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Il signore delle mosche

Il Signore delle Mosche di William Golding edito da Oscar Mondadori, prima edizione 1954.

A causa di un incidente aereo, un gruppo di ragazzini si ritrova su una non meglio identificata isola deserta dell’oceano senza alcun adulto. Sono in una laguna con le acque cristalline, contornati da palme e da una vegetazione lussureggiante. I primi protagonistiche incontriamo sono Ralph, biondo dodicenne molto spigliatoaccompagnato daun bambino il cui soprannome è Piggy miope e grassottello. I due esplorando l’isola trovano una grande conchiglia che usano per provare a richiamare altri sopravvissuti. Dalla fitta vegetazione fanno la loro comparsa due gemelli, Sam ed Eric, e alcuni ragazzi appartenenti ad un coro, guidati da Jack, fulvo e leggermente robusto.

All’interno del coro spiccano Simone timido e affetto da frequenti crisi epilettiche e Ruggero solitario e schivo quasi avesse in noia la compagnia.

L’illusione di un paradiso pienodi giochi e divertimento senza alcuna regola né controllo, si scontro presto con il desiderio di costruire una comunità basata su regole certe. Ralph, astuto e dotato di grande carisma, viene immediatamente eletto capo del gruppo e la sua prima decisione sarà di ripartire le incombenze tra i vari membri del gruppo su suggerimento del cicciottello Piggy.

Quindi un gruppo si occuperà della ricerca di cibo, altri si occuperanno della costruzione di rifugi ma il compito più importante è quello di accendere un enorme fuoco, in cima alla montagna, il cui fumo possa attirare le navi di passaggio.

Ma ahimè, la situazione idilliaca inizia inesorabilmente a degenerare perché i bimbi trascurano i propri doveri. La caccia è un richiamo primordiale troppo forte ed ecco che quasi tutti i bambini iniziano a seguire il gruppo dei cacciatori guidati da Jack. La democrazia di Ralph e Piggy si sgretola in una società violenta e istintuale guidata da Jack.

Credendo nell’esistenza di una fantomatica bestia i ragazzi decidono di offrire in sacrificio la testa di una scrofa che hanno ucciso durante una battuta di caccia; portano questa testa nel cuore della giungla e la issano su un bastone. Simone durante una delle sue crisi si imbatte in questo feticcio putrefatto e ricoperto di mosche, che gli confida che il Male non può essere sconfitto. Nel tentativo di fuggire da questo terrore Simone giunge sulla spiaggia dove i suoi compagni di sventura stanno facendo una danza tribale. I suoi compagni lo circondano e…

Questo romanzo è l’opera di maggiore successo di WilliamGolding che ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1983. E’ un romanzo che ha visto una genesi difficile; scritto nel 1952 e rifiutato dalle alcune case editrici, vede la luce nel 1954 grazie alla “spinta” di T. S. Eliot che, si dice, abbia anche inventato il titolo.

Il libro è diviso nettamente in due parti. Prima la luce dell’organizzazione, della razionalità che ha come rappresentante il “biondo” Ralph a cui segue il buio della brutalità, della rozzezza che si identifica nel “fulvo” Jack.

Secondo la concezione di Golding l’uomo è, per sua propria natura, votato al male. Tale concezione è chiaramente espressa nella frase a lui attribuita “L’uomo produce il male come le api producono il miele”.

Il romanzo, solare e accogliente nella prima parte diventa un incubo freddo e aspro nella seconda. I ragazzi sembrano posseduti da una bestia feroce che li porta a comportamenti violenti e crudeli. E’ netto il passaggio da una ordinata società ad un’orda di bestie violento e istintuale.

Per scelta dell’autore non sono presenti riferimenti temporali o geografici e questo fa si che “Il signore delle mosche” sia un testo validissimo per la rappresentazione di qualsiasi epoca e in qualsiasi società.

Indubbiamente una lettura cruda e violenta, dolorosa e spaventosa ma sicuramente un libro che non lascia indifferente il lettore. Non si esce da questo libro uguali a come si è entrati. Di sicuro in fondo al cuore rimane il retaggio del terroreche ciò che racconta Golding possa accadere anche nelle nostre società lucide e precise.

Lettura assolutamente consigliata e non solo ai ragazzi.

La biblioteca di notte

La biblioteca di notte di Alberto Manguel edito da Archinto prima edizione 2007.

Libro strano ma molto affascinante questo di Manguel. Comincio col dire che non si tratta di un romanzo e che non si tratta di un saggio. Se dovessi descriverlo direi che si tratta di una colta dissertazione sulla “biblioteca” come entità. Mi piace molto la struttura del libro. Ogni capitolo analizza un ruolo della biblioteca. La biblioteca come mito, come ordine, come spazio, come mente, come isola sono solo alcuni delle funzioni della biblioteca che vengono analizzate nel corso del libro.

Per esempio il capitolo in cui si analizza la biblioteca come ordine, prende le mosse dalla normale classificazioni che si usa in tutte le biblioteche del mondo per poi passare alla classificazione che ognuno di noi utilizza nella propria biblioteca (sia essa fisica o mentale); inoltre l’autore nel corso del capitolo ispeziona i vari metodi di classificazioni che si potrebbero usare per differenziare i libri nella propria biblioteca personale, le relative motivazioni, i pro e gli eventuali contro.

Siccome trovo difficile spiegare cosa intendo dire proverò ad illuminarvi con alcune delle frasi che maggiormente mi hanno colpito, in modo che ognuno possa farsi la propria idea personale di cosa contiene il libro.

L’esperienza di un uomo può diventare, attraverso l’alchimia delle parole, l’esperienza di tutti, e quell’esperienza, distillata nuovamente in parole, potrà servire a ciascun lettore per qualche fine unico e segreto”.

Ogni biblioteca è, per necessità, una creazione incompleta, un work-in-progress, e ogni scaffale vuoto preannuncia i libri che verranno”.

Ogni biblioteca accoglie e rifiuta. Ogni biblioteca è per definizione il risultato di una scelta, ed è necessariamente limitata nel suo ambito. Ed ogni scelta ne esclude un’altra, quella non fatta. L’atto della lettura corre sempre parallelo a quello della censura”.

C’è un abisso incolmabile tra il libro che è stato decretato un classico della tradizione ed il libro (quello stesso libro) che abbiamo fatto nostro per istinto, emozione e comprensione: con esso abbiamo sofferto, gioito, l’abbiamo tradotto nella nostra esperienza e, nonostante ci sia giunto tra le mani sommerso da strati di lettura, in fondo siamo noi a scoprirlo per primi, un’esperienza sorprendente e inaspettata. […] Questo modesto ius primae noctis garantisce ai libri che chiamiamo classici la loro unica, utile immortalità”.

Citare è un continuo conversare con il passato per dare un contesto al presente. Citare è attingere alla Biblioteca di Babele; citare è riflettere su quanto è già stato detto, e se non lo facciamo, parliamo in un vuoto dove non c’è voce umana che possa risuonare”.

Ma tra tutte le citazioni che potrei fai tratte da questo libro, e vi assicuro che potrebbero essere moltissime, quella che preferisco è la seguente: “Ho trascorso mezzo secolo a raccogliere libri. Con immensa generosità, i miei libri non mi hanno mai chiesto nulla, e mi hanno offerto in cambio ogni genere di illuminazione. […] I miei libri sanno infinitamente più di me, e sono loro grato che sopportino addirittura la mia presenza. Talvolta mi sembra di abusare di questo privilegio”.

Non sono sicuro di essere riuscito a spiegare il concetto però aggiungo che sicuramente è un libro bello, forse più adatto a chi usa la lettura come atto di comprensione che non come forma di svago. Ammetto che alcune volte mi sono trovato a dover rileggere interi passaggi perchè avevo la sensazione (quasi sempre confermata) di essermi perso qualcosa di importante.

Libro sicuramente consigliato a chi, come me, ama i libri come amici sinceri e come portali temporali che permettono di studiare il passato, leggere il presente o di immaginare il futuro, le biblioteche come parchi divertimento, e la lettura come libero atto supremo di formazione e svago.