Messaggio più recente

Il libro segreto di Dante

Il libro segreto di Dante di Francesco Fioretti edito da Newton Compton Editori – prima edizione 2011.

Sono veramente a disagio nel tentativo di recensire questo libro perchè onestamente non l’ho capito, non mi piace lo stile usato dall’autore, ma soprattutto non ho compreso quale fosse il significato che l’autore voleva trasmettere al lettore. Ma andiamo con ordine.

Dante è appena morto di malaria (ma forse è stato ucciso da un veleno) ed ecco che in scena irrompono tre personaggi: suor Beatrice (figlia del poeta), Bernard (un ex templare) e Giovanni (un medico) i quali iniziano una indagine che si sviluppa su tre fronti per fare chiarezza su quanto è accaduto.

Cercano di decifrare, faticosamente, un messaggio in codice lasciato da Dante su nove fogli di pergamena e intanto si mettono sulle tracce dei suoi presunti assassini, scoprendo che molti nutrivano una profonda avversione per il poeta.

Tra grandi difficoltà cercheranno di trovare la chiave del segreto occultato nella “Commedia” e di scoprire chi voleva impedire al poeta di terminare la sua opera.

Ma perchè Dante aveva deciso di nascondere con così grande impegno gli ultimi tredici canti del Paradiso?

I tre dovranno destreggiarsi tra teoremi, intrighi complessi e verità da svelare, mentre sullo sfondo vedremo la crisi politica, sociale, economica e religiosa del Trecento.

Questo è quanto posso dirvi della sinossi del romanzo; per quanto invece attiene alle mie personali sensazioni devo ammettere che l’inizio del romanzo è spiazzante in quanto prende le mosse, da una situazione che vive Bernard a San Giovanni d’Acri mentre era soldato templare. Terminato questo capitolo vengono raccontati episodi legati agli altri due personaggi ma senza legami apparenti.

Fortunatamente poi i personaggi iniziano ad incontrarsi e ad avere situazioni comuni. Vero è che per tutta la durata del romanzo mi sono chiesto quale fosse la motivazione per cui l’autore ci stesse raccontando questa storia… e ancora me lo chiedo.

Il racconto in sé è anche abbastanza attraente ma senza alcun vero slancio di genialità e senza alcun vero sussulto. Quasi mai, nel corso della lettura, mi sono ritrovato a parteggiare per uno qualsiasi dei personaggi principali, o ad odiare uno dei cattivi. Insomma i buoni sono scialbi come minestrine e i cattivi sono inconcludenti.

L’unico motivo per cui poteva essere interessante la lettura di questo romanzo era la descrizione della situazione socio-politica dell’epoca, ma anche questo filone è stato soltanto accennatto dall’autore lasciando, nella mente del lettore, più dubbi che certezze.

Forse non ho capito io il libro, o forse lo stile usato dall’autore non è consono alle mie corde; fatto sta che ho fatto parecchia fatica a leggere poco più di 250 pagine e che al termine non ho tratto alcun piacere dalla lettura, oltre ad avere la sensazione di aver perduto del tempo.

Se qualcuno ha letto questo libro e dovesse avere avuto sensazioni differenti dalle mie, lo prego di farmelo sapere. Sono aperto al dialogo anche perchè, forse, mi sono perso qualcosa di importante.

Libro NON consigliato.

 

Saggio sulla lucidità

Saggio sulla lucidità di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2004.

Saramago è un genio, e questa è cosa arcinota; Non ci voleva certo il mio imprimatur a questa assoluta verità eppure in questo libro ho trovato un Saramago diverso dal solito. Un Saramago più arrabbiato e allo stesso tempo meno combattivo, un Saramago più amareggiato e allo stesso tempo più supino alle avversità della vita.

In una nazione che non viene mai nominata, c’è una capitale senza nome. In questa città sono indette delle elezioni amministrative e a sorpresa , non solo la gente si reca alla urne in massa, ma in stragrande maggioranza decide di votare scheda bianca. Il governo in carica decide di indire nuove elezione ad una settimana dalla prima tornata elettorare, credendo che il particolare risultato sia dovuto ad una forma di protesta. Il risultato della seconda votazione è ancora più eclatante. Ben l’83% dei voti è scheda bianca.

Il governo è in pieno marasma perchè non riesce a capire se si tratta di un gesto rivoluzionario, una congiura anarchica o una provocazione di gruppi estremisti. Ma l’empasse dei governanti lascia presto il campo ad una serie di decisioni improvvise e forse un po’ avventate che, nelle menti che le hanno partorite, dovrebbero servire al doppio scopo di scoprire il motivo di questa epidemia “bianca” e di far venire allo scoperto gli organizzatori di tale manifestazione.

Non racconterò oltre perchè credo che sarà molto interessante per chi vorrà leggere questo libro scoprire quali azioni mettono in campo sia i partiti di maggioranza sia quelli di minoranza che sperano di trarre vantaggio da questa situazione.

Nel corso del libro è presente un riferimento molto forte ad un altro libro di Saramago (Cecità ndr) ma il “Saggio sulla lucidità” può essere letto anche senza aver prima letto l’altro.

Sul palcoscenico organizzato dall’autore si muovono vari personaggi, un commissario, un ispettore e un agente di seconda classe da una parte, una donna che non è diventata cieca, un uomo con un occhio bendato e una ex prostituta dall’altra. La cosa particolare di tutti i personaggi di questo scritto è che nessuno ha un nome. Tutti sono riconosciuti attraverso un particolare della loro vita presente o passata.

E’ straordinario come nonostante i personaggi non abbiano nome siano perfettamente disegnati dalla fantastica penna di Saramago al punto di riuscire a “vederli” mentre si muovono nella città.

Il finale è abbastanza prevedibile eppure giunge violento e improvviso come una martellata su un dito.

All’inizio ho affermato che questo Saramago è differente dai precedenti e la differenza sta nel fatto che, mentre nei libri già letti si trovava un autore spietato con le crudeltà della vita ma sempre disponibile alla speranza, in questo non vi è traccia della speranza.

E’ altresì interessante notare come la situazione politica raccontata nel libro sia straordinariamente simile a quella che si sta vivendo, non soltanto in Italia, ma in buona parte dei paesi democratici.

Nel libro è presente infatti uno scollamento nei confronti di quelle istituzioni democratiche che hanno guidato le scelte per decine di anni, che è molto simile a quello che si “respira” nelle strade contemporanee, nei nostri giornali e nei discorsi che si fanno tra amici.

Forse è proprio questo il grande merito di Saramago, essere riuscito a immaginare una situazione in divenire così simile a quella che stiamo vivendo.

Il libro è un avvincente “giallo politico”, un apologo sui lati oscuri del potere e una spietata analisi del mondo contemporaneo; ma anche una disperata storia della vita.

Libro molto consigliato.

 

Canale Mussolini

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi edito da Mondadori – prima edizione 2010. Vincitore del Premio Strega 2010.

E’ un’impresa veramente difficile quella che mi accingo ad affrontare oggi recensendo il bellissimo libro di Pennacchi perchè in questo romanzo storico c’è davvero tanto ma in realtà la sinossi sarà brevissima.

Il libro di Pennacchi racconta la storia della famiglia Peruzzi che è obbligata a lasciare la sua terra (il caro veneto tanto amato), per trasferirsi nell’Agro Pontino durante la bonifica. Il motivo di questa migrazione viene spiegata nel corso del libro ed è legata al fatto che i Peruzzi sono mezzadri per i conti Zorzi-Villa, ma di più non voglio anticipare.

La storia ci viene raccontata da una voce narrante attraverso un dialogo tra l’intervistatore (Pennacchi appunto) e questo personaggio la cui identità si scoprirà soltanto alla fine del libro.

Questo moderno cantastorie che è Pennacchi, ci permette di entrare nella vita della famiglia Peruzzi qualche tempo prima della grande migrazione che spostò (per ordine del fascio) migliaia di persone dall’Altitalia (come viene definita nel libro) fino alle zone appena bonificate ed edificate dell’Agro Pontino. Siamo con loro sul treno che li trasporta nelle zone nuove, assistiamo ai pianti disperati dei nuovi coloni, agli sforzi immani per tentare di iniziare a coltivare una terra mai coltivata, alle piccole felicità di tutti i giorni e alle grandi tragedie che falcidiano la nascente comunità.

Ma in questo libro non c’è soltanto la storia della famiglia Peruzzi; infatti la loro storia viene contestualizzata nel periodo storico corrispondente. Ci viene raccontata l’opera di bonifica e della costruzione del Canale Mussolini, l’ascesa e la caduta del fascismo, la lotta tra il fascio e i comunisti, la nascita di una serie di città edificate dal Duce nella zona bonificata e molto, moltissimo altro.

Come in tutte le storie che si rispettino però c’è anche molto altro: la vita e la morte, la gioia e il dolore, la lotta e il sesso; ma soprattutto c’è la “Guerra” perchè i Peruzzi (fascisti convinti dalla prima ora) non permetteranno mai che, allo scoppiare di una guerra, tra i combattenti non ci sia almeno uno di loro. E così vediamo i maschi di casa Peruzzi partire per affrontare la guerra per convinzione o per convenienza; qualcuno tornerà ed altri invece non faranno mai ritorno.

Ora dovrei parlare degli attori che si muovono sul palcoscenico di questa storia, ma è un compito troppo arduo perchè ci sono una infinità di personaggi che meriterebbero di essere raccontati; dalla vecchia nonna dei Peruzzi al Rossoni, dalla zia Armida con le sue api al Duce.

Tutti i personaggi sono sicuramente disegnati con grande maestria, sembra quasi di conoscerli da sempre e già dopo poche pagine se ne condividono speranze e sofferenze.

Insomma, come ho cercato di far capire in questi pensieri arraffazzonati, il libro di Pennacchi mi è piaciuto moltissimo; è un’opera che mi ha aperto la mente a una realtà che mi era completamente sconosciuta come la bonifica dell’Agro Pontino e che mi ha anche aiutato a comprendere meglio la storia recente del nostro paese vista con un occhio sereno e disincantato ma soprattutto non falsato da qualsivoglia ideologia politica.

Ovviamente il libro è molto consigliato.

Il rifugio dei cuori solitari

Il rifugio dei cuori solitari di Lucy Dillon edito da Garzanti – prima edizione 2011.

“Agli inizi di febbraio, Rachel Fielding vantava una carriera di un certo prestigio come PR per società operanti su Internet, un compagno che le comprava regolarmente dei fiori e si vestiva meglio di lei, una donna delle pulizie ed un’età cutanea di tre anni inferiore a quella anagrafica, ossia trentanove. Meno di due settimane dopo, tuttavia, con un’unica semplice mossa era riuscita a perdere l’amore della sua vita, l’appartamento di Chiswick e il lavoro.”.

Così inizia il libro della Dillon di cui vorrei parlarvi oggi. Rachel è una quasi quarantenne che si ritrova a dover fare un bilancio della sua vita e scopre di non aver ottenuto poi molto dalla propria esistenza.

Alla depressione dovuta alla fine del suo rapporto d’amore e a quello lavorativo si aggiunge la morte della zia Dot che la nomina, a sorpresa, esecutrice testamentaria.

Rachel si ritrova proprietaria della tenuta della zia composta dalla casa, il canile e il rifugio per cani abbandonati o randagi, ma prima di poter disporre di tutto ciò dovrà fare un accurato elenco di tutti i beni, chiedere l’omologazione del testamento e pagare una tassa di successione sicuramente molto elevata.

Inoltre compreso nell’eredità c’è Gem, un boarder collie con due occhi brillanti che sanno cosa stai pensando solo guardanti in faccia, e un mucchio di peli addosso, e che ha assistito alla morte della zia. Gem è il tipico esempio della stranezza di zia Dot. Solo lei puoi lasciare in eredità il suo cane ad una nipote che non ama i cani.

Rachel si trasferisce suo malgrado nella tenuta di Four Oaks per poter amministrare meglio la tenuta e così facendo entra in contatto con la realtà e la vita della zia; una vita basa fondamentalmente sui cani, ma anche sui tanti volontari che fanno funzionare il canile e sulle persone che sono interessate ad adottare un cagnolino oltre che agli abitanti del villaggio di Longhampton.

Passati i primi giorni di disagio e sempre con la certezza di non amare i cani, Rachel inizia a conoscere le persone che più assiduamente frequentano il centro ed ecco che noi veniamo a conoscenza dei problemi di Natalie e di Zoe.

Natalie è una giovane donna manager che cerca spasmodicamente di rimanere incinta senza riuscirci assillando la propria vita e quella del marito Johnny con grafici di temperatura basale e calcoli di periodi di fertilità. Zoe invece è una parrucchiera fresca di divorzio, madre di due figli, a cui l’ex marito sta facendo passare un periodo post-divorzio veramente infernale.

Un altro personaggio importante nella narrazione della Dillon è George; il rude veterinario che spesso compare a Four Oaks e che, fin dal primo istante, instaura con Rachel un rapporto astioso e nervoso.

La nostra protagonista capisce abbastanza presto di essere sotto esame nella nuova comunità e si impegna nel tentativo di far funzionare le cose nel canile in modo da poter chiedere rapidamente l’omologazione del testamento e di conseguenza poter tornare alla sua vita precedente.

Le storie di tutti questi personaggi, principali e secondari si snodano in un arco di tempo abbastanza breve e con anche qualche colpo di scena (abbastanza prevedibile comunque). Le persone si frequentano, le vite si ingarbugliano; alcune persone si avvicinano e faranno probabilmente un pezzo di strada assieme, e altre invece si allontanano definitivamente mentre Rachel è sempre più impegnata nel tentativo di dare una seconda occasione ai piccoli ospiti del canile

Il desiderio di ben figurare di fronte a tutti i suoi nuovi collaboratori e alla nuova comunità, il proprio orgoglio personale e le sue capacità manageriali conquisteranno le persone che già aiutavano la zia Dot, e sposteranno l’attenzione di Rachel dal fatto che, grazie a questo lascito, anche a lei la vita sta concedendo una seconda opportunità; quando se ne renderà conto sarà talmente impastoiata che sceglierà di… (bhe magari questo non ve lo dico).

Fin qui la sinossi del libro; ora viene la parte difficile. Il libro è quasi banale nella sua normalità, a volte genera qualche sbadiglio e, come già anticipato, anche i presunti colpi di scena sono abbastanza fiacchi. I personaggi non sono abbastanza definiti, soprattutto mancano le motivazioni psicologiche che spingono gli attori a determinati comportamenti. Forse solo il personaggio di Zoe è effettivamente ritratto a tutto tondo.

Per tutte le cose che ho appena esposto direi che questo è un libro “quasi sufficiente” come si diceva ai tempi della scuola. Ma sicuramente c’è qualcosa di assolutamente vero in questo libro e che mi sento di dover ribadire con forza. C’è un messaggio chiaro in questo libro che faccio mio ed è il seguente “i cani non sono giocattoli! E, soprattutto quando sono cuccioli, non vanno regalati a cuor leggero. I cani (ma stesso discorso vale per gatti, pappagalli e tutti gli animali domestici) sono esseri viventi che hanno tanto amore da darci ma che richiedono un impegno non indifferente. Se non siete pronti ad assumervi questo compito, allora regalate e regalatevi un peluche”.

Alèxandros – la trilogia

Alèxandros – La trilogia di Valerio Massimo Manfredi edito da Oscar Mondadori – prima edizione 1998

Da dove cominciare a raccontare un libro di quasi 1000 pagine? Questa è la domanda che per tutto il tempo della lettura ha occupato la mia mente. Come potrò essere in grado di trasmettere le emozioni, le sensazioni, i profumi, gli odori, i dolori, le amicizie, le congiure e quant’altro è presente in questo libro? Non ne ho la più pallida idea quindi chiedo anticipatamente scusa, a chiunque abbia letto il libro, o che conosca la storia del grande condottiero, e che trovi la mia recensione banale, povera e in fondo scontata.

Il libro è l’unione di tre libri pubblicati da Manfredi i cui titoli sono: Alèxandros – 1.Il figlio del sogno; Alèxandros – 2. Le sabbie di Amon; Alèxandros – 3 Il confine del mondo.

Comincio col dire che questo libro è stra-or-di-na.rio! Difficile indubbiamente, complesso, lungo, intricato ma sicuramente un libro affascinante ed attraente.

Si tratta ovviamente della biografia di Alessandro il Macedone (alias Alessandro il Grande, Alessandro il conquistatore e Alessandro Magno) dal suo concepimento fino alla morte.

Ho trovato molto interessante soprattutto lo sviluppo che Manfredi illustra della personalità dei vari “attori” che si affacciano sul palcoscenico di questa vita straordinaria. Tutti i personaggi principali, ma anche molti secondari, vengono rappresentati con grande cura, permettendo al lettore di entrare in sintonia con le diverse anime di queste persone. Impossibile, per esempio, non amare gli amici del grande condottiero; amici che entrano nella sua vita con i giochi dell’infanzia e che ne escono soltanto con la morte.

Gran parte del libro viene assorbita dal racconto delle campagne militari che portarono Alessandro e il suo esercito, in soli dodici anni, a conquistare l’intero Impero Persiano, dall’Asia Minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Può sembrare un racconto spaventoso questo stillicidio di battaglie, assalti e carneficine, invece lo stile sobrio e moderno scelto dall’autore, rendono interessanti queste pagine e spiegano molto realisticamente quelle che sono le tattiche di guerra usate nei vari combattimenti e, al contempo anche la vita dei soldati e del loro Re.

Trovo sia stato molto furbo, da parte dell’autore, usare una caratteristica fisica di Alessandro per identificarne le due anime che lo componevano. Infatti è provato da scritti contemporanei al condottiero, che Alessandro Magno avesse gli occhi di colore diverso (gli storici si dividono: alcuni dicono uno blu e l’altro marrone, mentre un’altra scuola di pensiero ritiene che fossero uno azzurro e uno nero). Con questo “escamotage” Manfredi riesce ad illustrare la dualità della personalità del re; un attimo è un leone ruggente che si lancia sulla preda per sottometterla, e l’istante successivo è un tenero cucciolo che gioca e scherza con i suoi amici e commilitoni.

Il ritratto che risulta dalla lettura di questo magnifico scritto è sicuramente quello di un uomo geniale, forte, irruente e coriaceo ma al contempo dolce, attento, riflessivo e sentimentale. Un uomo forte nelle avversità della battaglia ma tenero di fronte ai dolori della vita al punto da non vergognarsi di farsi vedere in lacrime dai suoi uomini in svariate occasioni.

Il dualismo del suo animo si ritrova spesso nelle decisioni fulminee che è costretto a prendere in battaglia. A volte il suo animo nobile gli fa percorrere la strada della sottomissione volontaria delle città che desidera conquistare, altre volte invece non ha il minimo dubbio sulla necessità di attaccare la città da conquistare. Queste scelte possono apparire semplici colpi di testa le prime volte ma, continuando nella lettura, ci si rende conto che invece ogni decisione è supportata da ragionamenti ponderati e soprattutto da motivazioni inappuntabili.

Un discorso a parte meritano le donne che in questo libro sono presenti sempre e soltanto come madri di qualcuno, mogli di qualcun altro o amanti. Purtroppo la funzione della donna nell’epoca in cui visse il grande Imperatore non permetteva loro di aspirare a molto di più anche se l’autore tenta di dare spessore e ruolo alle donne che entreranno nella narrazione.

Tra tutti i rapporti interpersonali che si intrecciano nel racconto, tre sono quelli che maggiormente hanno stimolato la mia curiosità: quello di Alessandro con il proprio cane “Peritas” (un molosso che durante una battaglia arriverà a salvare la vita ad Alessandro Magno); quello con il proprio cavallo “Bucefalo” (uno splendido stallone che nessuno riusciva a domare e che il giovane imperatore domerà con alcune parole sussurrate all’orecchio) e quello con il suo più grande amico “Efestione”.

Discorso a parte merita il rapporto tra Alessandro Magno ed Efestione; nel testo non se ne fa menzione ma le fonti storiche raccontano di un rapporto particolarmente forte tra questi due personaggi al punto da ventilare un rapporto d’amore tra loro. Ricordiamo come per la cultura greca dell’epoca fosse perfettamente accettabile e comprensibile l’amore omosessuale. Forse l’unico momento in cui Manfredi dimostra di conoscere questo particolare della vita di Alessandro Magno è quando racconta della disperazione che coglie il Re alla morte del Generale.

Potrei andare avanti a raccontare le meraviglie di questo libro ancora per lungo tempo ma non riuscirei mai a dimostrare quanto questo scritto mi abbia illuminato, emozionato, incuriosito ma soprattutto insegnato. Impossibile per le mie limitate capacità esprime meglio di come ho già fatto tutta la mia meraviglia per il mondo in cui Valerio Massimo Manfredi è riuscito a raccontare così splendidamente questa vita, al punto da far amare anche a me la Storia.

Libro ovviamente con-si-glia-tis-si-mo!

Qualcuno con cui correre

Qualcuno con cui correre di David Grossman edito da Oscar Mondadori – prima edizione 2001.

In questo libro si corre, si corre molto sia in senso fisico che in quello metaforico; infatti Assaf,il protagonista di questo romanzo (sempre che sia lui il vero protagonista), corre dietro al cane Dinka per tutta Gerusalemme; e noi lettori arranchiamo dietro a lui e a tutti gli altri personaggi di questa storia un po’ sconclusionata, un po’ affannata, un po’ magica e un po’ surreale.

Ma perché Assaf corre? Perché deve riconsegnare il cane al legittimo proprietario. Ma andiamo con ordine.

Assaf lavora presso il municipio e il suo superiore gli assegna il compito di trovare il proprietario di Dinka per potergli restituire il cane, riscuotere la multa per la cattura del cane da parte dell’accalappiacani, e fargli firmare il modello che attesta la restituzione del cane.

Dinka è chiusa in gabbia, non ha mai smesso di abbaiare per tutta la notte e non sembra intenzionata a farsi avvicinare da nessuno ma, appena Assaf, apre la gabbia diventa docile come un agnellino; per ritornare però una furia non appena Assaf inizia a correre. E loro corrono per tutta Gerusalemme in modo che il cane possa ritrovare il padrone usando l’olfatto.

Chiaramente le cose non saranno così facili e i due si troveranno in luoghi impensati e di fronte a personaggi inquietanti.

Dopo essere stati in svariati luoghi della città, aver visto tante persone e tanti personaggi (non uno che sia normale di questi ultimi, a cominciare dalla suora che se ne sta rinchiusa di sua propria volontà da cinquant’anni nel convento); dopo aver vissuto avventure che basterebbero a riempire una vita, dopo essere stati arrestati dalla polizia e malmenati da dei ragazzini più grandi di Assaf; dopo essere stati rapinati ed entrati in contatto con le peggio cose della città tra cui la droga… finalmente Assaf incontra Tamar.

Tamar è la proprietaria del cane Dinka, oltre che l’altro personaggio principale della storia. E’ una ragazza solitaria e ribelle, fuggita da casa per salvare il fratello tossicodipendente.

Tamar si è imbarcata in una situazione poco piacevole e infatti la troviamo a cantare nelle strade e nelle piazze di Gerusalemme, nelle grinfie di un sedicente impresario sui generis che gestisce una specie di comune dove trovano riparo molti “artisti di strada” che essendo scappati di casa non hanno un posto dove stare.

Il fascino di Tamar catturerà Assaf, così come la timidezza di Assaf conquisterà Tamar e i due decideranno di andare fino in fondo e di “correre” insieme.

Tutti mi parlavano un gran bene di Grossman e le recensioni che trovare in rete erano tutte entusiastiche quindi, anche per pura curiosità, ho deciso di leggere qualcosa di suo, tanto per poter avere elementi di giudizio.

Non saprei se dare un voto positivo o negativo. Forse il romanzo che ho scelto non è tra i più riusciti, forse la storia un po’ banale non mi ha particolarmente conquistato; forse il modo di scrivere dell’autore non è consono a me, fatto sta che ho fatto una gran fatica a portare a termine la letture di questo romanzo che doppia di poco le 350 pagine.

I personaggi sono ben delineati ma non sono “reali”; si ha sempre la sensazione di vederli come se si trattasse di un sogno. I due ragazzi sono adolescenti eppure in tutto il testo non vi è un solo piccolo dubbio di quelli che caratterizzano quell’età meravigliosa e al contempo infame. Forse gli adolescenti di oggi sono diventati molto più sicuri di sé, ma questi due sembrano davvero degli adulti per i ragionamenti che fanno e per le decisioni che prendono.

Un libro che non mi ha particolarmente impressionato, non mi ha divertito e non mi ha dato quasi nessuna emozione. Non consigliato.

La rizzagliata

La rizzagliata di Andrea Camilleri edito da Sellerio – prima edizione 2009.

Ormai i libri di Camilleri sono tanti quante sono le stelle in cielo; devo però dire che questo in particolare non mi ha entusiasmato come era accaduto con altri.

Cominciamo col dichiarare subito che in questo romanzo non c’è Montalbano. O meglio, c’è, ma solo di sfuggita; in una battuta che il protagonista dice alla sua segretaria.

Continuiamo aggiungendo che questo libro ha una caratteristica particolare rispetto ai predecessori, infatti Camilleri ha scritto questo libro per il mercato spagnolo e solo successivamente è pervenuto sui patri lidi. Il titolo in spagnolo è “La muerte de Amalia Sacerdote”; premiato su suolo iberico dove ha vinto il prestigioso “Premio Internacional RBA de Novela Negra” nel 2008.

Dopo questo note intorno al libro, finalmente lo apriamo e ci addentriamo, come giovani esploratori, tra le sue pagine.

Il protagonista si chiama Michele Caruso ed è il direttore del telegiornale regionale di Raitre; E’ un uomo normale la cui vita privata ha da poco subito un duro colpo grazie alla propria moglie che lo ha “cacciato” di casa semplicemente dicendogli di essersi innamorata di un altro.

Il lavoro è tutto quello che rimane a Michele che svolge le sue funzioni in maniera irreprensibile anche se il fatto di dover scegliere cosa mandare in onda, genera inevitabilmente degli attriti con i colleghi.

Nella città viene trovata assassinata con il cranio sfondato (probabilmente da un pesante posacenere) la giovane Amalia Sacerdote figlia del segretario generale dell’Assemblea Regionale Siciliana; la magistratura invia un avviso di garanzia al fidanzato della giovane, Manlio Caputo, che è figlio del leader del partito della sinistra siciliana (che invece si trova all’opposizione). Quel cadavere crea non pochi problemi per le rivalità politiche dei genitori dei due giovani e per le evidenti connessioni con i poteri economico, giudiziario, giornalistico e politico dell’isola.

Michele decide di non passare nell’edizione principale, la notizia dell’avviso di garanzia in attesa di avere tutti i riscontri del caso facendo così “bucare” la notizia alla propria testata.

Il romanzo si snocciola nelle trame dell’inchiesta e tra le scrivanie (vere e virtuali) della redazione del giornale che ne segue lo sviluppo.

Grazie a questo romanzo Camilleri ci porta nei due templi sacri del nostro mondo moderno; quello della magistratura e quello invece del giornalismo.

Vedremo come nell’ambito di magistratura esistano le stesse ripicche ed asservimenti ad potere che ben conosciamo in altre realtà del vissuto quotidiano; Come tra i giornalisti e le testate ci sia una lotta feroce a chi per primo arriva su una notizia e quali siano le lotte intestine e i peggiori mezzi che si mettono in campo per poter avere la dichiarazione più importante.

Oltre ad illustrare la straordinaria rete di collegamenti che porterà Michele Caruso a salvarsi da tutti i pericoli che questa notizia/inchiesta poteva riservare, si illustrano al contempo le straordinarie (?) connessioni che si attivano quando la politica vuole salvare se stessa e di quanto il mondo di certo giornalismo e di certa politica siano asserviti al “potere”.

Sicuramente un buon libro ma non all’altezza di altre cose scritte da Camilleri con o senza la presenza ingombrantissima di Montalbano.

La confessione di Leonardo

La confessione di Leonardo di Vittoria Haziel edito da Sperling & Kupfer – prima edizione 2010.

In questo libro si intrecciano due misteri: quello della sindone conservata nel duomo di Torino e quello che avvolge la figura di Leonardo da Vinci.

Il telo che avrebbe coperto il corpo di Gesù deposto dalla croce è da tempo al centro di un giallo intessuto di motivi artistici, storici e religiosi: sacra reliquia o mirabile falso d’autore?

E’ possibile che il genio toscano sia l’autore del più grande falso della storia?

Dopo oltre vent’anni di ricerche, Victoria Haziel non ha dubbi: l’impronta sul sudario è il capolavoro del Maestro; un’opera realizzata in completa segretezza, sfidando il pericolo di essere imprigionato come blasfemo o addirittura condannato al rogo.

Un’intuizione elaborata nel primo libro “La passione secondo Leonardo” e qui sviluppata attraverso una meticolosa e acuta indagine, che svela e interpreta le tracce e i messaggi in codice disseminati dall’artista sull’immagine sindonica e nei suoi scritti. Fra questi, una frase che suona come una vera e propria confessione.

Ma perché Leonardo si sarebbe dedicato ad una impresa così difficile e rischiosa? La risposta apre scenari inediti sulla vita del genio di Vinci, con rivelazioni sorprendenti circa le sue origini e i suoi rapporti con l’Oriente, e sul silenzioso patto tra il cattolicissimo papa Innocenzo VIII e il sultano ottomano Bayezid II.

E’ un libro difficile che propone una “verità” diversa da quella che siamo soliti credere. Una verità forse un po’ indigesta soprattutto per chi ha sempre visto nel lino di Torino la rappresentazione di quella deità a cui siamo aggrappati da tanto tempo.

E’ indubbio però che ci sono degli elementi nell’indagine della Haziel che confermano questa teoria forse un po’ bislacca di Leonardo autore della Sindone.

Non voglio asserire che la verità sia quella descritta dall’autrice ma è sicuro che il mio animo scientifico trova molte conferme nelle prove raccolte nel corso delle indagini, mentre il mio credo religioso si rifiuta di credere di essere stato “fregato” così facilmente.

Insomma è un libro che, secondo il mio modestissimo parare, va letto con un senso critico molto sviluppato in quanto presenta un nuovo punto di vista molto scomodo e che forse potrebbe infastidire i lettori più credenti; sicuramente però è uno scritto che prova ad esplorare e a dare risposte ad una serie di dubbi che si sono sviluppate a partite proprio dalle analisi effettuate sulla Sindone con il carbonio 14 e fortemente volute dal Vaticano.

In fondo credere che la Sindone sia il lenzuolo che ha accolto il corpo di Cristo morto, oppure una mirabile truffa creata dal genio di Leonardo è una libera scelta che ognuno di noi fa più o meno coscientemente.

Tutti i nomi

Tutti i nomi di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 1997

Può sembrare un po’ pretenzioso da parte di Saramago intitolare il libro “Tutti i nomi” visto che nel romanzo il protagonista è l’unico ad avere un nome proprio; certo non un nome completo ma solo un generico “signor José”. Tutti gli altri personaggi che percorrono le vie e la vita del protagonista sono identificati dalla professione o dal posto dove vivono o in qualsiasi altra maniera ma in tutto il libro non troverete altro nome che quello del signor José.

Questo tale è un uomo normale (azzarderei un banale se non sentissi che nella sua normalità sta la chiave di tutto il romanzo), non è sposato, fa un lavoro utile ma noioso (è scritturale ausiliario presso la Conservatoria Generale dell’Anagrafe), vive in una città non meglio identificata in una epoca non precisata ma che ritengo essere posizionabile attorno agli anni ’40 o ’50 del millennio appena trascorso, e la sua vita è sempre stata scandita da ritmi che altri decidevano per lui.

L’unico hobby della vita del signor José è ritagliare gli articoli e le foto del giornale che riguardano personaggi che stanno per diventare famosi o che stanno per cadere dalla fama, aggiornando i dati giornalistici con i dati conservati nel suo luogo di lavoro.

Proprio la necessità di integrare i dati di alcuni personaggi famosi già presenti nella sua collezione fa si che alle schede necessarie rimanga attaccata la scheda di una donna sconosciuta. E il mite scritturale si trasforma, diventa un uomo diverso;

Ora, nel romanzo non viene data spiegazione di quale sia il perverso meccanismo mentale che si attua nel cervello del signor José che decide (ma davvero decide lui o sono gli eventi che decidono per lui?), di voler conoscere di più questa donna misteriosa; vuole sapere che fa nella vita, vuole conoscere il suo passato (e sospettiamo che gli piacerebbe conoscerne anche il futuro).

Inizia così la spasmodica ricerca di un bandolo a cui aggrapparsi (quasi fosse il mitologico filo di Arianna) per cominciare a dipanare a ritroso la vita di questa figura.

Nel corso di questa indagine il signor José passerà da modello di abnegazione al lavoro e rispetto delle gerarchie a un uomo capace di fare cose che mai avrebbe pensato di fare; dirà mezze verità e bugie totali, abusaerà della sua professione per accedere più rapidamente alle informazioni, diventerà ladro e falsario il tutto al fine di pervenire a quello che da semplice curiosità si trasforma lentamente in vera e propria necessità morbosa.

Sono geniali e inquietante al medesimo tempo le discussioni tra il signor José e il soffitto della sua camera da letto.

Un altro grande capolavoro di quel gran genio di Saramago che ci propone un’altra apocalisse, dopo quella di Cecità, descrivendoci una lotta per risalire nel tempo verso ciò che non è più o che non è mai stato.

Un libro oggettivamente non semplice da leggere, visto che la mancanza di nomi propri obbliga lo scrittore, e di conseguenza il lettore, a circonvoluzioni mentali per riconoscere i personaggi; ma allo stesso tempo proprio la mancanza di nomi fa sì che l’attenzione del lettore sia totale. Per la paura di perdere un qualche elemento fondamentale si rimane concentratissimi sugli avvenimenti e sui tratti psicologici degli attori.

Ancora una volta una grandissima prova di uno degli autori contemporanei più prolifici e sagaci della letteratura del 900, insignito, non a caso, del Nobel per la Letteratura nel 1988

Siamo solo amici

Siamo solo amici di Luca Bianchini edito da Mondadori – prima edizione 2011.

E’ il secondo libro di Bianchini che leggo e che recensisco e anche questo libro mi ha confermato quanto già avevo notato nel corso della lettura del primo; Luca Bianchini infatti, è un autore che ha la rara capacità di nascondere i sentimenti dietro la normalità della vita e quando li svela, ci si accorge che sono sempre stati lì, in bella mostra, e che non li abbiamo notati solo perchè la nostra attenzione è stata abilmente attratta dal luccichio della polvere dorata con cui l’autore ha cosparso la quotidianità.

I protagonisti principali di questa ultima fatica di Bianchini sono due portieri; Giacomo portiere di un albergo di Venezia, e Rafael portiere (o sarebbe meglio dire ex-portiere) di una squadra di calcio brasiliano.

I due hanno caratteri diametralmente opposti; tanto Giacomo è asserragliato in difesa delle proprie posizioni, dei propri sentimenti e non permette agli altri di conoscere la sua vera personalità, tanto Rafael è solare, aperto, pronto a dare tutto sé stesso alle persone con cui entra in contatto; si potrebbe dire che Rafael è un Giacomo senza filtri.

Nel corso della narrazione le loro strade si incontrano e la luce di Rafael riesce, per una volta, a fare breccia nella cortina di nebbia che avvolge la vita di Giacomo.

Ovviamente in scena con i protagonisti ci sono anche le donne che loro amano e con questo espediente l’autore ci racconta anche come affrontino l’amore i due personaggi.

La maggior parte della storia si dipana tra le calli e i campielli di una Venezia lasciata all’immaginazione del lettore. In fondo è inutile cercare di raccontare una città che bene o male tutti ricordiamo, immaginiamo e sogniamo.

Nel corso della storia ci sono amori infiniti che però finiscono e amori imprevedibili che però cominciano; ci sarà tempo per i dialoghi silenziosi dei vari attori, amori iniziati ma mai dichiarati e finiti prima ancora di nascere (o forse mai nati per mancanza di un certo coraggio).

C’è la leggerezza della giovinezza così come l’assennatezza dell’età adulta; e quando queste due realtà si incontrano i fuochi d’artificio esploderanno bellissimi sul nero velluto della notte. Proprio perchè l’autore non si vuole far mancare niente c’è anche una prostituta che però assomiglia a Gesù.

Fino all’ultimo capitolo non si capisce dove voglia andare la storia ma quelle ultime pagine sistemano i pezzi più importanti del puzzle e l’immagine che si forma, con lo sfondo della Venezia più sfavillante, è straordinariamente commovente.