa, fosse anche solo ad affrontare la vita con ironia e con un sorriso.

Per sole donne ha un incipit fulminante ma non voglio togliervi la sorpresa.

Per questo terzo libro la Pivetti abbandona il romanzo autobiografico, che tanti successi le hanno portato, per buttarsi sul romanzo pseudo erotico. Perché pseudo? Perché il sesso è il cavallo di Troia con cui l’autrice ci induce ad ascoltare le chiacchiere di cinque amiche che si ritrovano in un ristorante cinese.

Se, durante la lettura, vi parrà di aver già visto un qualcosa di simile, sappiate che avete ragione perché queste amiche ricordano moltissimo le protagoniste di “Sex and the city” con la differenza che le americane si sfondavano di cocktail mentre le più ruspanti italiane si abboffano di cibo cinese.

Queste donne sono accomunate da due cose. Tutte stanno attraversando la crisi dei cinquant’anni, e tutte hanno in piedi una relazione che si regge sullo sputo. Sono molto diverse tra loro. Variano dall’antiquaria con marito più giovane che la tradisce, e madre saggia ma già sulla via dell’arteriosclerosi, alla cinquantenne single incallita però libertina e spregiudicata; dalla zitella un po’ snob e inflessibile alla lesbica seduttrice senza pudore né peli sulla lingua, per finire con la donna sciatta intrappolata in un matrimonio squallido e senza più amore.

Le ascolteremo raccontarsi le loro piccanti avventure come adolescenti alla prima cotta e ci domanderemo come abbiano fatto delle donne intelligenti, acculturate e eleganti a lasciarsi cadere così in basso, perché nonostante ci sia molta ironia, queste signore si abbandonano a commenti da bar di quart’ordine. L’ironia gettata a piene mani non riesce comunque a nascondere il vuoto che caratterizza queste donne.

Le protagoniste di questo romanzo sono tutte donne libere ed emancipate, sfacciate e volgari, che non hanno bisogno di nessuno al loro fianco; eppure, pur condividendo i motivi delle lotte femministe, credo che la rappresentazione fatta dall’autrice sia eccessiva nei modi e nei toni.

Non accusatemi di maschilismo o misoginia perché ho sempre pensato alla donna come pari dell’uomo in ogni aspetto della vita ma quelle rappresentate dalla Pivetti non sono donne, sono degli uomini con la vagina.V

Voglio sperare che le donne siano ancora quegli esseri intelligenti, abili, amorevoli e pieni di tenerezze che sono sempre state. Se così non fosse, se queste donne raccontante dalla Pivetti fossero lo spaccato della nostra società, allora tutti avremmo perso qualcosa di veramente prezioso.

Middlesex

MiddlesexJeffrey Eugenides, edito da Oscar Mondadori, prima edizione 2002.

Oggi siamo di fronte ad un libro assai complicato perché complicato è il tema che viene affrontato nel corso del romanzo. Ma andiamo per ordine.

Affinché si possa capire cosa succede nella contemporaneità è necessario che la storia prenda le sue mosse da un remoto passato. All’inizio del ‘900 nel villaggio di Bitinio, una enclave greca in Turchia, i fratelli Eleutherios e Desdemona Stephanides si innamorano. A seguito della distruzione del loro villaggio ad opera dei Turchi nella guerra del ‘22 tra Greci e Turchi, e temendo per la loro stessa vita, i due decidono di emigrare negli Stati Uniti d’America.

Approfittando della confusione, della poca organizzazione dell’epoca e soprattutto della distruzione del loro paese natio i due decidono di sposarsi sulla nave e si promettono di non dire mai a nessuno di essere anche fratelli. Giunti negli Stati Uniti metteranno su famiglia prima appoggiandosi dalla cugina Soumelina a Detroit e successivamente trovando una casa propria.

Dalla loro unione nascerà Milton che sposerà, una volta cresciuto e realizzato, la figlia di Soumelina Da questo matrimonio nasceranno due figli. Il maschio “Chapter Eleven” e la femmina “Calliope” immediatamente ridotto a Callie prima e Cal dopo.

Proprio sulle sue spalle ruota il libro. Per i primi anni della sua crescita nulla viene a turbare la serenità della famigliola. I rapporti tra fratelli sono nella norma e tutti approfittano del grande sogno americano attraverso il lavoro di papà che permette un tenore di vita non eccezionale ma sicuramente molto positivo.

Quindi tutto fila liscio fino al manifestarsi dell’adolescenza in Callie. Con lo svilupparsi delle sue pulsioni, Cal si scopre stranamente innamorata della sua migliore amica e, con lei, fa qualche esperienza tipica dell’età adolescenziale. Grazie all’amica Cal avrà però anche esperienza con un ragazzo e la cosa non le piacerà assolutamente perché sarà un’esperienza che le procurerà dolore oltre quello che sarebbe necessario aspettarsi da una prima volta.

Però tutto precipita quando, a causa di un incidente, Callie viene visitata, a New York, dal luminare dr. Peter Luce che per primo capisce la condizione della ragazza.

Da questo momento in avanti affonderemo via via nella vita, nelle esperienze, nello strazio di questa ragazza che dovrà ricominciare la naturale ricerca dell’accettazione di sé stessa e del proprio posto nel mondo.

Questo può sembrare un libro senza pensieri è invece racconta una storia molto profonda, soprattutto quando si arriva a comprendere la difficoltà della giovane Callie nell’affrontare la valanga che le cade addosso. Ricordiamo infatti che stiamo parlando dell’inizio del ‘900 quando la medicina non era sviluppata come oggi e anche la psichiatria muoveva i primi passi.

Il libro, che risulta essere sicuramente ben scritto e assolutamente scorrevole, tocca con grande delicatezze tutte le corde dei sentimenti in ballo, raccontandoli con grande sensibilità. Non soltanto quelli della protagonista ma anche quelli di tutta la sua famiglia che non è sempre in grado né pronta ad affrontare ciò che a i loro occhi sembra una tragedia.

I personaggi sono descritti approfonditamente al punto che è facile immaginarli. Grande spazio viene ovviamente dato alle loro riflessioni.

Come dicevo all’inizio, siamo di fronte ad un libro complicato che però deposita, nella mente del lettore, tutte le considerazioni e le esperienze legate ad una situazione che non abbiamo provato direttamente.

Libro assolutamente consigliato.

Zone rigide

Zone rigideAlessandro Cattelan, edito da Mondadori, prima edizione 2010.

Dato che questa recensione sarà pubblicata a ridosso del ferragosto anche io voglio parlarvi di una lettura prettamente da spiaggia. Lo anticipo è una lettura leggera… molto leggera… forse troppo leggera. Ma non anticipiamo troppo.

Il protagonista di questo romanzo è Alessandro che, dopo una lunga storia d’amore con Viola viene lasciato. Trovatosi solo, come quasi tutti i giovani uomini farebbero, anche lui si butta sul sesso e quindi ci racconta le sue performances tra le coltri con svariate donne e le loro perversioni.

Come un fiume che abbia rotto gli argini così Alessandro cerca di realizzare tutte le sue fantasie, anche le più perverse come quando cerca di girare un porno amatoriale con una cassiera dell’Esselunga, o come la volta che entrerà in contatto con la donna lupo nel tentativo di provare una pratica sessuale estrema che lo ha sempre affascinato.

Ma nonostante l’impegno che il protagonista mette in queste attività amatoria, il suo pensiero è focalizzato sempre su Viola, la donna che non gli faceva certo fare i numeri a letto ma che riempiva la sua vita di una tranquilla serenità e monotonia che non sapeva di desiderare e che ora rimpiange.

La mancanza della ragazza fa si che il giovane inizi a pensare e di conseguenza a filosofeggiare. I risultati della sua filosofia sono pensieri semplici che prendono spunto dalla vita di tutti i giorni. Eppure è quel tipo di filosofia che noi uomini capiamo al volo, e che spesso ci salvano dal fare le peggiori stupidaggini.

Cattelan, probabilmente ispirato dalle varia avventure di Bridget Jones ci presenta il suo corrispettivo maschile, un uomo incasinato che proprio da solo non riesce a stare e che, conscio di questa sua caratteristica, si dibatte nella vita all’affannosa ricerca dell’amore, ma che non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura.

Non so decidere se siamo di fronte ad un libro spudorato e cinico, oppure se si tratta del classico romanzetto scritto dal solito “vip”; (propendo più per la seconda comunque!).

Il romanzo è scorrevole, la trama abbastanza complessa da risultare interessante; i personaggi sono molto sottili, poco definiti ma forse maggiore definizione avrebbe reso poco scorrevole la narrazione che si adagia più sulla trama che non sui personaggi e la loro psicologia. Lo stesso protagonista è lasciato allo stato grezzo, ma forse questo l’autore l’ha fatto affinché fosse il lettore a caratterizzare il protagonista come preferisce.

Libro ideale da portare sulla spiaggia per una lettura senza particolare impegno.

Fight Club

Fight Club di Chuck Palahniuk, edito da Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione 1996.

Scommetto 10 caffè che non vi siete ancora imbattuti in un libro così strano. Attenzione: ho detto strano non brutto. Anzi! Fight Club è uno dei libri più interessanti e ben scritti non solo di Palahniuk o del suo genere ma dell’intera letteratura americana dalla fine del millennio fino ai giorni nostri.

Siccome non è buona norma mettere il carro davanti ai buoi è meglio andare per ordine, cominciando con un brevissimo riassunto.

Il protagonista di questo romanzo non ha un nome perché l’autore ha deciso di non assegnargliene uno, forse perché l’anonimato permette a noi di riconoscerci più facilmente in lui. E’ un impiegato che vive in una bella casa con arredamento moderno molto ricercato e molto costoso. E’ affetto da una gravissima forma di insonnia che ne sconvolge la vita e lo porta a ricercare le peggiori esperienze per affaticarsi e trovare un po’ sonno. L’unica cosa che sembra funzionare contro la sua insonnia è partecipare ai gruppi di auto aiuto per i malati di cancro.

La sua malattia è talmente invalidane che nel lungo periodo sarà la causa per cui perderà il lavoro dopo aver dato di matto con il suo capo.

Oltre all’insonnia il nostro protagonista soffre anche per una infinita sfiducia nel genere umano che lo porta sempre più giù nella sua spirale depressiva. Tutto fino all’incontro casuale con Tyrel Durden un eccentrico uomo che fabbrica saponette (e scoprirete partendo da cosa), che diventerà il suo guru oltre che il suo migliore amico. Ma non solo. Lentamente, proprio come fa un tumore, Tyrel si impossesserà di tutta la vita del nostro protagonista senza nome. Questi non sarà più in grado di fare alcunché di propria volontà. Anche la sua capacità di giudizio sarà completamente delegata a Tyrel.

Per cercare di aiutare tutti quegli uomini che, come il nostro protagonista, hanno problemi di svariati generi, ma connessi con la mascolinità, i due fondano il Fight Club. Una specie di associazione segreta in cui questi uomini si sfidano ad incontri di boxe molto rudimentale, senza protezioni, senza regole e soprattutto nella più assoluta segretezza con l’intento di ritrovare dentro di sé il maschio vero che la società contemporanea vuole sempre più delicato ed androgino (lamentando poi la morte della mascolinità).

Fanno le cose seriamente i due al punto che definiscono delle regole. Vi riporto le prime tre affinché possiate farvi un’idea:

“La prima regola del fight club è che non si parla del fight club.

La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club.

La terza regola del fight club, quando qualcuno dice basta o non reagisce più, anche se sta solo facendo finta, il combattimento è finito.”

L’idea ha talmente successo che i due saranno costretti ad aprire più “succursali” (solitamente nei bar più infimi dopo l’ora di chiusura per non dare nell’occhio). Proporzionale al successo dei vari Fight Club è la loro discesa negli inferi. Non sarà più sufficiente incontrarsi e menarsi a mani nude per ripristinare l’ego maschile ma, i due costruiranno via via, una organizzazione sempre più complessa, sempre più illegale, sempre legata alla follia di Tyrel.

Ma chi è davvero Tyrel? Lo scopriremo con l’avanzare del romanzo.

Siamo di fronte ad un romanzo talmente particolare che anche il giudizio dicotomico “Mi piace / non mi piace” viene momentaneamente sospeso, davanti all’incredulità di quello che si è appena terminato di leggere. E’ quasi impossibile includere questo romanzo in uno dei generi soliti. E’ probabilmente qualcosa che fa classe a se stante.

Certamente Tyrel Durden è un nuovo rivoluzionario che si è dato la missione di distruggere il capitalismo e il consumismo dal loro interno, e che vuole combattere il vuoto pneumatico che, la società contemporanea crea nell’amino delle persone.

Grande importanza in questo romanzo hanno le ripetizioni. Tyrel ripete sincopaticamente e ossessivamente le parole, i concetti alfine che formino un’immagine precisa nella nostra mente, affascinando e trasmettendo al lettore, un senso di smarrimento che è quello che provano i frequentatori del Fight Club quando sono immersi nella società.

Palahniuk sventola la sua bandiera contro la società civile moderna, l’omologazione sfrenata, la pubblicità ossessiva che ci serve modelli difficilmente perseguibili e che obbliga la massa in recinti fatti di menzogne. Dal suo acido giudizio non si salva nemmeno quella ideologia sovversiva e un po’ radical-chic tipica del nostro tempo.

Nonostante lo stile sia frammentario la lettura risulta comunque scorrevole e fluida. Opera indubbiamente originale nei contenuti e nel modo di raccontarli, ha nella figura del flashback il suo centro di rotazione, da cui parte e a cui sempre ritorna.

Romanzo cruento, violento, volgare, sporco, inquietante e per alcuni versi apocalittico. Non si può negare però che abbia anche una qual certa vena comica. Siamo sicuramente di fronte ad un libro molto originale e, a suo modo, paradossale: un romanzo che fa sobbalzare sulla poltrona e che non lascia indifferenti. O si ama, o si odia.

Libro molto consigliato.

Quando vieni a prendermi?

Quando vieni a prendermi? di Alessandro Cattelan, edito da Mondadori, prima edizione 2011.

Anche l’ex conduttore di X-Factor si cimenta nella scrittura, forse sull’onda del successo, forse perché un libro non si nega quasi a nessuno.

Il protagonista di questa storiella si chiama Santiago e sta vivendo il periodo tra i trenta e i quaranta in apparente serena letizia.

Fa un lavoro che gli piace anche se ha un contratto di quelli che in qualsiasi momento il capo può mandarti a spasso e senza particolari motivi. Questo fatto porta una grande ansia nella sua vita ed è anche causa di un grande stress perché, senza la stabilità del lavoro anche tutti gli altri ambiti della vita vacillano.

Ha una fidanzata conosciuta per caso e, per lei, ha fatto di tutto, per amarla, per capirla, per tenersela stretta. Le ha anche chiesto di sposarlo mentre si trovavano sugli scogli e c’era un bel tramonto salvo poi rimangiarsi immediatamente le sue stesse parole.

E’ un brav’uomo, dolce, delicato, sensibile eppure sente che alla sua vita manca di qualcosa.

Santiago è conscio del fatto che la sua esistenza si agita come una massa e gelatinosa senza avere una vera e propria forma, si agita in contro tempo a come si agita lui e questo gli da sempre la sensazione che una parte di sè arrivi sulle cose con un attimo di ritardo. Come è naturale questa sensazione di indeterminatezza gli fa paura, gli toglie il sonno. Sente che deve dare una scossa alla sua vita ma non gli è chiaro cosa sia necessario fare.

E così, un po’ per gioco e un po’ seriamente, Santiago fa un colpo di testa. Senza dire niente a nessuno, improvvisamente inizia un viaggio in giro per il mondo, senza meta, senza scopo, alla ricerca di quel qualcosa che qui gli manca.

Lo seguiremo nel suo peregrinare all’inseguimento di se stesso; lo vedremo, per esempio, in Giappone, fare “l’elargitore di complimenti per donne trascurate”, o in Australia perdere la testa per una donna bellissima.

Seguendo le sue avventure, vedremo se il nostro piccolo esploratore, riuscirà a trovare quello che sta cercando.

Cominciamo col dire che non si tratta di Tolstoi o di Pirandello, così tanto per buttare lì i primi due nomi che mi sono venuti in mente.

Il libro è scorrevole e la storia è sufficientemente leggera, ma nonostante il tentativo dell’autore, la storia ha veramente pochissimo spessore. E’ talmente anonima che si rischia di dimenticarla un giorno dopo aver finito di leggerla.

Nel corso della lettura si ha veramente la sensazione di provare ad afferrare il fumo. Attenzione non sto dicendo che il romanzo sia brutto o mal scritto, ma semplicemente che il risultato finale è troppo impalpabile.

I personaggi sembrano bidimensionali e, se li si immagina recitare sul palco di un teatro, ecco che diventano anche legnosi e un po’ scolastici.

E’ evidente che l’autore ci abbia provato fino in fondo e abbia tentato di produrre una piccola gemma, magari ispirato da storie minime scritte da altri grandi autori, ma purtroppo il risultato che abbiamo tra le mani non è quel piccolo capolavoro a cui forse Cattelan aspirava.

Libro da leggere sulla spiaggia per far passare il pomeriggio mentre si prende il sole.

Libro non consigliato.

Guida galattica per autostoppisti

Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams, edito da Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione 1979.

Tanto per cominciare, non facciamoci prendere dal panico; siamo sì davanti ad un libro di fantascienza ma, al suo interno troveremo moltissima fanta(sia) e pochissima scienza.

Come ovviamente anticipato dal titolo si tratta di una guida turistica galattica, scritta sotto forma di enciclopedia che giocherà un ruolo fondamentale nel corso di questo romanzo e dei sui successori.

Arthur Dent, come ogni mattina, si sta lavando i denti quando, riflesse nello specchio del bagno vede delle simpatiche ruspe gialle che si accingono ad entrare nel suo giardino. Si precipita fuori in pigiama e giacca da camera svolazzante, solo per scoprire che da mesi è stata decisa la distruzione della sua casa per far posto ad un bellissimo, nuovissimo, futuristico svincolo autostradale.

Urge la difesa della sua proprietà e l’unica soluzione che riesce a farsi venire in mente è di sdraiarsi davanti alle ruspe per impedirne il movimento.

Arthur è lì sdraiato per terra quando all’improvviso si palesa il suo salvatore. Il suo caro amico Ford Prefect giunge e, dopo essersi dichiarato alieno e prima ancora che Arthur abbia finito di spiegargli la situazione, gli dice che la sua battaglia è inutile perché è previsto che il mondo sia distrutto proprio oggi e che al suo posto verrà costruito un bellissimo, nuovissimo, futuristico svincolo intergalattico.

Le astronavi giunte per la distruzione della terra sono il mezzo inconsapevole attraverso cui i due amici si salvano; Infatti saliranno a bordo di una queste astronavi come clandestini salvandosi la vita ma, al contempo, infilandosi in una serie surreale di avventure nello spazio.

Arthur scoprirà dunque un universo completamente sconosciuto e di grande importanza saranno le informazioni presenti sulla guida. Una specie di antesignano e-book parlante e che può essere aggiornato da Ford.

Inizieranno a viaggiare avanti e indietro nello spazio infinito, a volte come clandestini appunto ed altre come ospiti.

Conosceranno una serie di alieni uno peggio dell’altro.

Entreranno in contatto anche con Zaphod Beeblebrox ex Presidente della Galassia, bicefalo (e le due teste non sono mai d’accordo tra loro), che li convincerà ad accompagnarli su un pianeta ai confini dell’universo per liberare una ragazza terrestre di nome Trillian che, guarda caso, è la stessa ragazza che ha provato a corteggiare Arthur la sera prima della distruzione della terra, durante una festa.

I tre non sono soli durante questa missione; li accompagna un robot di nome Marvin, che soffre di una fortissima e al tempo stesso divertentissima depressione. Marvin però è davvero un robot eccezionale infatti è bravissimo a guidare l’astronave dove si trovano che si chiama “Cuore d’Oro” e che viaggia grazie alla “propulsione di improbabilità infinita”.

I nostri eroi gireranno in lungo e in largo l’universo per finire poi sul pianeta Magrathea dove scopriranno quale fosse il progetto originale per la terra e si imbatteranno in qualcuno che è alla ricerca della “risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”!

Sono conscio del fatto che non si capisce nulla, ma non è colpa mia, è il libro che è scritto così. Questo è un libro particolare a cui non si può restare indifferenti. O lo si ama alla follia, e si citano le sue battute tra amici strizzandosi l’occhio, come se si appartenesse ad un club segreto, o non si riesce ad andare oltre le prime pagine.

La storia nella sua assurdità è ben congegnata e funzionante, i personaggi sono incredibilmente caratterizzati. Dalle manie di Arthur che pretende di bere un autentico tea inglese nelle profondità della galassia, si passa alle stranezze di Ford che sembra sempre che stia vivendo una realtà diversa da quella di tutti gli altri ma che, alla fine, sarà il vero nucleo di tutta la storia.

La saga è composta anche dai successivi titoli che sono: Ristorante al termine dell’universo (1980); La vita, l’universo e tutto quanto (1982); Addio, e grazie per tutto il pesce (1984); Praticamente innocuo (1992); E un’altra cosa… (2009) scritto da Eoin Colfer.

Nel 2005 dal libro è stato tratto un film di pari titolo, molto fedele al romanzo.

Se siete pazzi come me adorerete questo libro, se invece siete sani di mente e sobri… mi spiace per voi, non sapete che cosa vi perdete!

So che un giorno tornerai

So che un giorno tornerai di Luca Bianchini, Edizioni Mondadori, prima edizione 2018.

Trieste, una città ricca di storia, di arte, di cultura, di vento, di fervore, di amore, di giovani che vogliono divertirsi perché, in fondo, siamo alla fine degli anni 60, quegli anni in cui imperversano le musiche che arrivavano da oltre oceano, i nuovo complessi, i capelloni, le prime droghe, e soprattutto i primi soldi. Forse per la prima volta i giovani hanno in tasca qualche banconota che possono spendere per soddisfare i propri desideri. Trieste invasa pacificamente da tanti giovani jugoslavi che vengono a comprare di qua, quello che il regime slavo non vende.

In questa città e in questo momento storico vive Angela una allegra ragazza figlia del proprio tempo. Ha una famiglia alle spalle; i Pipan formati da padre devoto al dominio austriaco, madre sontuosa cuoca della tradizione triestina e un botto di fratelli. Angela vive la vita con il sorriso e la spontaneità di chi non ha nulla da perdere e vuole assaggiare tutto quello che il mondo offre.

All’improvviso sulla strada di Angela sbuca Pasquale bello come il sole che spacca la terra di Calabria di cui è originario, e saporito come la liquirizia che si raccoglie spontanea. E’ a Trieste per vendere jeans e che ha lasciato in quel di Calabria una giovane moglie.

L’amore tra Angela e Pasquale è amore ancora prima che i due incrocino gli sguardi; bruciano di passione reciproca, a nulla vale il pensiero della moglie di Pasquale. L’attrazione tra i due è troppo forte perché la possano combattere e così, in breve tempo, i due diventano amanti.

Come tutti gli amori letterari anche questo è molto prolifico tanto è vero che Angela rimane incinta. Pasquale è pronto a riconoscere la paternità purché però nasca un bambino… e invece nasce Emma. Ovviamente Pasquale si dilegua ritornando, da codardo, nella sua San Severina e abbandonando le due bambine (Angela ha soltanto vent’anni quando partorisce Emma) al loro destino. Subentra ovviamente la famiglia di Angela che, come una mano, si stringe per aiutare il membro in difficoltà.

Emma cresce lentamente e apprende e capisce tutto quello che c’è da capire e quindi ecco i giochi da maschio, il pallone, i vestiti mimetici nella speranza di trasformarsi nel maschio che avrebbe tenuto insieme la sua famiglia.

In questo tentativo di Emma di mascolinizzarsi io vedo lo stesso disagio che striscia latente in tutta la narrazione del cartone animato “Lady Oscar” dove la protagonista arriverà, suo malgrado, a far innamorare del proprio sé maschile la Regina di Francia.

Si può forse dire che questo sia il romanzo delle occasioni perdute. Angela che per estrema giovinezza si perde la crescita di sua figlia, Pasquale che perde l’occasione di stare con la donna che ama davvero soltanto per lo stupido stereotipo desiderio del figlio maschio che continui il proprio nome.

Quello che abbiamo davanti è un romanzo molto sfaccettato, ricco di sfumature e di accenti che spostano continuamente l’attenzione da una situazione all’altra senza dare mai il tempo al lettore di rifiatare, di digerire quello che ha già letto. E’ come una folle corsa in macchina. Siamo troppo impegnati a seguire i vari personaggi nel loro vivere quotidiano da trovare il tempo per chiederci il perché di tutto quello che accade.

Perché Pasquale è così codardo da non capire che Angela è l’amore della sua vita? Perché Angela è così disperatamente alla ricerca di una conferma d’amore da lasciare la bambina (ancora quasi in fasce) per correre a Bassano a ricostruirsi una nuova vita con un nuovo amore? Perché non rendersi conto che Emma è l’AMORE. Quello tutto maiuscolo, quello per cui saremmo pronti a fare qualunque cosa.

Eppure, per quanto i protagonisti si impegnino ad allontanarsi dal fulcro della storia, sono legati ad esso e non posso fare altro che ruotarci intorno su orbite sempre meno ellittiche.

Già in un’altra recensione scrissi che la vera bravura di Bianchini non è quella dell’affabulatore che racconta storie ma è quella del mago che nasconde la carta dietro il riflesso della mano, che mostra il fazzoletto vuoto per distrarci dalla visione del trucco che sta per fare.

Anche in questo romanzo Bianchini fa magie. Racconta la storia di una bimba sola per raccontare dell’importanza della famiglia; racconta dell’invasione pacifica di jugoslavi che venivano a comprare i jeans che non trovavano dall’altra parte, per parlarci di integrazione; ci parla del codardo Pasquale per ricordarci di tanti e tante che invece si assumono le proprie responsabilità.

Un romanzo di facile lettura ma la cui digestione necessita di un po’ di tempo perché i vari elementi si dispongano sullo sfondo in modo da permettere la visione chiara.

Libro consigliato ma da leggere con grande attenzione.

I due hotel Francfort

I due hotel Francfort di David Leavitt edito da Mondadori, prima edizione 2013.

L’ultimo romanzo in ordine di pubblicazione di Leavitt è ambientato nella Lisbona del giugno 1940. Si tratta di una città che trabocca di persone che cercano di scappare dall’imminente guerra che si sente rumoreggiare alle frontiere. Le persone che ivi si trovano sono talmente numerose che tutti gli alberghi sono pieni all’inverosimile, al punto che sono affittate anche le poltrone delle hall e gli scantinati. E’ una situazione insostenibile, le persone si spostano in gruppo quasi fossero formiche alla ricerca di cibo.

All’interno di questo romanzo la topografia della città è così importante che una mappa di Lisbona è pubblicata all’inizio della storia per facilitare il lettore nel suo peregrinare.

In tutto questo carnaio di lusitani e stranieri, l’attenzione dell’autore si concentra su due coppie. Julia e Pete Winters e Edward e Iris Freleng.

Julia e Pete Winters sono cittadini americani molto per bene e residenti a Parigi, un po’ snob e molto annoiati mentre Edward e Iris sono spregiudicati giramondo, autori di gialli di successo con lo pseudonimo di Xavier Legrand. Le due coppie vivono pigramente la loro vita in attesa che giunga la nave SS. Manhattanche li deve riportare in America; durante una passeggiata in centro i quattro si conoscono per colpa di un paio di occhiali. Sembra quasi che le due coppie siano state scelte dal destino, infatti, una delle esse risiede all’Hotel Francfort, mentre l’altra ha trovato da dormire al Francfort Hotel che incredibilmente risultano, essere due strutture differenti in due indirizzi diversi.

Tra i quattro si sviluppa una strana frequentazione che via via si trasforma in una blanda amicizia. I due uomini iniziano a girare la regione come due adolescenti mentre le due signore si ritrovano per passeggiate in città o per bere il tea in uno degli hotel e si scambiano segreti.

Il rapporto tra Edward e Pete si fa sempre più profondo ed il legame che stringono li circonda e li avvolge e ancora gira loro intorno come un gorgo che si stringe sempre più; proprio come due adolescenti si ritroveranno alla fine l’uno tra le braccia dell’altro e, anziché stupirsi (come sarebbe lecito aspettarsi vista l’epoca in cui il libro è ambientato) i due decidono di provare a portare avanti la loro storia parallela e clandestina ma, come spesso accade nei romanzi di Leavitt, il loro amore si spegnerà lentamente prima dell’arrivo della fantomatica nave.

Delle due donne, Iris sicuramente sa di quanto accade ai due uomini mentre Julia preferisce continuare il suo tran tran quotidiano che nemmeno l’avvento della guerra è riuscito a sconvolgere.

Tutti i personaggi che popolano questa storia, siano essi principali o secondari, si muovono freneticamente come se fossero attori sul palco di un teatro; è tutto un entrare ed uscire di scena; la porta girevole dei due hotel ruota sempre molto rapida e non sempre ci permette di vedere bene i personaggi che riflette.

Centro nevralgico di questo romanzo, che si rifà al modernismo americano, non è il ripercorrere la storia dei quattro personaggi, bensì il prendere atto che non sempre è possibile trovare un vero significato a ogni persona e a ogni luogo.

Ancora una volta il buon Leavitt traccia una storia che sembra destinata a grandi sconvolgimenti e, nel suo incedere, la trasforma in una storia minima in cui i protagonisti scivolano in secondo piano mentre i sentimenti, le emozioni, le ansietà salgono al proscenio per portare a termine una storia che non avremmo mai sperato di conoscere.

Le abilità letterarie di Leavitt non sono certo io a doverle scoprire. Il suo stile è fresco, attraente e i suoi personaggi sono sempre raccontati quasi di tre quarti, come se un po’ se ne stessero nell’ombra per una qual certa forma di reticenza.

Prima di calare il sipario su questa che appare come una pièce teatrale, l’ultima notazione è su una frase del libro che ho trovato molto interessante perché rappresenta un po’ la summa del modo di scrivere di Leavitt: “… ma a volte, tutto quello che riuscivi ad afferrare era il riflesso di un riflesso in una porta girevole”.

Libro molto consigliato.