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Il nostro piccolo pazzo condominio

Il nostro piccolo pazzo condominio di Fran Cooper edito da Newton Compton Editori, prima edizione 2018.

Il libro che ci apprestiamo a conoscere può sembrare, a prima vista, un libricino leggero leggero, senza alcun peso specifico, una storiella morbida su cui sdraiarsi prima di andare a fare la nanna. Invece durante la lettura si scoprono angoli duri come pietre, gibbosità inaspettate che premono sulla nostra coscienza, molle che non molleggiano più dure come palle di piombo.

Il protagonista della nostra avventura è Edward che arriva a Parigi in una torrida giornata di giugno. A differenza di quello che si può pensare Edward non è a Parigi per turismo ma sta scappando dai propri incubi che non gli permettono di dormire bene dalla morte della sorella. Si trasferisce, temporaneamente, nell’appartamento vuoto di un’amica al numero 37 di Rive Gauche, una via anonima nella Parigi meno turistica che possiate immaginare.

Niente boulevard e luci romantiche ma un palazzo inquietante e pulsante dei segreti dei suoi inquilini. Tra queste mura c’è chi parla troppo e chi invece tace, chi gode della solitudine e chi anela una compagnia. Nel corso della narrazione conosceremo i vari condomini, come ad esempio, la madre sull’orlo di una crisi di nervi causato dal post partum, che deve riappropriarsi del suo ruolo di donna prima che del suo stesso corpo e soprattutto, dare un po’ di requie al suo cervello sempre intento a giudicarsi.

Edward attraverserà un percorso difficile durante la sua permanenza in questo condominio, un percorso accompagnato sempre da due ali di folla formata dai suoi condomini che lo aiuteranno nutrendosi della sua difficoltà, della sua gioventù e soprattutto del suo dolore. Questo cammino li lascerà tutti ripuliti, rinnovati come se tutte le loro anime e ansie fossero fresche di lavanderia.

Come anticipavo, questo romanzo fa riflettere attraverso questa rete di straordinaria umanità che è tangibile, nonostante ogni condòmino stia ben attento a rimanere perfettamente estraneo agli altri.

Le storie di questo romanzo potranno sembrare slegate tra loro ma, come affluenti minori di un fiume, irrimediabilmente si avvicinano sempre di più fino a fondersi in un unico flusso narrativo che presto ci verrà svelato e che ci permetterà di vedere compiutamente il progetto della sua autrice.

Proprio come nella vita reale, anche i personaggi di questo romanzo sono nascosti dentro se stessi. Come se fossero cipolle, quando togliamo una pelle ecco che se ne svela una nuova, sottostante che brilla nella sua epifania e chiede di essere raccontata.

Chiaro è l’intento dell’autrice di comunicarci il suo punto di vista; la sua ricetta per trovare la soluzione dei problemi di tutte queste persone. L’amore; ma non la passione bruciante di certi romanzi ma quel calore dolce e costante che accarezza i nostri cuori affannati.

La trama risulta indubbiamente avvincente anche perché il personaggio di Edward non è anche che quel giovane che tutti noi siamo stati, e che continua a vivere nel nostro profondo. La nostra anima quindi, più che il nostro cervello, seguirà Edward nel suo peregrinare, nel suo innamorarsi, nel suo conoscere e disconoscere, nel suo affascinarsi e crescere.

Le porte degli appartamenti si apriranno via via al suo tocco, alcune solo di pochi centimetri altre si squaderneranno davanti a lui mettendo a nudo tutto ciò che si trova al loro interno.

Lettura semplice ma profonda; indubbiamente consigliata!

La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve

La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson edito da Bompiani prima edizione 2009.

Il protagonista di questo libro è Allan un anziano che proprio in occasione del suo centesimo compleanno (e mentre nella casa di riposo dove vive si stanno organizzando i festeggiamenti per il suo compleanno), decide che vuole andare a “farsi un giro” e a comprare una bottiglia di liquore.

Senza nemmeno togliersi le ciabatte scavalca una finestra e si allontana dal nosocomio e da quella burbera della direttrice. Arrivato alla stazione dei pullman, Allan si imbatte in uno strano giovane biondo che si accompagna con una grossa valigia. La vescica del giovane biondo ha bisogno di essere svuotata ma nel piccolo bagno della stazione dei pullman non c’è abbastanza spazio e così il giovane chiede ad Allan di tenergli un momento la valigia sicuro che il vecchietto non farà certo colpi di testa.

Arriva una corriera e siccome Allan non ha alcuna destinazione, decide di salire su quel pullman portandosi dietro la grossa valigia. Quello che Allan non sa è che lo strano giovane biondo è in realtà un criminale affiliato ad una gang dedita al traffico di droga.

Capelli bianchi, schiena incurvata, artrosi, un inizio di demenza senile e un paio di ciabatte, Allan si avvia verso un’avventura ai limiti del surreale in cui si trasformerà in criminale prima, in fuggiasco poi, in allevatore di elefanti e si circonderà di buoni amici conosciuti per caso.

Allan, prima solo, incontrerà Julius Jonnson un settantenne solo e male in arnese con cui scoprirà il misterioso contenuto della valigia e con cui affronterà il giovane biondo quando questi busserà alla porta della casetta dove i due si nascondono e…

Il duo si trasforma ben presto in una eterogenea combriccola di personaggi che, volenti o nolenti, si troveranno a dover affrontare situazioni inverosimili che supereranno con una buona dose di fantasia e di “fattore C”.

Il tutto accompagnato dai racconti della gioventù di Allan grazie ai quali scopriamo che il nostro centenario ha avuto una vita avventurosa e piena di attività di successo e incontri importanti.

Devo ammettere che, mentre la parte “romanzesca” del libro è scorrevole e fondamentalmente ben costruita, i flash back sulla vita di Allan li ho trovati spesso pesanti (per non dire noiosi).

Sembra quasi che i due filoni siano stati scritti da mani diverse perchè, mentre il romanzo suscita a volta anche un po’ di ilarità, la parte storica è fumosa e sostanzialmente noiosa.

Il romanzo nella sua interezza si lascia comunque leggere senza particolari guizzi di fantasia o divertimento.

E’ un romanzo molto nordico; forse parte della mia difficoltà con questo libro nasce dal fatto che la letteratura nordica non mi è molto congeniale a partire dalla difficoltà nel leggere i nomi.

Probabilmente il mio giudizio abbastanza negativo deriva anche da questa mia idiosincrasia nei confronti dei romanzi del nord Europa. In fondo ho avuto la stessa reazione anche con altri autori delle stesse latitudini.

Credo che se il testo fosse stato sviluppato seguendo solo le peripezie di Allan e i suoi amici probabilmente avremmo tra le mani un piccolo romanzo divertente ed invece siamo di fronte ad un libro che, pur nel suo potenziale, lascia completamente indifferenti al termine della lettura.

Libro non consigliato.

Spingendo la notte più in là

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi – edito da Mondadori, prima edizione 2007.

Il sottotitolo recita “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”.

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato; con il suo omicidio inizia uno dei periodi più bui della nostra repubblica, i cosiddetti “anni di piombo”. Quei due colpi di pistola non cambiarono soltanto il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti.

Questo libro però non racconta soltanto la storia dell’omicidio Calabresi ma anche quella di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre, oltre che di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo.

Il figlio di Calabresi, Mario, racconta le storie di quelli che sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, fuori dalle statistiche fredde e sterili, fuori dalle manifestazioni di cordoglio; ci porta a conoscenza dell’esistenza di altre vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto.

Tra queste vittime innocenti, troviamo chi non ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare, chi non ha sopportato la disattenzione pubblica e anche chi, non ha mai smesso di lottare perchè venisse dato il giusto risalto alla memoria.

La storia della famiglia Calabresi si intreccia con quella di tante altre persone che sono state costrette, all’improvviso, ad affrontare da soli una catastrofe privata che però appartiene a tutti gli italiani.

Durante la lettura di questo libro mi sono trovato spesso d’accordo con lo scrittore ma c’è un punto in cui davvero ho sentito il suo dolore come se fosse il mio.

Parlando delle responsabilità dei mezzi di informazione Calabresi scrive “… ma la cosa più fastidiosa e pericolosa sono le interviste standard: dei terroristi che parlano non vengono quasi mai ricordati i delitti e le responsabilità, e questo non è accettabile soprattutto se sono interpellati per discutere proprio sugli Anni di piombo. Sergio Segio, per fare un esempio, viene presentato come un esponente del Gruppo Abele, quasi mai come il killer di Galli e Alessandrini; di Anna Laura Braghetti, la brigatista che uccise con sette colpi Vittorio Bachelet alla Sapienza di Roma e partecipò al sequestro di Aldo Moro, si dice che <<coordina un servizio sociale rivolto ai detenuti>>.

La seconda cosa preoccupante è che si lascia passare un’idea romantica del terrorismo, specie nel paragone con il brigatismo degli ultimi anni, sostenendo che la lotta armata degli anni Settanta aveva dietro di sé delle idee, un progetto rivoluzionario”.

In queste parole ho ritrovato un sentimento che provavo fin da piccolo quando, leggendo sul giornale le bravate dei brigatisti, sentivo il mio animo agitarsi per la strana sensazione che i cattivi fossero sempre e tutti dalla parte dello Stato, mentre i buoni invece fossero sempre tra i terroristi.

Lungi da me voler esprimere un giudizio riguardo ad un argomento che conosco solo in maniera marginale, certo è che delle pagine del libro di Calabresi ho condiviso il dolore e quella compassione nei confronti dei parenti delle vittime che troppo spesso dimentichiamo quando accadono tragedie come queste.

Dimentichiamo troppo facilmente che dietro alla vittima di un terrorista, dietro al poliziotto che spara un colpo d’arma da fuoco, dietro al morto ammazzato sulla strada, dietro agli agenti delle scorte trucidati ci sono delle persone; delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori che devono sopportare il dolore per tutta la loro vita. Per queste vittime il “fine pena” è davvero mai.

Libro molto consigliato.