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Febbre

FebbreBazzi Jonathan, edito da Fandango Libri – Prima edizione 2019.

Romanzo autobiografico che ci pone di fronte ad un libro complesso per la forma narrativa che l’autore ha deciso di utilizzare infatti, la storia viaggia su due piani temporali diversi.

Nel primo troviamo il 31enne Jonathan che ancora frequenta l’università, ha una vita normale, convive con il suo compagno, frequenta gli amici, tiene i suoi corsi di yoga e che in un bel giorno di gennaio, un giorno tale e quale a tanti altri che lo hanno preceduto, scopre di avere la febbre. Non quei bei febbroni da cavallo che ti fanno delirare, che ti sconquassano, che ti fanno pensare a addii definitivi, a testamenti da scrivere, a cose da lasciare. No, niente di tutto questo ma una febbriciattola, poche linee sopra la norma; più una infreddatura che febbre vera e propria; in queste condizioni tutti prendiamo una compressa, ci mettiamo sotto le coperte e, al risveglio è tutto passato.

Jonathan però il mattino dopo purtroppo non è guarito, la febbre c’è ancora e sembra mangiargli piano piano le energie sia fisiche ma soprattutto mentali. Nei giorni successivi il protagonista prova in ogni modo noto a mandare via la febbre ma niente sembra avere la meglio su questo malanno molesto.

La vita di Jonathan rallenta via via che il giovane consuma le forze residue. E’ costretto a lasciare il corso di yoga, unica fonte di reddito e le lezioni in università. Insomma il ritmo vitale di Jonathan è scandito solo dai risvegli notturni in pozze di sudore e da una stanchezza persistente che si mangia via via tutte le sue energie lasciandolo bianco e indifeso come una larva di formica.

Non volendo anticipare nulla al lettore, interrompo qui il riassunto della prima parte del romanzo.

Sull’altro piano narrativo l’autore ci racconta sé stesso nell’interazione con la provincia dove è nato. Quella Rozzano che lui tanto odia e da cui si sente odiato.

Troviamo Jonathan bambino con bisogni speciali, figlio di una famiglia dove il padre è perennemente attaccato alle gonne di troppe donne e di una madre ovviamente ultra protettiva. Crescerà con l’aiuto dei nonni materni ma non si integrerà mai nella vita caotica e violenta di Rozzano definita “il Bronx di Milano”.

Questo bambino ha bisogno di affetto e attenzioni particolari che lo aiutino a capire tutto quello che accade intorno a lui, ma non è certo qui che troverà tutto ciò, non è certo in questa famiglia che potrà fare uno sviluppo infantile sereno.

Qualunque cosa faccia Jonathan si sente fuori luogo, si sente diverso da tutto e da tutti. Essendo anche molto timido non può trascorrere il tempo con gli altri ragazzini e preferisce sempre i giochi da femmina provando costantemente la sensazione di diversità che comprenderà soltanto alcuni anni dopo con lo sviluppo psico-sessuale.

Il romanzo prosegue via via arricchendosi di tinte sempre più fosche man mano che la vicenda avanza. Jonathan diventa il fantasma di sé stesso e solo grazie alla vicinanza del suo compagno e a quella della madre ultra presente e efficiente, Jonathan arriverà alla fine di un percorso durissimo e irto di insidie a scoprire il nome della sua malattia.

Lo dico subito, il romanzo non è piaciuto perché, a mio modestissimo parare, la trattazione è stata minima. Sembra quasi che la storia l’abbia scritta mentre era malato, non dopo che ha ritrovato una salute buona.

Inoltre ad entrambi i piani narrativi manca tutta la parte psicologica. Come ha affrontato la malattia che non passava? Quali riflessioni faceva mentre stava così male? Come trovava però la forza, almeno nel primo periodo, di fare quello che faceva?

E una volta scoperta la propria malattia come l’ha affrontata psicologicamente? Come è riuscito ad essergli di aiuto il suo compagno? Come ha elaborato la malattia e le conseguenze che avrebbe potuto avere? Come è passato dal terrore alla speranza?.

Ecco questo sono un po’ di domande che mi sono rimaste in testa dopo la lettura di questa biografia.

Anche la descrizione dei co-protagonisti è scarsa. I personaggi secondari sono quasi solo raccontanti dal loro nome. Sono pochissime le informazioni su di loro, sul loro aspetto, sul loro modo di interagire con il protagonista e quindi, il lettore fatica a completare l’immagine mentale.

Insomma la storia è interessante però lo sviluppo scelto dall’autore non è stato per me gradevole.

Libro da leggere obbligatoriamente perché nonostante tutte queste lacune di cui mi lamento, è uno dei pochi libri che affronta questa tematica a viso aperto, e che ci fa sentire la voce del protagonista.

I delitti di via Medina-Sidonia

I delitti di via Medina-SidoniaPiazzese Santo, edito da Sellerio – Prima edizione 1996.

Questo è sicuramente un romanzo strano infatti cerca di farci credere che un omicidio sia un suicidio e che un altro omicidio sia una disgrazia. Entrambi gli omicidi si svolgono all’interno del dipartimento di biologia dell’università. Questo particolare è quello che assume a giustificazione il personaggio che, senza alcuna competenza specifica, si assume l’onere delle indagini.

Non siamo davanti ad un commissario di polizia o qualcuno debitamente formato in materia bensì al professore universitario della facoltà di biologia. Ricordiamo che l’autore rivestiva esattamente questo ruolo pertanto possiamo dire che il protagonista, la voce narrante, sia l’autore stesso.

Il giallo è ambientato a Palermo ma questa volta la mafia non ha luogo di esistere o di essere anche solo nominata. Seguiremo il protagonista, tale Lorenzo La Marca nel suo percorso per scoprire chi ha è macchiato le mani con il sangue di due brave persone.

Si tratta di un giallo molto ben scritto e costruito; se proprio un dettaglio che stona voglio cercare, diciamo che è un po’ troppo vecchio stile. Intendo che richiama molto lo stile narrativo dei grandi gialli della letteratura anglosassone.

Però uno dei vantaggi di questo romanzo è la grande capacità letteraria dell’autore. Ciò gli permette di infarcire il suo scritto di molte parole ricercate, molti aneddoti simpatici o piccanti che ne impreziosiscono il tessuto. Forse in alcuni passaggi il godimento di saper scrivere e di conoscere termini così inutilizzati ha inorgoglito l’autore al punto da fargli perdere il senso della misura. Ammetto che alcune frasi sono un po’ pesanti; sembrano quasi frasi da romanzi ottocenteschi.

Ma non perdiamo il filo. Nel corso della lettura vedremo il La Marca girare per una Palermo calda come un forno e, al tempo stesso, succulenta come una granita di caffè. Lo vedremo girare per zone della città che sembrano non essere collegate con gli eventi su cui sta indagando; parlare con persone e fare domande che sembrano lontane mille miglia dagli omicidi avvenuti.

E invece il buon La Marca, con i suo metodo un po’ arraffazzonato, la sua musica, il suo amore per il gentil sesso arriva, alla fine, a svelare tutto il mistero.

Ammetto che quando sono arrivato a leggere il finale sono rimasto un po’ deluso perché tutto è molto semplice e logico però, in un secondo momento e ad un’analisi più approfondita, ho capito che sbagliavo io. Infatti il vero obiettivo che Piazzese vuole che perseguiamo non è la banale scoperta dell’assassino bensì il viaggio percorso dal La Marca. E’ un po’ come godersi il viaggio prima di arrivare alla meta del nostro viaggio.

Lo stile letterario di Piazzese è limpido, fresco, leggero e, come certe piante carnivore, traditore. Infatti dopo poche pagine si capisce che quello stile ci incatenerà fino alla fine della storia.

Non aspettatevi un libro noioso perché Piazzese si diverte nel raccontarci la storia e ci fa divertire con simpatici calambour e frecciatine. Ma nonostante ciò, il libro è un omaggio alla letteratura e all’amore per i libri che si evidenzia nelle continue citazioni letterarie, ma anche cinematografiche e musicali del protagonista.

Lo dicevo all’inizio e lo confermo ora. Siamo di fronte ad un testo strano, difficile per alcuni versi, semplicissimo per altri; attrattivo come una calamita per le descrizioni magnifiche di una magnifica Sicilia e vagamente respingente se, come me, non amate troppo il citazionismo in cui Piazzese intinge un po’ troppo la penna.

Un grande pregio di questo romanzo giallo è che, di sicuro non lascia indifferenti infatti, o si ama o si odia.

Libro consigliato.

Una stagione selvaggia

Una stagione selvaggia di Joe R. Lansdale, edizione Einaudi, prima edizione 1990.

Questo è il romanzo con cui facciamo la conoscenza della strana coppia formata da Hap & Leonard, i due detective protagonisti della fortunata serie creata da Joe Lansdale.

Hap, bianco, maschio, eterosessuale che ha rinunciato da tempo ai propri sogni di giovane insurrezionalista che deve salvare il mondo, e la cui unica aspirazione ora è solo quella di una vita tranquilla, punteggiata dalle chiacchiere dell’amico e compagno di avventure Leonard.

Leonard invece è grosso maschio pieno di muscolosi, nero, cattivo, che pratica arti marziali, parla sporco, e senza peli sulla lingua, omosessuale in piena attività.

Nonostante la vita assomigli a quella che hanno scelto, poco lavoro e tanta serenità, Hap non ha rinunciato al suo sogno di fare la rivoluzione e l’arrivo della sua bionda ex moglie, Trudy risveglia gli antichi fuochi. Basta raccontargli della possibilità di recuperare mezzo milione di dollari, frutto di una rapina in banca compiuta anni fa che giace sul fondo della palude.

Anche se non completamente convinti il duo accetta l’incarico senza pensare che quei soldi non li stanno cercando soltanto loro e che molti soggetti ci hanno messo gli occhi sopra. In maniera un po’ avventata il trio si mette ad organizzare il recupero che non sarà assolutamente semplice in quanto non soltanto non sanno esattamente dove si trovano i soldi, ma sicuramente l’acqua della palude, marcescente e nauseabonda, non faciliterà il compito.

La storia è interessante, originale e talmente assurda da essere quasi incredibile. I personaggi sono molto originali, curiosi e ben caratterizzati. I due protagonisti sono così diversi tra loro, ricchi di unicità, che non si può non stare dalla loro parte. Trudy è la classica bella donna sfiorita nel tempo che si affida ai pensiero dei soldi per trovare nuovamente la felicità. Ovviamente è pure un po’ stronza.

Anche i personaggi secondari sono chiaramente ben definiti; tra loro troviamo Paco, un uomo con una storia che, quando ce la racconterà, ci farà accapponare la pelle dai brividi,

I dialoghi sono qualcosa che non ci si aspetta da un romanzo del genere; Non solo sono ben scritti, ma addirittura spassosi, ricchi di ironia ed autoironia. L’interazione tra i due protagonisti che chiacchierano, ricorda in qualche modo lo scambio di battute tra i comici del cabaret. Ognuno cerca sempre di avere la risata più fragorosa con soluzioni originali rarissime in questo genere di scritto.

La lettura del romanzo è davvero molto piacevole anche se alla fine ci lascia con ancora un po’ di fame.

Siamo forse di fronte al romanzo perfetto? No, certamente no però, a tutt’oggi è uno degli scritti che maggiormente ha stimolato la mia curiosità arrivando al punto da far montare dentro di me la giusta ansia di giungere al finale.

Ecco, due parole è necessario “sprecarle” anche per il finale. Siamo davanti ad un finale molto particolare infatti, se per tutto il romanzo l’autore ci ha coccolato con poche situazioni anomale o spaventose, ecco che con l’arrivo del finale apre le porte ad una serie di situazioni scioccanti ed improvvise che, quasi come una serie di badilate sui denti, ci obbligano ad ingoiare svariati bocconi di acqua melmosa mista a fango putrescente.

Ma non poteva esistere finale migliore.

Non ci resta che leggere i volumi successivi delle avventure di questo dinamico duo.

Libro leggero e consigliato.

Il nostro piccolo pazzo condominio

Il nostro piccolo pazzo condominio di Fran Cooper edito da Newton Compton Editori, prima edizione 2018.

Il libro che ci apprestiamo a conoscere può sembrare, a prima vista, un libricino leggero leggero, senza alcun peso specifico, una storiella morbida su cui sdraiarsi prima di andare a fare la nanna. Invece durante la lettura si scoprono angoli duri come pietre, gibbosità inaspettate che premono sulla nostra coscienza, molle che non molleggiano più dure come palle di piombo.

Il protagonista della nostra avventura è Edward che arriva a Parigi in una torrida giornata di giugno. A differenza di quello che si può pensare Edward non è a Parigi per turismo ma sta scappando dai propri incubi che non gli permettono di dormire bene dalla morte della sorella. Si trasferisce, temporaneamente, nell’appartamento vuoto di un’amica al numero 37 di Rive Gauche, una via anonima nella Parigi meno turistica che possiate immaginare.

Niente boulevard e luci romantiche ma un palazzo inquietante e pulsante dei segreti dei suoi inquilini. Tra queste mura c’è chi parla troppo e chi invece tace, chi gode della solitudine e chi anela una compagnia. Nel corso della narrazione conosceremo i vari condomini, come ad esempio, la madre sull’orlo di una crisi di nervi causato dal post partum, che deve riappropriarsi del suo ruolo di donna prima che del suo stesso corpo e soprattutto, dare un po’ di requie al suo cervello sempre intento a giudicarsi.

Edward attraverserà un percorso difficile durante la sua permanenza in questo condominio, un percorso accompagnato sempre da due ali di folla formata dai suoi condomini che lo aiuteranno nutrendosi della sua difficoltà, della sua gioventù e soprattutto del suo dolore. Questo cammino li lascerà tutti ripuliti, rinnovati come se tutte le loro anime e ansie fossero fresche di lavanderia.

Come anticipavo, questo romanzo fa riflettere attraverso questa rete di straordinaria umanità che è tangibile, nonostante ogni condòmino stia ben attento a rimanere perfettamente estraneo agli altri.

Le storie di questo romanzo potranno sembrare slegate tra loro ma, come affluenti minori di un fiume, irrimediabilmente si avvicinano sempre di più fino a fondersi in un unico flusso narrativo che presto ci verrà svelato e che ci permetterà di vedere compiutamente il progetto della sua autrice.

Proprio come nella vita reale, anche i personaggi di questo romanzo sono nascosti dentro se stessi. Come se fossero cipolle, quando togliamo una pelle ecco che se ne svela una nuova, sottostante che brilla nella sua epifania e chiede di essere raccontata.

Chiaro è l’intento dell’autrice di comunicarci il suo punto di vista; la sua ricetta per trovare la soluzione dei problemi di tutte queste persone. L’amore; ma non la passione bruciante di certi romanzi ma quel calore dolce e costante che accarezza i nostri cuori affannati.

La trama risulta indubbiamente avvincente anche perché il personaggio di Edward non è anche che quel giovane che tutti noi siamo stati, e che continua a vivere nel nostro profondo. La nostra anima quindi, più che il nostro cervello, seguirà Edward nel suo peregrinare, nel suo innamorarsi, nel suo conoscere e disconoscere, nel suo affascinarsi e crescere.

Le porte degli appartamenti si apriranno via via al suo tocco, alcune solo di pochi centimetri altre si squaderneranno davanti a lui mettendo a nudo tutto ciò che si trova al loro interno.

Lettura semplice ma profonda; indubbiamente consigliata!