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Mucho mojo

Mucho mojo di Joe R. Lansdale, edizione Einaudi , prima edizione 2007.

Non abbiamo ancora finito di ridere con l’immagine di Hap e Leonard sgocciolanti acqua e melma nell’avventura precedente ed ecco che li ritroviamo asciutti e oziosi in questa nuova storia raccontata da Lansdale con la solita cinica asciuttezza. Il nostro serafico duo è seduto sulla veranda di casa ad ammazzare cimici e a bere birra ghiacciata, sempre alla ricerca di qualche lavoretto per sbarcare il lunario. Non potrebbero sognare di meglio, ma il fato ha in serbo per loro qualcosa di completamente diverso. Uno zio di Leonard muore e lascia al nipote una fatiscente proprietà e centomila dollari in contanti. I due si trasferiscono là per ristrutturare la casa e poi venderla ad un prezzo maggiore ma, di nuovo, il destino mette loro il bastone tra le ruote. Sotto la casa che stanno ristrutturando, scoprono la mummia di una creatura. Scambiata, il un primo momento per un animale andato a morire sotto le assi della casa e mummificata dal caldo asciutto della zona, si scoprirà poi trattarsi di un bambino.

Il serafico duo si ritrova, suo malgrado invischiato in una nuova avventura che li porterà a scavare nel passato più sordido che possiate immaginare. Scopriranno, con l’aiuto di due poliziotti non sempre entusiasti, e di una sexy avvocatessa di colore che nel piccolo villaggio sono ormai dieci anni che scompare dal quartiere un bambino di colore figlio, spesso illegittimo, dei più poveri e derelitti o delle prostitute.

La notizia scioccherà, come è giusto che sia, i due amici che si impegneranno nella ricerca del mostro andando ad infilarsi, non immaginano quanto, tra le gambe del diavolo. Le indagini si dipaneranno sullo sfondo di una America nera che poco si fida del bianco Hap, mescolato a riti sessual-satanici. L’immagine che ne deriva è quella di una società americana spaccata in mille rivoli e che cammina con grande attenzione perché è cosciente del fatto che il terreno sotto i piedi è maledettamente friabile e che basterebbe anche solo una minima pressione perché tutto il castello crollasse al suolo.

Siamo di fronte ad un libro schietto e che sicuramente conquista l’attenzione del lettore. Ricordo che c’erano giorni in cui non vedevo l’ora di correre a casa per potermi buttare nuovamente tra le sue pagine, coccolato dalle parole di Lansdale. Il modo di scrivere di questo autore è fantastico. Ha la straordinaria capacità di affabulare il lettore e incatenarlo alla storia. Non usa trucchi o mezzucci come fanno altri per tenere vivo l’interesse del lettore. A volte è addirittura stringato nel suo modo di esprimere la storia e nonostante ciò, gli indizi di questo romanzo, che può benissimo essere considerato un giallo/horror, non sono nascosti ma ben esposti alla luce del sole. Tutti i lettori hanno quindi a disposizione gli elementi per giungere allo svelamento del mistero.

Ultima annotazione, lo stile di scrittura usato da Lansdale lo obbliga a fare delle descrizioni che siano molto asciutte quasi carenti. Questa caratteristica, che in altri autori o in altri romanzi può far sembrare claudicante il racconto, nel caso di questo scrittore assomiglia ad una sfida. Sembra quasi che l’autore sfidi il lettore a completare quelle parti che ha solo accennato obbligandolo a lavorare di fantasia per riempire quei buchi e pertanto a rendere sempre più personale la lettura.

Libro consigliato.

Il nostro piccolo pazzo condominio

Il nostro piccolo pazzo condominio di Fran Cooper edito da Newton Compton Editori, prima edizione 2018.

Il libro che ci apprestiamo a conoscere può sembrare, a prima vista, un libricino leggero leggero, senza alcun peso specifico, una storiella morbida su cui sdraiarsi prima di andare a fare la nanna. Invece durante la lettura si scoprono angoli duri come pietre, gibbosità inaspettate che premono sulla nostra coscienza, molle che non molleggiano più dure come palle di piombo.

Il protagonista della nostra avventura è Edward che arriva a Parigi in una torrida giornata di giugno. A differenza di quello che si può pensare Edward non è a Parigi per turismo ma sta scappando dai propri incubi che non gli permettono di dormire bene dalla morte della sorella. Si trasferisce, temporaneamente, nell’appartamento vuoto di un’amica al numero 37 di Rive Gauche, una via anonima nella Parigi meno turistica che possiate immaginare.

Niente boulevard e luci romantiche ma un palazzo inquietante e pulsante dei segreti dei suoi inquilini. Tra queste mura c’è chi parla troppo e chi invece tace, chi gode della solitudine e chi anela una compagnia. Nel corso della narrazione conosceremo i vari condomini, come ad esempio, la madre sull’orlo di una crisi di nervi causato dal post partum, che deve riappropriarsi del suo ruolo di donna prima che del suo stesso corpo e soprattutto, dare un po’ di requie al suo cervello sempre intento a giudicarsi.

Edward attraverserà un percorso difficile durante la sua permanenza in questo condominio, un percorso accompagnato sempre da due ali di folla formata dai suoi condomini che lo aiuteranno nutrendosi della sua difficoltà, della sua gioventù e soprattutto del suo dolore. Questo cammino li lascerà tutti ripuliti, rinnovati come se tutte le loro anime e ansie fossero fresche di lavanderia.

Come anticipavo, questo romanzo fa riflettere attraverso questa rete di straordinaria umanità che è tangibile, nonostante ogni condòmino stia ben attento a rimanere perfettamente estraneo agli altri.

Le storie di questo romanzo potranno sembrare slegate tra loro ma, come affluenti minori di un fiume, irrimediabilmente si avvicinano sempre di più fino a fondersi in un unico flusso narrativo che presto ci verrà svelato e che ci permetterà di vedere compiutamente il progetto della sua autrice.

Proprio come nella vita reale, anche i personaggi di questo romanzo sono nascosti dentro se stessi. Come se fossero cipolle, quando togliamo una pelle ecco che se ne svela una nuova, sottostante che brilla nella sua epifania e chiede di essere raccontata.

Chiaro è l’intento dell’autrice di comunicarci il suo punto di vista; la sua ricetta per trovare la soluzione dei problemi di tutte queste persone. L’amore; ma non la passione bruciante di certi romanzi ma quel calore dolce e costante che accarezza i nostri cuori affannati.

La trama risulta indubbiamente avvincente anche perché il personaggio di Edward non è anche che quel giovane che tutti noi siamo stati, e che continua a vivere nel nostro profondo. La nostra anima quindi, più che il nostro cervello, seguirà Edward nel suo peregrinare, nel suo innamorarsi, nel suo conoscere e disconoscere, nel suo affascinarsi e crescere.

Le porte degli appartamenti si apriranno via via al suo tocco, alcune solo di pochi centimetri altre si squaderneranno davanti a lui mettendo a nudo tutto ciò che si trova al loro interno.

Lettura semplice ma profonda; indubbiamente consigliata!

Il bambino con il pigiama a righe

Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne edito da Rizzoli prima edizione 2006.

Cominciamo col dire che si tratta di un’opera di fantasia perchè quello che è raccontato nel romanzo non è assolutamente potuto accadere nella realtà. Non voglio negare l’olocausto degli ebrei e di tutte le altre persone gasate dai nazisti, ma intendo riferirmi al fatto che ci sono un paio di errori nella narrazione. Ad esempio: il campo di prigionia aveva la recinzione elettrificata e quindi era impossibile strisciarci sotto; inoltre l’odore della gente bruciata nei forni si sentiva a chilometri di distanza e quindi nessuno di quelli che abitavano intorno potevano ignorare quello che accadeva nel campo.

A parte questa doverosa precisazione, parliamo della storia. In questo romanzo si parla degli orrori del nazismo visti con gli occhi di un bambino. Il protagonista è Bruno, un bambino che vive insieme ai suoi genitori a Berlino in una bellissima casa. La sua famiglia è composta dal padre che è un gerarca nazista, dalla madre che è una donna succube del marito e dalla sorella Gretel, dodicenne un po’ svampitella e sulla soglia dell’adolescenza.

Il padre di Bruno ottiene una promozione dal Fuhrer (Bruno per tutto il romanzo lo chiama “Il Furio”) che obbliga la famiglia ad abbandonare la vita dorata della casa di Berlino per trasferirsi in quello che si scoprirà essere il campo di concentramento di Auschwitz.

I primi tempi nella nuova casa sono difficili per il bambino che si ritrova senza amici e senza legami; proverà ad avvicinarsi alla sorella ma la loro distanza è siderale. Lui è ancora un bimbetto mentre lei sta iniziando a sentire le prime scariche ormonali dell’adolescenza.

Un triste pomeriggio Bruno sta giocando nella sua stanza quando dalla finestra vede che nel campo, mescolato in mezzo a tutti gli adulti, c’è un bambino circa della sua età; pensa che forse potrebbe giocare con lui. Così si organizza e il giorno dopo inizia a camminare rasente al recinto per cercare di incontrare il bambino. La fortuna è dalla sua e ad un certo punto riesce davvero ad incontrarlo e si stupisce dello strano “pigiama” a righe che indossa.

Tra i due bambini si instaura una forte amicizia ma sempre attraverso la recinzione del campo. I due bambini vorrebbero poter essere dalla stessa parte del recinto qualunque sia. Bruno ci pensa qualche giorno e poi riesce ad entrare nel recinto e…

Il libro è scritto bene, molto scorrevole. La difficoltà dell’autore di scrivere come un bambino è stata brillantemente superata. La storia è abbastanza avvincente e i personaggi sono raccontati quel tanto che basta per farli amare o odiare a seconda.

Straordinario il modo di rappresentare il padre di Bruno, sembra quasi di sentire la sua rigidità e la sua fermezza. Ho trovato abbastanza divertente l’episodio in cui il Fuhrer va a cena a casa di Bruno.

Mi ripeto, se non fosse per quei problemi analizzati nella fase iniziale di questo commento, forse saremmo davanti ad un ottimo libro ed invece purtroppo il mio commento deve essere abbastanza spietato perchè, anche si trattasse di una “favola” sarebbe comunque una favola troppo assurda per essere vera.

Libro consigliato ma da leggere con le pinze.

Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri di Markus Zusak edito da Frassinelli prima edizione 2005.

Questo è un romanzo atipico per varie ragioni; intanto è uno dei pochi libri in cui la seconda guerra mondiale ci viene raccontata dalla parte della Germania e non dalla parte degli ebrei o degli alleati; inoltre l’io-narrante è decisamente atipico (non scendo in particolari per non togliere la sorpresa al lettore).

La piccola Liesel Meminger sta viaggiando insieme alla mamma e al fratellino diretta al piccolo paese vicino Monaco dove vive la famiglia che ha adottati i due bimbi (ma questo loro non lo sanno). Inaspettatamente il fratello di Liesel muore durante il viaggio in treno e viene seppellito durante una sosta del viaggio.

Proprio questa sosta farà di Liesel la ladra di libri annunciata dal titolo infatti, durante l’interramento del cadavere del fratello, il caso aiuta Liesel a trovare un libretto nella neve. Senza pensarci troppo la giovane lo raccoglie e lo nasconde.

La bambina non sa leggere eppure l’attrazione di quel piccolo oggetto (che immagino nero e consunto) è troppo forte e che, per la bambina, diventa un tesoro inestimabile.

Giunta nella famiglia adottiva e dopo aver superato il trauma dell’abbandono da parte della madre, Liesel inizia la sua vita con la nuova famiglia. Il padre è un uomo buono che cerca in tutti i modi di mettere a suo agio la piccola, mentre la madre adottiva è una specie di arpia che la maltratta e la riempie di parolacce ma che si rivelerà, nel corso del romanzo, molto meno cattiva di quanto possa apparire.

E’ una vita dura quella che Liesel affronta fatta di consegne del bucato stirato dalla madre, poche gioie, scuola, amicizie nuove e giochi con in sottofondo il rumore sordo della guerra.

Grazie al padre adottivo Liesel inizia ad imparare a leggere e, il libricino che ha rubato diventa il loro libro di testo.

Questo appuntamento notturno si trasforma nel filo che legherà il rapporto tra la piccola e il padre. Proprio quando sembra che tutto si stia volgendo al meglio (guerra permettendo) ecco che entra in scena un nuovo personaggio; Max è un ebreo in fuga dai nazisti che cerca rifugio nella casa dei genitori di Liesel.

La storia acquisisce quindi una nota di tragica urgenza. Liesel sa che se i nazisti dovessero trovare Max nascosto nella loro casa per loro sarebbe la deportazione immediata in un campo di concentramento se non addirittura la morte, eppure il personaggio di Max la affascina; pian piano tra i due si stringe una bella amicizia. Liesel aiuta Max a sopportare i lunghi giorni di solitudine nella cantina di casa e Max aiuta Liesel con i suoi racconti.

Durante una manifestazione per il compleanno del Fuhrer (in cui la partecipazione è obbligatoria) vengono accatastati i libri che il regime ritiene pericolosi o sovversivi e vengono dati alle fiamme. Quando la festa è finita Liesel si accorge di un piccolo libro che non è stato divorato dalle fiamme e, nonostante il pericolo e la paura, lo nasconde sotto la giacca. Non sarà l’ultima volta che la protagonista si troverà a rubare libri.

La trama è molto complessa perchè entrano in gioco svariati elementi, personaggi, cause ed effetti; nonostante ciò il libro è scorrevole e molto gradevole alla lettura.

I personaggi sono ben delineati e, per la prima volta assistiamo al racconto della guerra dalla parte del popolo tedesco. La fatica di convivere con una guerra devastante, la disillusione di un popolo che non ne capisce le motivazioni, la fame, la difficoltà di sopravvivere sia agli stenti che al regime nazista, il tutto visto dagli occhi di una ragazzina prima e dei suoi amici poi.

Libro molto interessante, la cui trovata geniale sta non tanto nella trama stessa, quanto nella voce narrante. Per la prima volta sentiamo le opinioni e i sentimenti di chi ci spaventa ancestralmente, e sono sensazioni che certo non ci aspetteremmo da lei.

Libro consigliato.

Io e Marley

Io e Marley di John Grogan edito da Sperling & Kupfer. Prima edizione 2006.

Libro che sicuramente amerete se, come me, amate gli animali e i cani in particolare; racconta il rapporto tra l’autore (famoso giornalista americano) e il suo cane Marley appunto. Libro da cui è stato tratto un film molto bello, con Owen Wilson e Jennifer Aniston.

Quando mi accingevo a leggere questa opera l’ho detto ad un amico che mi ha risposto: “ma allora vuoi proprio piangere”. Ebbene, in questo romanzo a volte si piange, ma ci si fanno anche delle grasse risate seguendo le avventure di Grogan e della sua famiglia alle prese con quello splendido Labrador che verrà battezzato col nome altisonante di Marley (non immaginerete mai perchè!).

John e Jennifer sono una coppia di sposini che hanno già avuto esperienze meravigliose con i cani della loro infanzia e che decidono di prendere Marley con lo scopo (nemmeno tanto recondito) di mettere alla prova l’istinto materno di lei.

Forse l’ignoranza riguardo ai Labrador, forse la miopia della motivazione, forse la dabbenaggine causata dall’amore in cui la coppia è immersa, fanno si che siano totalmente impreparati a gestire prima il cucciolo e poi il cane adulto che, proprio come un terremoto, spacca, rompe, mangia, sbava, distrugge, fa volare i tavolini dei ristoranti e soprattutto ha una paura incontrollabile dei temporali.

Seguirete John e Marley nelle loro scorribande per le passeggiate del cane e vedrete nascere tra i due un rapporto di mutua dipendenza in cui a volte è il cane a prevalere e il padrone a soccombere.

Vi sganascerete durante il primo tentativo di educazione di Marley o durante l’unica e sola passeggiata a “dog beach”; lo amerete incondizionatamente quando si troverà a dover dimostrare la sua fedeltà e il suo essere un cane sensibile e protettivo.

Nel divenire degli eventi i due protagonisti umani avranno dei figli ed è straordinario come un cane (potenzialmente distruttivo) sia dolcissimo e assolutamente innocuo con i bambini.

Dalle pagine del romanzo esce l’immagine di un cane che mantiene sempre vivo il suo lato di cucciolo; di come gli piaccia sempre giocare con il suo padrone, di come esploda la sua felicità al rientro dei padroni e di come invece, quando fa una marachella o distrugge qualcosa, sappia riconoscere la propria colpa.

Il tempo passa e i bambini crescono, ma anche il tempo del cane passa e presto (troppo presto) John si accorge che il suo cagnone è un anziano a cui comincia ad imbiancare il pelo sulla testa; nonostante l’anzianità Marley però non cambia mai. Continua ad essere quello splendido compagno di vita per tutta la famiglia Grogan.

I rapporti diventano profondissimi, indistruttibili e proprio quando la dipendenza reciproca si fa più evidente, ecco che inizia la lenta ed inarrestabile decadenza canina.

Iniziano i problemi alle anche; il cane che faceva le scale alla velocità di una pallottola ora arranca lentamente; si incominciano a vedere i risultati di anni di rosicchiamenti ed ingestione di cappucci di penne, soldatini di plastica, pezzi di moquette e di tutto quello che non fosse al di fuori della sua portata.

E’ in questo momento che John e Jennifer capiscono che, l’amore per quel cucciolone è tale da non permettere loro di vederlo soffrire e che al prossimo caso di “torsione” dello stomaco semplicemente lo faranno “addormentare” dignitosamente. (Dignità che in Italia è concessa agli animali ma preclusa agli umani!).

Sono certo che l’unico modo di concludere questo pezzo sia usando le parole con cui lo stesso autore ha chiuso il suo libro: “A un cane non importa se sei ricco o povero, istruito o analfabeta, intelligente o stupido. Dagli il tuo cuore e lui ti darà il suo… Nonostante tutte le delusioni e le aspettative disattese, Marley ci aveva fatto un dono, spontaneo e inestimabile. Ci aveva insegnato l’arte dell’amore incondizionato. Come darlo, come accettarlo. Dove c’è questo amore, gli altri pezzi vanno quasi sempre a posto…”.

P.S: Di quante persone si può dire lo stesso?

Libro molto consigliato.