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La strada nel bosco

La strada nel bosco di Colin Dexter, edito da Sellerio prima edizione 1992.

L’ispettore Morse non prende molto spesso le ferie e quando lo fa, spesso si annoia a tal punto da rientrare prima del termine. Questa volta si dirige nel Dorset, contea nel sud-ovest dell’Inghilterra, attratto dalla sua storia, cultura e bellezze naturali.

Mentre cena ad un tavolo condiviso con una bella signora, Morse vede che, sul Times che la signora sta leggendo, è pubblicato un poema che racconta di una ragazza e di un bosco e capisce che questa poesiòla potrebbe essere la chiave per risolvere un vecchio caso di omicidio di una giovane ragazza svedese avvenuto circa un anno prima.

Visto che la vacanza volge al termine Morse decide di divertirsi con un’indagine personale che si rivelerà molto più complessa e contorta di quanto potesse sembrare all’inizio.

Tornato al suo lavoro, Morse riesce a farsi affidare il caso che nel frattempo è stato riaperto, mentre il grosso delle forze di polizia sono impegnate nella repressione di un grosso giro di violenza giovanile. Grazie al supporto del suo aiutante, il paziente sergente Lewis, che lo segue nelle sue elucubrazioni mentali e nei suoi vagabondaggi alla ricerca di conferme alle proprie teorie, Morse restringe sempre più il cerchio attorno alla verità.

Per quanto possa sembrare senza meta e senza senso il girovagare di Morse e Lewis invece ha del metodo; infatti permette ai due di eliminare via via tutte le false piste e i falsi indizi che li porteranno alla fine a identificare esattamente gli accadimenti, per quanto siano contorti e complessi e ad assicurare alla giustizia un assassino molto scaltro.

Ho fatto un po’ di fatica a leggere questo romanzo innanzitutto perché non conosco benissimo la geografia dell’Inghilterra per cui spesso mi perdevo quando il detective discuteva su quale strada potesse aver preso la studentessa svedese.

Altra caratteristica di questo romanzo è che procede molto lentamente e che si concentra su un unico elemento per volta. Pertanto fino a quando non è giunto al termine di un ragionamento continua a battere sulla medesima teoria.

Un altro motivo per cui questo giallo non mi ha impressionato è il fatto che Morse è un uomo assurdamente chiuso su sé stesso; non considera minimamente l’opinione che gli altri possano avere di lui, e attua una serie di comportamenti sgradevoli volti a tenere alla larga chiunque voglia provare a conoscerlo meglio. Forse soltanto Lewis è riuscito a capire che questa aria da burbero Morse la recita come forma di difesa, l’ha accettata ed è riuscito a penetrarla diventando quasi “amico” del detective.

E’ il primo romanzo di Colin Dexter che leggo e il suo stile di scrittura non è piaciuto molto. Infatti sembra sempre che le immagini che descrive siano viste attraverso un vetro sporco o, visto che siamo in Inghilterra, immersi nella foschia. Non si ha mai una visione limpida di quello che racconta sia che racconti la trama, la descrizione degli attori o il paesaggio.

Questo autore non è riuscito a conquistarmi al punto che, giunti al momento clou della narrazione, non ho capito esattamente chi fosse l’assassino e come il detective ci fosse arrivato. Ho quindi dovuto rileggermi tutto il capitolo per farmi un’idea chiara degli avvenimenti finali.

Per tutto quanto sopra non mi sento di dare un giudizio positivo di questo romanzo.

Libro non consigliato.

Marcovaldo

Marcovaldo di Italo Calvino, edito da Mondadori prima edizione 1963.

Il titolo completo di quest’opera di Calvino è “Marcovaldo ovvero le stagioni in città”.Le “stagioni” perché i racconti sono divisi nelle quattro stagioni come se l’autore ripercorresse un anno intero con il suo protagonista.

Si tratta della raccolta di venti racconti ambientati in una città che io, e probabilmente solo io, identifico in Torino, il cui protagonista, Marcovaldo appunto, è un manovale con problemi economici che male si è adattato alla vita di città; infatti spesso nel corso delle sue avventure lo vedremo rincorrere una naturalità che ormai non può più avere.

Il nostro protagonista ha ovviamente una famiglia formata dalla moglie Domitilla, e numerosi figli. Come ogni buon padre di famiglia Marcovaldo si spezza la schiena nel tentativo di dare alla sua famiglia un tenore di vita migliore possibile, ma tutti i suoi stratagemmi per fare un piccolo salto in avanti vengono frustrati dalla sorte sempre avversa.

Prova ne sia, ad esempio, il primo racconto dove il protagonista scopre, andando al lavoro, dei funghi che iniziano a crescere. Ci lascia il cuore su quei funghi; li copre perché nessuno li veda e la mattina dopo gioisce del fatto che siano cresciuti effettivamente. Il primo giorno libero va con i bambini a coglierli e tutto sembra filare liscio una volta tanto ma, quello che Marcovaldo non ha messo in conto è che la vita di un povero Cristo non cambia mai e, sempre povero Cristo rimane.

Ovviamente non ho alcuna intenzione di riassumere tutti e venti gli episodi ma di un’altro, che io trovo il più divertente in assoluto, mi sento obbligato a parlare.

Si tratta del racconto intitolato “Marcovaldo al supermarket”. In questa avventura tratta dalla stagione “inverno” vediamo il protagonista e la sua famiglia alle prese con il supermarket; le sue luci, le sue musiche, i suoi profumi. Nonostante non ci siano i soldi la famigliola decide di fare visita al grande negozio tanto per provare l’ebrezza di essere come tutti gli altri; e proprio per finzione Marcovaldo prende un carrello e inizia a mettere i vari prodotti che desidererebbe acquistare. Il progetto originale prevederebbe che per un prodotto messo nel carrello uno venga riportato sullo scaffale ma, ben presto capirà che è una battaglia persa. All’improvviso si accorge che le corsie sono terminate e che lo aspetta la lunga schiera di casse, e soprattutto, da ogni corsia esce un membro della sua famiglia con un carrello stracolmo di ogni ben di dio. Il finale è comico e al contempo tragico.

Caratteristica tipica di Calvino è quella di raccontare il meno possibile della fisicità dei personaggi o delle ambientazioni. Anche in queste opere le descrizioni degli attori e delle scene sono ridotte al minimo possibile, lasciando dunque alla fantasia del lettore il compito di riempire gli spazi, di abbellire ed arricchire le scenografie come meglio aggrada.

Come tutta l’opera di Calvino, anche questa raccolta di racconti può apparire “infantile” e dedicata al pubblico più giovane ed invece io ritengo che proprio l’infantilità di Marcovaldo e lo stile semplice e lineare della scrittura facciano di tutte le opere di questo autore, e di Marcovaldo in particolare, un opera aperta a tutti, giovani, adulti e anziani che abbiano il coraggio di mettersi in gioco.

Sì, ritengo che ci voglia coraggio a prendere in mano un libro così apparentemente semplice che invece nasconde una profondità difficile da sopportare. Insieme al “Piccolo Principe” di Saint Exupéry, questo libricino è tra le opere maggiormente complesse che io abbia mai affrontato.

Complessa perché si è facilmente tentati di fermarsi alla semplice lettura del testo, ma se si intraprende una analisi più approfondita si scopre un mondo di sottesi, di problematiche appena accennate che portano la nostra riflessione molto in profondità. Nulla vieta di leggere le avventure di Marcovaldo come semplici storie ma, così facendo, ci perderemmo tutto il sottile lavoro di ricamo fatto da Calvino nello scrivere questo bellissimo testo.

Libro fortissimamente consigliato.

Rabbia. Una biografia orale di Buster Casey

Rabbia. Una biografia orale di Buster Casey di Chuck Palahniuk, edito da Mondadori – prima edizione 2007.

Chi è davvero Buster Casey, detto “Rant”? Questa è la domanda che percorre, come un filo di Arianna, tutto il romanzo di Palahniuk.

Il protagonista è un figlio della peggiore e più noiosa provincia americana; tendente al sociopatico; allevato in una famiglia la cui storia è talmente particolare da rasentare l’assurdo.

Fin da ragazzino il massimo divertimento per Rant è farsi mordere da ragni, insetti e serpenti vari fino a sviluppare una immunità a qualsiasi tipo di veleno.

Siccome nella vita non bisogna farsi mancare nulla il buon Rant scoprirà nel corso della storia di essere un portatore del virus della rabbia.

Non si sa bene se grazie alla rabbia o se per un dono naturale, il nostro protagonista è dotato di un olfatto sviluppatissimo al punto da riuscire a indovinare moltissimi particolari delle persone semplicemente “annusandole”.

Grazie alle confidenze di un viandante, Rant entra in possesso di una impressionante quantità di monete antiche, la cui vendita permetterà al giovane di abbandonare la squallida provincia americana per trasferirsi nella grande metropoli dove viene immediatamente arruolato nelle file dei “notturni”. (La città è talmente sovrappopolata che si è deciso di dividerla in due: i diurni e i notturni. Ciascun turno non può circolare nelle ore riservate all’altro, e per evitare eventuali commistioni, le autorità impongono un tassativo coprifuoco).

Siccome, prima di andare via da un luogo è cosa buona lasciare un ricordo di sé, ecco che il nostra Rant si adopera per infettare il maggior numero possibile di partner sessuali, amici e compagni di scuola.

Rant durante le sue peregrinazioni nella città incontra loschi figuri come lui, che si dedicano a uno sport automobilistico chiamato “party crashing”, che consiste nell’organizzare incidenti automobilistici a tema per le strade della città. Attraverso queste vere e proprie battute di caccia vengono azzerate le differenze sociali e ribaltati gli stereotipi della società contemporanea. Alternativo al party crashing ma, alla lunga non altrettanto divertente è l’isolamento causato da un nuovo modo di fare spettacolo; si tratta di eventi, manifestazioni, film, emozioni e sensazioni trasmessi direttamente nella mente delle persone attraverso una “porta” che viene installata dietro al collo.

Grazie alla rabbia inoculata da Rant i party-crasher scopriranno che acquisiscono una straordinaria capacità innovativa e molto intrigante; Quella di viaggiare nel tempo immediatamente prima di fare un incidente.

Il romanzo è una narrazione attraverso i ricordi di amici, parenti, party crasher, ammiratori e persone incontrate. Siamo di fronte ad una pletora di voci narranti che si accapigliano per parlare, per raccontare i vari punti di vista.

Sembra quasi di vedere un film sullo schermo del cinema in cui attraverso un montaggio frenetico e psichedelico, i vari attori ci raccontano la storia di questo untore del loro tempo.

I cambi di voce sono talmente rapidi che spesso si ha il dubbio su chi stia parlando. Il montaggio delle voci è talmente fatto ad arte che talvolta una dichiarazione positiva è immediatamente seguita da una totalmente negativa; questo dà al racconto un’energia e un ritmo quasi forsennato.

In questo romanzo Chuck Palahniuk si destreggia con toni satirici per esprimere il suo nichilismo esistenzialista.

Non si tratta certamente di uno scrittore per tutte le stagioni e per tutte le bocche. Le sue opere (decine tra romanzi e racconti) sono pervasi da una elevata critica sociale. Però, se si concede fiducia a questo visionario, il viaggio in cui ci accompagna è uno dei più strani, divertenti e allucinanti.

Giunti al termine di questo romanzo, solo due potranno essere le vostre reazioni. O lo amerete alla follia o lo detesterete nel modo più assoluto.

Credo che sia propria questo lo scopo del modo di scrivere dell’autore. Il non volere che il lettore rimanga indifferente ma che prenda posizione.

Un autore a tinte forti che negli anni novanta avrebbe incontrato il gusto degli amanti del genere “pulp”.

Libro consigliato a chi ha voglia di provare cose nuove ed un po’ tanto folli.

La ragazza nell’ombra – Le sette sorelle

La ragazza nell’ombra – Le sette sorelle di Lucinda Riley, edito da Giunti, prima edizione 2017.

Terzo volume di una serie di sette libri in questo romanzo facciamo la conoscenza di Asterope… alt! fermi tutti!… come terzo volume di una serie di sette? Da quando in qua si inizia a recensire una serie di libri partendo dal terzo?

Lo so, avete ragione. Buon senso vorrebbe che si cominciasse a parlare di una serie dal primo libro e invece io, che non ho buon senso inizio dal terzo. Alè!

Dunque, dicevo. Asterope, che tutti chiamano Star, è una ragazza silenziosa ed enigmatica che ama la letteratura e la cucina. Ha sempre vissuto all’ombra della sorella Cece anche quando viveva con suo padre adottivo, il magnate Pa’ Salt. Con la morte di quest’ultimo tutte le sorelle hanno avuto in dono una busta contenente degli indizi che permettono loro di trovare la propria vera famiglia e la propria strada.

Le ragazze sono tutte state adottate da diverse situazioni difficili e fatte crescere nell’Atlantis, la bella villa in Svizzera, di cui tutte hanno ricordi dolcissimi anche per le amorevoli cure di Ma’.

Star vive in un rapporto simbiotico molto stretto con la sorella Cece; le due ragazze hanno viaggiato parecchio per il mondo seguendo lo spirito di avventura di Cece e, ancora una volta è Cece che decide per entrambe di andare a vivere a Londra.

Star però sente che questa vita al fianco di sua sorella non è più quello che lei desidera. E’ finalmente giunto il momento di trovare la propria strada, e per farlo si affida agli indizi di Pa’ Salt; una statuetta che raffigura un gatto nero, il nome di una donna misteriosa vissuta quasi cento anni prima e il biglietto da visita di un libraio londinese.

La nuova avventura la attira incredibilmente ma al contempo Star soffre perché è cosciente di dare un dolore alla sorella che forse non è pronta per questa separazione.

Proprio come un archeologo la piccola Star inizierà una ricerca lunga e affascinante che le svelerà pian piano il suo passato, la storia della sua famiglia originale e che la metterà di fronte a realtà fino ad ora nemmeno immaginate. Situazioni insolite per lei sempre così schiva, e che stimoleranno la sua curiosità sempre crescente.

Nel corso della narrazione entreranno in scena vari personaggi più o meno stravaganti ma, chiunque legga questo libro non può non trovare divertente il personaggio di Orlando… di cui però non voglio parlare per non svelare troppe cose.

Ultima notazione sulla trama. Notevole la scelta dell’autrice di interrompere il racconto per portarci in un’altra epoca, in un altro tempo proprio come se stessimo vivendo lo stesso momento della protagonista.

I nomi delle ragazze sono ispirati dalle stelle che compongono la costellazione delle Pleiadi e, nello specifico, Asterope è una stella particolare perché è in realtà formata da due stelle talmente vicine che sembrano una sola.

I personaggi sono molto ben raccontati e anche quelli che rimangono in scena per poche battute sono definiti e facilmente evocabili da parte del lettore.

La trama è scorrevole e la scrittura intrigante. Se devo trovare una piccola nota dolente a questo romanzo è quello che il finale è un poco troppo prevedibile, ma per il resto è una lettura assolutamente godibilissima.

Io sono la prova vivente che non serve aver letto gli altri libri prima di leggere questo.

Libro consigliato.

Treno di notte per Lisbona

Treno di notte per Lisbona di Pascal Mercier (al secolo noto come Peter Bieri), edito da Mondadori, prima edizione 2004.

In questo libro si parla di un libro che non è quello che stiamo leggendo; il protagonista di questo libro è il paravento dietro cui si nasconde il vero protagonista e la città dove tutto avviene non è quella dove solitamente vive il nostro protagonista.

Lo so, sembra terribilmente complicato ma, se mi seguirete, prometto di essere più chiaro.

Raimund Gregorius di anni 57 (chiamato Mundus dai propri studenti) è un professore di latino, greco ed ebraico che svolge la sua mansione nel liceo di Berna; la mattina in cui inizia il nostro romanzo il professor Gregorius sta attraversando il ponte Kirchenfeld alle otto meno un quarto come tutte le mattine lavorative.

Ma questa non è una normale mattina lavorativa infatti il suo sguardo viene attratto da una cosa insolita. Vede una donna, a lui totalmente sconosciuta, gettare una lettera dalla spalla del ponte. Quasi come se si trattasse di una visione, il professore intuisce che il desiderio della donna sia quello di farla finita gettandosi anch’essa nelle acque del fiume. Immediatamente si lancia ad impedire questo gesto. La signora, grata, lo ringrazia dicendo poche parole in francese e… scrivendogli in fronte un numero di telefono.

Mentre i due si asciugano i vestiti nell’androne del Liceo dove Gregorius lavora, il professo chiede di dove sia la signora e lei risponde “Portugués”; il suono di questa parola inizia uno strano processo di scavo nella mente dello stimato professore.

Tale scavo accelera quando, poche ore dopo l’incontro, Gregorius si trova nella libreria spagnola dove casualmente viene in contatto con un libro che reca in copertina la seguente iscrizione: AMADEU INACIO DE ALMEIDA PRADO, UM OURIVES DAS PALAVRAS, LISBOA 1975.

L’attrazione verso il libro è tale che, dopo essersene fatto tradurre alcune pagine dal libraio, decide comunque di acquistarlo nonostante non parli portoghese. Compra anche un dizionario di portoghese e inizia a tradurre il testo di Prado.

Quello che trova scritto in questo libro è talmente affascinante ed evocativo che il nostro eroe, uomo di solito prevedibile, calmo e razionale decide in modo inaspettato di andare a Lisbona con il treno della notte.

Qui indagherà sulla complicata vita dell’autore e attraverso questa analisi avrà la possibilità di analizzare sé stesso e la propria esistenza.

Grazie alle idee e riflessioni che trova nel libro di Prado, Gregorius permette a sé stesso di mettersi in discussione per la prima volta, scoprendo finalmente chi è in realtà l’uomo che si nasconde dietro il cattedratico; questa nuovo occhio con cui guarda il suo passato scruterà approfonditamente tutta la sua esistenza mettendo delle luci accecanti su eventi e decisioni che lo hanno portato a chiudersi nella propria solitudine.

Si tratta chiaramente di un romanzo non di facilissima lettura anche se lo stile di scrittura è fluentissimo e molto gradevole; Il continuo ricorrere alle filosofie di Prado, permette al lettore di leggere contemporaneamente due storie, e di poter mettere in relazione le esistenze dei due protagonisti entrambi intrappolati nel proprio passato.

I personaggi sono tanti e finemente raccontati; la storia che scoprirà chi avrà la voglia di rapportarsi con questo libro, è una di quelle che si artigliano al cuore e non lo lasciano più.

Concludo con una citazione presa dagli scritti di Prado: “perché poi è così difficile mantenere aperto lo sguardo? Siamo esseri pigri, bisognosi di ciò che è noto, familiare. Curiosità come raro lusso sul terreno dell’abitudine. Stare saldi e saper giocare con l’apertura, questa sì sarebbe un’arte. Bisognerebbe essere Mozart. Un Mozart di un futuro aperto”.

Libro molto consigliato a chi ha palato fine.

Il processo

Il processo di Franz Kafka, edito in una infinità di edizioni, prima edizione 1925.

Da dove comincio? Dal brevissimo riassunto.

Joseph K. sta più o meno serenamente vivendo la propria vita di procuratore in un istituto bancario quando, improvviso come un fulmine a ciel sereno si ritroverà nelle grinfie della giustizia che pretende di processarlo.

Il racconto ha una durata temporale di un anno esatto infatti inizia la mattina del trentesimo compleanno di K con l’arrivo nella camera della pensione dove questi alloggia, di due auto-identificatisi come agenti di polizia che gli notificano che intendono arrestarlo con un’accusa che non verrà mai esplicitata chiaramente; Dopo una lunga discussione decidono di lasciarlo in libertà provvisoria.

Questa libertà e l’assoluta certezza che si tratti di un errore giudiziario portano K. ad impegnarsi tempestivamente per la risoluzione immediata di questa assurda situazione.

Il suo iniziale tentativo di affrontare la macchina processuale con logica e pragmatismo si scontra con l’assurdità di un sistema giudiziario (ma è davvero questo?) che si avvita su se stesso non permettendo all’imputato né di conoscere la propria imputazione, né tanto meno di poter organizzare una difesa sia in solitaria che con l’aiuto di avvocati blasonati.

Vista l’inerzia che caratterizza l’azione dell’avvocato che dovrebbe patrocinarlo, K. decide di togliergli il mandato rinunciando di fatto alla propria difesa, perché un uomo solo non può combattere contro un sistema così complesso e volutamente incomprensibile quale è quello contro cui si trova a lottare il nostro protagonista.

Proprio questa rinuncia alla difesa sarà l’elemento di abbrivio del finale. Senza alcun preavviso K verrà infatti prelevato, la mattina del suo trentunesimo compleanno, da due agenti del tribunale e portato in una cava dove…

E’ evidente che l’oggetto del romanzo sia la passiva accettazione della impossibilità di combattere contro la giustizia e i suoi metodi spesso incomprensibili.

Lo stile narrativo è spesso spersonalizzato e angosciante ma proprio questo stile rende la narrazione simile ad un incubo in cui, il lettore è catapultato e in cui si dibatte insieme al protagonista senza mai riuscire a trovare il bandolo della matassa.

Si tratta comunque di un romanzo incompiuto, pubblicato dopo la morte dell’autore e contro il suo volere che aveva chiesto al suo curatore di “darlo alle fiamme”.

Lungi dal mettere in discussione l’autore o quello che voleva essere il suo intento, spesso nel corso della lettura, mi sono sentito annoiato (forse perché la storia è abbastanza miserrima) e arrivare alla fine di questo romanzo è stato quasi una dimostrazione di volontà.

A mio modestissimo parere si salva solo l’incipit “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”.

Libro non consigliato!

Gli eredi della terra

Gli eredi della terra di Ildefonso Falcones, edito da Longanesi prima edizione 2016.

Prima di iniziare qualunque tipo di analisi o commento relativamente a questo libro, ci tengo ad anticipare una indicazione: non fatevi spaventare dalla dimensione di questo libro. Per essere un libro di 905 pagine si lascia violare come un romanzo di 300.

Assolto questo necessario prodromo eccoci al romanzo; si potrebbe dire, e forse è anche vero, che il protagonista di questo ponderoso tomo sia Hugo Llor, un ragazzo che vive nella Barcellona del XV secolo e che affronta tutte le difficoltà della vita a viso scoperto; in realtà credo che lo scopo dell’autore sia di raccontarci la storia di una persona che, nonostante la vita gli scombini spesso i piani, gli metta spesso i bastoni tra le ruote, gli cambi le carte in tavola continua ostinatamente ad affrontare tutte le difficoltà semplicemente perché non vuole arrendersi e perché vuole raggiungere la sua felicità.

Seguiremo Hugo nell’arco temporale tra il gennaio 1387 e il settembre 1423. All’inizio della sua storia Hugo è un dodicenne che vive con la madre vedova e una sorella; devono lavorare tutti per sbarcare il lunario e, il nostro protagonista è convinto che mestiere che farà per tutta la vita sia quello di mastro d’ascia anche se al momento del nostro primo incontro il suo ruolo è quello di sollevare la palla attaccata al piede del “genovese” che è prigioniero in quel di Barcellona e che lavora per i cantieri navali.

Incontra Arnau Estanyol, uno dei più stimati notabili di Barcellona; nessuno sa meglio di Arnau quanto possa essere dura e ingiusta con gli umili la città comitale.

A seguito della morte del re Pietro, tornano in città i Puig, storici nemici di Arnau, che non perdono tempo e alla prima occasione mettono in atto la vendetta che covano da tanti anni, uccidendo il benefattore. Hugo sarà l’unico che tenterà di difendere il benefattore, attirandosi addosso l’ira della famiglia Puig.

Da questo momento la vita di Hugo si muoverà come un pendolo tra la necessità di sopravvivere e la fedeltà a Bernat, l’unico figlio di Arnau.

Troveremo Hugo nelle terre profumate di vino della Catalogna, negli anni turbolenti del concilio di Costanza, a contatto di quella società effervescente ed imbrigliata, volubile ma corrotta che farà da contraltare alla sua lotta per una vita che non sia inutile e che non obblighi a sacrificare dignità ed affetti, desideri e personalità.

Lo vedremo innamorarsi di una ragazza ma sposarne una seconda su cui ha ricevuto un chiaro avviso negativo dalla migliore amica di lei. Ogni qual volta sembrerà che il fato possa guardare benignamente alla vita del giovane, immediatamente un diavolo ci metterà la coda e il ragazzo ormai diventato uomo si troverà a dover ricominciare da capo.

Hugo però conosce a perfezione il proprio animo e le proprie forze e si ostina a lottare come un leone anche quando il buon senso direbbe il contrario.

Sulla sua strada troverà tanti buoni amici e tante persone che amerà con gradi differenti; forse però la persona che lo amerà più di tutti, sarà quella che Hugo riconoscerà troppo tardi.

Indubbiamente è un libro complicato perché in un arco temporale relativamente breve (soli 36 anni) entrano tanti eventi, la morte del re, la nomina del nuovo sovrano, l’elezione del papa e degli antipapi, svariate battaglie della marina di Barcellona ma sono anche tanti i personaggi che si incontrano nel racconto e oggettivamente non è sempre facile ricordarli. E’ una lettura impegnativa ma bellissima. Non abbiate fretta di arrivare alla fine ma, come se si trattasse di un viaggio, godetevi il panorama e le storie che vi verranno raccontate ,in attesa di giungere al porto finale e di conoscere cosa accadrà al nostro eroe Hugo.

Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio

Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Amara Lakhous, edito da Edizioni EO, prima edizione 2006.

Ma che bello questo libro, ma che bello questo libro, ma che bello questo libro. Per niente facile fare una sinossi però.

Roma, piazza Vittorio, nell’ascensore di un condominio viene trovato un cadavere.

Immediatamente le indagini (che non ci verranno raccontate) si indirizzano sull’intervista dei vari condòmini. Tutti sono convinti di sapere chi sia l’assassino. Da ogni abitante del palazzo ci verrà raccontata una storia che sembrerà fine a se stessa, ma che poi intrecciandosi a tutte le altre, ci porterà a vedere la realtà sotto molte luci diverse; a vedere la verità in base alla cultura e all’educazione di ogni condòmino; sembrerà quasi che la loro capacità di elaborare la realtà sia imbrigliata dalle convenzioni più comuni. Rappresentano forse degli stereotipi?

Ogni personaggio però, ha una propria identità chiara che si delinea perfettamente nel corso del racconto facendosi portavoce di una personalità effettivamente “reale”; proprio in questo si trova la chiave dell’ironia di questo romanzo. Perché ognuno di noi ci si può riconoscere. In ognuno di loro, c’è un pezzetto di noi.

Tra le accuse della portinaia, convinta che l’assassino sia uno degli immigrati che “girano” nella zona, la badante peruviana che vive nel terrore di perdere il lavoro e che si “ammazza” di televisione, si ubriaca e si concede al primo che capita la domenica pomeriggio, ascoltiamo esterrefatti le tante altre storie che si intersecano mandando in secondo piano la ricerca dell’omicida.

Tutte queste storie sono intervallate dagli “ululati” di un non meglio precisato Amedeo che sembra essere una voce narrante “sovrana” ed invece è solo la cassa di risonanza attraverso cui queste storie sono legate le une alle altre. Ad ogni ululato conosceremo anche un pezzetto della vita precedente di questo oscuro figuro che frequenta gli immigrati e li tratta con sincero affetto.

Ma chi è veramente Amedeo? E soprattutto, perché è scomparso?

E’ bello questo modo di raccontare una diversità che ormai non notiamo nemmeno più. Tutte queste storie raccontano una realtà che spesso non conosciamo perché temiamo di “sporcare” la nostra educazione e la nostra cultura con educazioni e culture differenti.

Può sembrare un libricino leggero leggero, quasi letteratura da spiaggia, eppure ogni volta che si chiude il libro ci si ritrova a riflettere su una condizione di disagio su cui, forse, non abbiamo mai riflettuto abbastanza.

Si ride in questo libro certo ma si fanno anche riflessioni profonde. Alla fine di questo romanzo indubbiamente avremo una mentalità diversa anche solo per il fatto che abbiamo buttato un’occhiata in questo mondo.

L’autore, algerino di nascita, vive a Roma dal 1995 e ha vinto nel 2006 il premio Ennio Flaiano per la narrativa ed il premio Recalmare – Leonardo Sciascia.

Inoltre nel maggio 2010 è uscito il film omonimo diretto da Isotta Toso.

Ovviamente libro consigliato per un po’ di riflessione con il sorriso sulle labbra.

Sei una bestia, Viskovitz

Sei una bestia, Viskovitz di Alessandro Boffa, edito da Garzanti – prima edizione 1998.

Come vive una lumaca? Cosa sogna un ghiro? E una mantide religiosa cosa pensa dei rapporti interpersonali? Un leone può innamorarsi di una gazzella? Queste sono alcune delle domande a cui tenta di rispondere con grandissima ironia l’autore che crea uno zoo (mai parola fu più corretta) con il solo fine di raccontarci le vite più segrete di questi e di altri animali. La voce narrante è sempre lui, Viskovitz e insieme a lui troviamo gli amici di ogni avventura Zucotic, Petrovic e Lopez. Nella vita però, non contano solo le amicizie ma anche l’amore; e l’amore ha sempre un solo nome Ljuba sia essa una ghira “bella come il sonno, seducente come uno sbadiglio e soffice come un cuscino” o una scorpionessa “seduttrice diabolica e micidiale macchina di sterminio”. 

Grande umorismo, biologia e una grande umanità sono le caratteristiche peculiari del nostro protagonista che di incarnazione in incarnazione pone una chiara luce in angoli bui; in quella vita segreta degli animali che spesso ci sfugge.

E’ un libro strano. Si potrebbe pensare ad una serie di racconti ma, in realtà è molto di più. E’ quasi un compendio di comportamenti “bestiali” di noi umani; si proprio di Noi umani. Riusciamo a riderne proprio perché sono gli animali a manifestare questi comportamenti “umani, troppo umani”. Basterebbe ampliare di poco il raggio di luce per capire che, ad esempio, la mantide religiosa che pasteggia con il proprio compagno è la perfetta rappresentazione di chi vuole a tutti i costi comandare dittatorialmente nel rapporto di coppia; la lumaca che si “ripiega” su se stessa sta a rappresentare l’edonismo e l’egocentrismo di molti umani.

Per alcuni tratti Viskovitz può ricordare Edward il protagonista di “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” (libro la cui recensione è presente nelle prime pagine di questo blog), ma a differenza di Edward che cercava di agevolare l’evoluzione della specie, Viskovitz è più egoisticamente alla ricerca del proprio semplice tornaconto; si tratti di un buon pasto, di una bella dormita o di tanto sesso con la bellissima Ljuba. Però i due personaggi sono sicuramente accomunati da una sfiga non indifferente e da una grande ironia che permette al lettore di divertirsi alle loro spalle.

L’autore, di cui questo è il primo romanzo, tiene sempre un tono leggero, quasi divertito. Il testo non è mai pesante e gli eventi si susseguono rapidi. I racconti hanno una durata perfetta per una lettura veloce, magari stando già nel letto, in procinto di addormentarsi.

Qualche critico si è sbilanciato ad accostare Boffa ad Esopo. Onestamente credo che il paragone sia un po’ esagerato perché, mentre lo scrittore greco filosofeggiava e moralizzava con le proprie creazioni, l’intento di Boffa mi sembra molto meno “educativo” e molto più giocoso.

Non fatevi scoraggiare dal fatto che l’autore sia un biologo, quindi un addetto ai lavori delle scienze. Buttatevi in questo libercolo e scoprirete i punti di vista degli animali e, a lettura ultimata, non potrete più guardare una lumaca, un ghiro, una mantide religiosa con gli stessi occhi di prima.

Per terminare riporto un breve stralcio di un racconto: “Il sesso? Non sapevo neanche di averne uno. Figuratevi quando mi dissero che ne avevo due. <Noi lumache, Visko>, mi spiegarono i miei vecchi, <siamo ermafroditi insufficienti…>. <Che schifo!>, strillai. <Anche noi di famiglia?>

Libro consigliato.

Il birraio di Preston

Il birraio di Preston di Andrea Camilleri, edito da Sellerio – prima edizione 1995.

Oh mamma da dove comincio? C’è così tanto da dire su questo bellissimo romanzo del maestro Camilleri. Comincio col dire che la storia raccontata nel libro si riferisce ad un fatto vero, storico, documentato nella “Inchiesta sulle condizioni della Sicilia” del 1875-1876 quando, agli onori della cronaca salì la notizia dei disordini avvenuti in Caltanissetta dopo che il Prefetto Fortuzzi (che diventerà Bortuzzi nel libro) decise di inaugurare il teatro della città con l’opera sconosciuta “Il birraio di Preston” di Luigi Ricci.

Il buon Camilleri racconta questa storia ambientandola a Vigata e circondandola di tante altre storie che, come le patate attorno all’arrosto, servono a renderla più succulenta, più vera, aiutando il lettore a immaginarsi la vicenda, ma andiamo con ordine.

Tutto prende le mosse da un incipit che riprende scherzosamente quello di Bulwer-Lytton citata più volte da Snoopy “era una notte buia e spaventosa”. Chiaramente nell’opera di Camilleri il tutto è modificato in dialetto e così eccoci davanti a “Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irresistibilmente gli scappava.”.

Insomma vuoi per il temporale, vuoi per la necessità di espellere liquidi, il piccolo Gerd vede in lontananza che a Vigata qualcosa brucia, lo dice al padre che ha finalmente la possibilità di provare la sua nuova macchina contro gli incendi.

Nella corsa folle della macchina fino alla cittadina il teutonico genitore chiede ad un contadino come sia nato l’incendio e questi gli risponde “Ah, pare che ad un certo punto la soprano stonò”!

Con questo stratagemma Cammilleri ci ha fatto entrane nella storia e quindi siamo accanto al delegato di polizia quando, spento il rogo, si iniziano a fare i rilievi e le analisi per capire di cosa si sia trattato.

Su di un binario parallelo seguiremo la storia di come si sia arrivati alla scelta del Prefetto di far inaugurare il nuovo teatro con un’opera invisa alla popolazione.

Conosceremo meglio il poliziotto che segue le indagini; vedremo arrivare nella cittadina un personaggio strano, ben noto alla polizia che deciderà di non arrestarlo per ragioni di convenienza, decisione che sarà poi rimpianta amaramente.

Con il corso delle storie arriveremo finalmente a quel 10 dicembre 1864 quando va in scena l’opera tanto osteggiata. Ma la farsa si trasforma in tragedia quando durante l’intervallo qualcuno cerca di uscire dalla sala per andare alla toilette e scopre che tutte le porte sono bloccate dall’esterno per impedire che la gente se ne vada alla chetichella prima del finale.

A questo punto la scena diventa come quelle dei film di Stanlio e Olio dove accade di tutto e la frenesia è imperante… e io, per non togliere suspance al lettore che vorrà intraprendere questo viaggio, mi fermo nel mio raccontare.

La lingua usata da Camilleri in questo romanzo è quel sapiente mix di italiano e siciliano che ormai caratterizza tutte le opere dello scrittore nato a Porto Empedocle; quindi ci vuole un po’ di attenzione, soprattutto all’inizio; quando poi ci avrete un po’ fatto l’orecchio andrete spediti.

I personaggi sono raccontati dall’autore in maniera splendida sia nella loro sostanza fisica ma soprattutto in quella psicologica. Entriamo dentro la testa dei personaggi e capiamo le motivazioni che li portano a fare quello che fanno o a decidere quello che decidono.

Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, Camilleri dimostra il grande valore della sua arte scrittoria. Prendendo spunto da storie semplici, da accadimenti quasi banali, dal mondo che ci circonda, trova sempre il modo di affabularci e di farci sognare una realtà diversa da quella che in realtà viviamo.

Libro decisamente consigliato.