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Riccardino

RiccardinoAndrea CamilleriSellerio Editore, prima edizione 2020.

Nel bel mezzo di una notte agitata il commissario Montalbano viene svegliato dal trillo del telefono. Risponde aspettandosi Catarella ed invece c’è uno sconosciuto che dice di chiamarsi Riccardino che gli da appuntamento al bar Aurora, prima di riappendere la conversazione. Certo che si sia trattato di un errore o di uno scherzo, il commissario si rimette a dormire. Dopo poche ore suona nuovamente il telefono e questa volta è davvero Catarella che gli comunica che hanno trovato un morto. Giunto sul luogo del misfatto scopre che il morto è proprio tale Riccardino, ucciso con un solo colpo di pistola davanti ai tre amici che lo stavano aspettando.

Da un po’ di tempo al commissario manca la voglia di risolvere casi perché non prova più il piacere della caccia solitaria, perché gli anni cominciano a pesare e soprattutto perché non ha più voglia di avere a che fare con i cretini; vorrebbe demandare l’incarico al suo vice ma l’intervento del vescovo di Montelusa e di alcune personalità politiche lo obbligano a rimanere concentrato.

Anche se il caso sembra ovvio e banale, Montalbano sa che nulla è mai come sembra così aguzza i sensi sbirreschi, analizza, connette, inciampa in personaggi pittoreschi ma, nonostante metta in atto tutte le sue solite trappole e il solito impegno, il nostro eroe è confuso, insofferente ed è convinto di non essere più adatto al ruolo. L’autore comprende la difficoltà del suo personaggio così interviene direttamente concordando con lui modifiche alla trama, proponendo soluzioni e addirittura facendo intervenire il Montalbano televisivo.

Ma il commissario letterario è stanco, sfiduciato al punto che… Camilleri trova il modo di liberarsi di lui perché troppo invadente nella sua fantasia.

Per l’ultima avventura del commissario più famoso d’Italia, Camilleri trasforma il suo romanzo in un meta-romanzo, fa parlare il protagonista con l’autore e con il sé stesso del piccolo schermo alla ricerca di quelle motivazioni che hanno sostenuto Montalbano fino a questo momento.

Il Montalbano letterario si sente inferiore al proprio doppio televisivo e all’autore perché entrambi conoscono sempre tutta la storia, mentre lui deve improvvisare, indovinare e mettersi in gioco. Il Montalbano letterario vorrebbe, una volta tanto, poter decidere come vivere la propria vita in piena libertà.

Riccardino è un romanzo diverso da tutti quelli prodotti dalla grande penna di Camilleri, diverso e un po’ deludente perché la trama è abbastanza inconsistente e prevedibile, i colpi di scena scoppiano come petardi bagnati, la mancanza dell’arguzia di Livia e della forza pungolante di Augello sono evidenti; l’unica nota positiva presente è ancora una volta, la folle e scombinata follia di Catarella.

E’ evidente che l’autore si fosse stufato dell’ingombranza di Montalbano ma il modo che ha trovato per liberarsi e liberarci di lui proprio non mi è piaciuto.

Come tutte le altre avventure del commissario anche questa è ben scritto ma sembra un po’ fatto con la ricetta; dieci grammi di questo, otto di quell’altro ecc. ecc.

Il finale però è innovativo. Inaccettabile per me ma sicuramente diverso da qualsiasi altra cosa mai scritta da Camilleri.

Libro non consigliato.

Il birraio di Preston

Il birraio di Preston di Andrea Camilleri, edito da Sellerio – prima edizione 1995.

Oh mamma da dove comincio? C’è così tanto da dire su questo bellissimo romanzo del maestro Camilleri. Comincio col dire che la storia raccontata nel libro si riferisce ad un fatto vero, storico, documentato nella “Inchiesta sulle condizioni della Sicilia” del 1875-1876 quando, agli onori della cronaca salì la notizia dei disordini avvenuti in Caltanissetta dopo che il Prefetto Fortuzzi (che diventerà Bortuzzi nel libro) decise di inaugurare il teatro della città con l’opera sconosciuta “Il birraio di Preston” di Luigi Ricci.

Il buon Camilleri racconta questa storia ambientandola a Vigata e circondandola di tante altre storie che, come le patate attorno all’arrosto, servono a renderla più succulenta, più vera, aiutando il lettore a immaginarsi la vicenda, ma andiamo con ordine.

Tutto prende le mosse da un incipit che riprende scherzosamente quello di Bulwer-Lytton citata più volte da Snoopy “era una notte buia e spaventosa”. Chiaramente nell’opera di Camilleri il tutto è modificato in dialetto e così eccoci davanti a “Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irresistibilmente gli scappava.”.

Insomma vuoi per il temporale, vuoi per la necessità di espellere liquidi, il piccolo Gerd vede in lontananza che a Vigata qualcosa brucia, lo dice al padre che ha finalmente la possibilità di provare la sua nuova macchina contro gli incendi.

Nella corsa folle della macchina fino alla cittadina il teutonico genitore chiede ad un contadino come sia nato l’incendio e questi gli risponde “Ah, pare che ad un certo punto la soprano stonò”!

Con questo stratagemma Cammilleri ci ha fatto entrane nella storia e quindi siamo accanto al delegato di polizia quando, spento il rogo, si iniziano a fare i rilievi e le analisi per capire di cosa si sia trattato.

Su di un binario parallelo seguiremo la storia di come si sia arrivati alla scelta del Prefetto di far inaugurare il nuovo teatro con un’opera invisa alla popolazione.

Conosceremo meglio il poliziotto che segue le indagini; vedremo arrivare nella cittadina un personaggio strano, ben noto alla polizia che deciderà di non arrestarlo per ragioni di convenienza, decisione che sarà poi rimpianta amaramente.

Con il corso delle storie arriveremo finalmente a quel 10 dicembre 1864 quando va in scena l’opera tanto osteggiata. Ma la farsa si trasforma in tragedia quando durante l’intervallo qualcuno cerca di uscire dalla sala per andare alla toilette e scopre che tutte le porte sono bloccate dall’esterno per impedire che la gente se ne vada alla chetichella prima del finale.

A questo punto la scena diventa come quelle dei film di Stanlio e Olio dove accade di tutto e la frenesia è imperante… e io, per non togliere suspance al lettore che vorrà intraprendere questo viaggio, mi fermo nel mio raccontare.

La lingua usata da Camilleri in questo romanzo è quel sapiente mix di italiano e siciliano che ormai caratterizza tutte le opere dello scrittore nato a Porto Empedocle; quindi ci vuole un po’ di attenzione, soprattutto all’inizio; quando poi ci avrete un po’ fatto l’orecchio andrete spediti.

I personaggi sono raccontati dall’autore in maniera splendida sia nella loro sostanza fisica ma soprattutto in quella psicologica. Entriamo dentro la testa dei personaggi e capiamo le motivazioni che li portano a fare quello che fanno o a decidere quello che decidono.

Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, Camilleri dimostra il grande valore della sua arte scrittoria. Prendendo spunto da storie semplici, da accadimenti quasi banali, dal mondo che ci circonda, trova sempre il modo di affabularci e di farci sognare una realtà diversa da quella che in realtà viviamo.

Libro decisamente consigliato.

La banda Sacco

La banda Sacco di Andrea Camilleri edito da Sellerio prima edizione 2013.

Di nuovo Camilleri senza Montalbano e, di nuovo, è un grande libro, intrigante, avvincente e scorrevolissimo.

Si racconta la storia della famiglia Sacco che, per colpa della mafia prima e dello stato poi, si trasforma da normale agglomerato familiare a gruppo di “delinquenti”.

La famiglia Sacco è composta dal padre Luigi e dalla madre Antonina e da sei figli che, a cavallo tra la fine dell’800 e i primi anni del 900 conducono una vita di lavoro onesto. Gli ideali della famiglia sono quelli del sacrificio e dell’impegno, del lavoro e degli ideali socialisti.

Grazie alla grande dedizione che mettono nel lavoro e nell’attenzione alla condotta morale i Sacco sono molto rispettati nel paese di Raffadali dove l’azione si svolge. Lavorano sodo e si fanno i fatti loro riuscendo addirittura a mettere insieme un po’ di agio e a comprare un pezzo di terra.

 “Ma c’era la mafia” – “Eccome se c’era”.

Il capofamiglia riceve una lettera anonima, poi un’altra, poi c’è un tentativo di furto. A tutte queste intimidazioni però, Luigi risponde sporgendo regolare denuncia ai Carabinieri che rimangono basiti dal coraggio di quest’uomo. Nessuno in paese ha mai avuto il coraggio di denunciare la mafia.

Questo è proprio il punto di svolta della vita della famiglia Sacco che dovrà difendersi dalla mafia in primis, ma anche dai Carabinieri stessi, dai compaesani compiacenti e dai traditori in un crescendo di tentativi di omicidio, testimonianze false e false accuse.

Per la famiglia non ci sarà più pace. Le male lingue cominceranno ad accusare i Sacco di tutte le ruberie e di tutti i delitti che avvengono in paese; la famiglia continua nel suo rigore lavorativo ma le condizioni diventano sempre più difficili. Per potersi difendere da chi, a questo punto, ha solo l’obiettivo di ucciderli, i Sacco richiedono il porto d’armi che, ovviamente, gli viene negato.

Ormai la situazione ha preso una brutta china e la mafia cerca di convincere i riottosi familiari con l’omicidio del capofamiglia e poi con l’incendio della loro proprietà; Ma i Sacco sono di un’altra pasta e visto che lo Stato non provvede alla loro sicurezza, iniziano a difendersi.

L’arrivo in paese del prefetto Mori, giunto su specifica richiesta di Mussolini per sconfiggere la mafia, sarà l’ennesimo e definitivo colpo al buon nome dei Sacco che dovranno difendersi, d’ora in avanti, non soltanto dalla mafia ma anche dallo Stato che dovrebbe schierarsi al loro fianco.

Sarà proprio il prefetto a coniare, per questi contadini coraggiosi, il nome di “banda Sacco” costringendoli alla latitanza e alla lotta senza quartiere.

L’azione si svolge nella Sicilia rurale delle pietraie, delle fratte rocciose che illuminano la magia di una natura che produce meraviglie come i fiori unisessuali del pistacchio. Assaporiamo la magia delle notti stellate avvolte nel profumo del sambuco, i panorami, la gente, i sapori delle cose semplici.

A fare da contraltare a queste immagini idilliache c’è però l’ottusità, la cattiveria, la piccolezza mentale di alcuni uomini e istituzioni che, non solo non capiscono quale sia la realtà delle cose ma, si impegnano allo spasimo per trasformare degli onesti cittadini in malviventi.

La grande capacità narrativa di Camilleri non ha certo bisogno delle mie sperticate lodi. Tutti conoscono la meraviglia che riesce, questo grande autore, a trasmettere con poche, sagge e misurate parole.

Un ottimo libro storico che, proprio perchè mancante di figure ingombranti e scomode, permette al lettore di scoprire una storia minima che però lascia un grande ricordo e una lezione di vita importante.

Libro consigliato.

Il diavolo certamente

Il diavolo certamente di Andrea Camilleri edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Di nuovo Camilleri cambia, e di nuovo ne esce un buon libro. Non è il classico romanzo e nemmeno un libro epistolare come aveva tentato con successo con “La scomparsa di Patò”; a voler sminuire questa nuova opera letteraria del buon Camilleri si potrebbe definire come un raccolta di racconti ma c’è di più. Non sono semplici racconti, sono delle storie legate tra loro da due fili che si intrecciano.

Il primo di questi fili è la precisione quasi assoluta, quasi metrica potremmo sbilanciarci, di queste storie; infatti Camilleri ha prodotto trentatre racconti di lunghezza quasi identica. E’ un po’ come se l’autore avesse voluto raccontarci una storia per ogni giorno del mese… e gliene siano avanzate un paio che proprio non è riuscito a eliminare.

Il secondo filo è la presenza velata, sfumata, ma chiaramente percepita del diavolo. Sì, il diavolo c’è, ne percepiamo quasi l’odore sulfureo, e in questo libro appare trentatre volte a metterci la coda.

In ognuno di questi racconti, il diavolo suggella la storia con il suo inequivocabile zampino: nel bene o nel male, a noi lettori l’ardua sentenza.

Questi racconti, oltre ad essere irresistibilmente divertenti, sono anche percorsi da una meditazione accanita e sottile sul senso delle umane sorti, del nostro affannarci per mentire o per apparire, della nostra idea di felicità.

Insomma, “non solo una serie di variazioni musicali sull’eterno tema del male e del destino ma anche una commedia umana concentrata in pagine di fulminante, contagiosa energia. Perché un dettaglio, anche se luciferino, può cambiare segno ad una vita intera, ma proprio per questo quella vita vale sempre la pena di viverla senza risparmio”; questa sembra essere la morale che scaturisce dalla lettura di queste avventure.

Molte delle realtà umane affliggono i vari protagonisti delle storie di Camilleri; troviamo due filosofi in lotta per il Nobel, un ladro gentiluomo, un monsignore alle prese con il più impietoso dei lapsus, una ragazza che russa rumorosamente, una segretaria troppo zelante, una moglie ricchissima e tanti altri attori verranno chiamati sul palco a raccontarci una storia che, immancabilmente, avrà un finale diverso da quello che ci si aspetterebbe, ovviamente per colpa del diavolo.

Non voglio raccontare oltre di queste novelle perchè toglierei la soddisfazione di scoprire quale arcano ordigno sposti sempre il gradino facendoci inciampare.

Per quel che attiene ai personaggi, trattandosi di racconti non possono che essere abbozzati, poco rifiniti; ma nonostante questa necessità stilistica Camilleri, ancora una volta, dimostra di essere in grado di stimolare la fantasia del lettore con semplici accenni, quasi pennellate intrise di colore, che però sono sufficienti alla nostra immaginazione per “unire i puntini” e rivelare la fisionomia degli attori.

Se proprio devo trovare un piccolo neo negativo a questo libro è la mancanza della “lingua” che ormai Camilleri ci ha insegnato ad amare. Tutte le storie sono scritte in italiano insomma; forse se le avesse scritte in siciliano (come spesso fa con le avventure di Montalbano), avremmo tra le mani un piccolo capolavoro.

Libro indubbiamente consigliato.

La rizzagliata

La rizzagliata di Andrea Camilleri edito da Sellerio – prima edizione 2009.

Ormai i libri di Camilleri sono tanti quante sono le stelle in cielo; devo però dire che questo in particolare non mi ha entusiasmato come era accaduto con altri.

Cominciamo col dichiarare subito che in questo romanzo non c’è Montalbano. O meglio, c’è, ma solo di sfuggita; in una battuta che il protagonista dice alla sua segretaria.

Continuiamo aggiungendo che questo libro ha una caratteristica particolare rispetto ai predecessori, infatti Camilleri ha scritto questo libro per il mercato spagnolo e solo successivamente è pervenuto sui patri lidi. Il titolo in spagnolo è “La muerte de Amalia Sacerdote”; premiato su suolo iberico dove ha vinto il prestigioso “Premio Internacional RBA de Novela Negra” nel 2008.

Dopo questo note intorno al libro, finalmente lo apriamo e ci addentriamo, come giovani esploratori, tra le sue pagine.

Il protagonista si chiama Michele Caruso ed è il direttore del telegiornale regionale di Raitre; E’ un uomo normale la cui vita privata ha da poco subito un duro colpo grazie alla propria moglie che lo ha “cacciato” di casa semplicemente dicendogli di essersi innamorata di un altro.

Il lavoro è tutto quello che rimane a Michele che svolge le sue funzioni in maniera irreprensibile anche se il fatto di dover scegliere cosa mandare in onda, genera inevitabilmente degli attriti con i colleghi.

Nella città viene trovata assassinata con il cranio sfondato (probabilmente da un pesante posacenere) la giovane Amalia Sacerdote figlia del segretario generale dell’Assemblea Regionale Siciliana; la magistratura invia un avviso di garanzia al fidanzato della giovane, Manlio Caputo, che è figlio del leader del partito della sinistra siciliana (che invece si trova all’opposizione). Quel cadavere crea non pochi problemi per le rivalità politiche dei genitori dei due giovani e per le evidenti connessioni con i poteri economico, giudiziario, giornalistico e politico dell’isola.

Michele decide di non passare nell’edizione principale, la notizia dell’avviso di garanzia in attesa di avere tutti i riscontri del caso facendo così “bucare” la notizia alla propria testata.

Il romanzo si snocciola nelle trame dell’inchiesta e tra le scrivanie (vere e virtuali) della redazione del giornale che ne segue lo sviluppo.

Grazie a questo romanzo Camilleri ci porta nei due templi sacri del nostro mondo moderno; quello della magistratura e quello invece del giornalismo.

Vedremo come nell’ambito di magistratura esistano le stesse ripicche ed asservimenti ad potere che ben conosciamo in altre realtà del vissuto quotidiano; Come tra i giornalisti e le testate ci sia una lotta feroce a chi per primo arriva su una notizia e quali siano le lotte intestine e i peggiori mezzi che si mettono in campo per poter avere la dichiarazione più importante.

Oltre ad illustrare la straordinaria rete di collegamenti che porterà Michele Caruso a salvarsi da tutti i pericoli che questa notizia/inchiesta poteva riservare, si illustrano al contempo le straordinarie (?) connessioni che si attivano quando la politica vuole salvare se stessa e di quanto il mondo di certo giornalismo e di certa politica siano asserviti al “potere”.

Sicuramente un buon libro ma non all’altezza di altre cose scritte da Camilleri con o senza la presenza ingombrantissima di Montalbano.

Gran circo Taddei e altre storie di Vigàta

Gran circo Taddei e altre storie di Vigàta di Andrea Camilleri edito da Sellerio editore Palermo – prima edizione 2011.

In questo libro il genio di Camilleri si esplica in 8 racconti brevi, tutti ambientati nella Vigàta dell’epoca fascista. Cercherò di darvene un senso senza togliervi il gusto della lettura.

Il primo racconto si intitola “La congiura” e vi si raccontano le imprese di un sarto della premiata sartoria palermitana “Stella di Pizzo” che giunge nella città per rifare il guardaroba alle signore delle alte gerarchie fasciste e che invece si ritrova coinvolto (neanche tanto suo malgrado) nelle beghe e nelle lotte intestine alla sezione femminile fascista della città.

Si prosegue con “Regali di Natale” nel quale si racconta come in Vigàta sussistono pacificamente alcuni circoli dove si giocava a carte ovviamente d’azzardo! Il circolo Famiglia & Democrazia è frequentato dal fior fiore della città ed è molto difficile entrarci tranne nel periodo tra il venti dicembre e il primo di gennaio; durante questo tempo infatti ogni socio può presentare al circolo uno o più amici(per i quali garantisce) che pagando una quota diventavano soci avventizi. Proprio uno di questi avventizi è il vero cuore di questo racconto, un uomo ricco e temuto da tutti. Il suo ingresso nel circolo sarà molto doloroso per i soci nella notte della vigilia di Natale.

Segue “Il merlo parlante” in cui vengono raccontate le disavventure di un uomo (Ninuzzo Laganà) che cerca una donna per poterla sposare. Ha le idee molto chiare su quale tipo di donna voglia e su quali caratteristiche deve avere. Trova queste cose in Daniela una ragazza che è “una stampa e una figura” con ciò che vuole Ninuzzo. Inoltre viene recapitato in ufficio un merlo indiano che genera una serie di situazioni che porteranno Ninuzzo a capire quanto si sia sbagliato nel giudicare Daniela.

Il racconto successivo è quello che da il titolo a tutto il libro “Gran circo Taddei”; Vi si racconta di quella volta in cui a Vigàta giunse il circo e di come questo abbia emozionato i vigatesi per le meravigliose esibizioni degli artisti e di come la presenza di un leone abbia stimolato la fantasia di un giovane desideroso di ereditare l’immensa fortuna della zia con cui vive, e del tentativo, effettuato da questi con la collaborazione di tre sorelle che sono le figlie del proprietario del circo, di entrare finalmente in possesso dell’eredità.

Si prosegue col racconto “La fine della missione” nel quale viene dipanata la storia dell’avvocato Totino Mascarà, della sua vita e del suo totale disinteresse verso l’amore e l’altro sesso e di come questo fatto abbia generato la diceria che “a Totino il fucile non funziona”…ma sarà poi vero?

Si incontra poi il racconto “Un giro in giostra” nel quale si analizza la sfortuna di un professore che la vita colpisce più volte. Una prima volta alla morte di suo padre quando sua madre si deve inventare un modo per poter dare qualcosa da mangiare al figlio; dopo le seconde nozze della madre con un ricco signore,la vita colpire di nuovo quando a causa di un incidente entrambi i genitori muoiono ma Nito non può ereditare per l’opposizione della sorella del secondo marito, ma soprattutto sarà sui sentimenti che Nito patirà la sua peggiore debacle!

“La trovatura” è il racconto che segue; vi si racconta di quella volta in cui a Vigàta giunse una maga chiromante e chiaroveggente che cerca di guadagnare qualche lira grazie alla creduloneria dei vigatesi. Pur essendo una cialtrona la maga però ha un cuore molto grande e prova ad aiutare le persone che si rivolgono a lei talvolta inventandosi false predizioni. Proprio da una di queste predizioni, fatte per buon cuore, nascono una serie di eventi che porteranno grande scompiglio nella vita di lei e di alcuni abitanti.

L’ultimo racconto si chiama “La rivelazione” e racconta del lento riprendere della vita nella città di Vigàta nei mesi successivi allo sbarco degli americani e della conseguente liberazione dal giogo fascista. Nella gioia di quei giorni però si affaccia un problema; il previsto ritorno dal confino di Luici Prestìa “comunista arraggiato”, viene sistematicamente rimandato in quanto questìultimo si fa arrestare ogni qual volta termina di scontare la sua pena. Nella sezione di Vigàta del Partito Comunista si comincia a discutere sul perchè di questo comportamento e si giunge alla decisione di mandare un iscritto a parlare con il Prestìa in modo da capire cosa gli stia passando per la testa. La rivelazione che Prestìa fa sarà sconvolgente e al tempo stesso genererà delle “grosse risate”.

Tutti i racconti hanno uno sviluppo che non ho voluto raccontare ovviamente per non togliere al lettore il gusto della scoperta, ma vi assicuro che ognuno di essi un finale imprevisto e, alcune volte, divertente.

Inutile dire che la lingua parlata è il dialetto siciliano che ormai caratterizza molti degli scritti di Camilleri; quel dialetto che anche noi, non avvezzi, abbiamo imparato a comprendere ed amare.

Pur trattandosi di racconti, e quindi avendo necessità di essere brevi e concisi, i personaggi e le loro psicologie sono ben disegnati, ciò dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto l’amore per la letteratura e la fantasia possano aiutare a creare uno scritto non banale nè noioso.

Se vi piace Camilleri, anche senza Montalbano, allora questo è un libro che certamente amerete tanto quanto l’ho amato io.

Il sorriso di Angelica

“Il sorriso di Angelica” di Andrea Camilleri edito da Sellerio – prima edizione 2010.

…l’ennesima avventura di Montalbano; l’ennesima vittoria di Camilleri.

Ho perso il conto di quanti libri di Camilleri con protagonista Montalbano ho letto; probabilmente tutti! eppure anche in questo libro non c’è traccia di stanchezza nè in chi li scrive (probabilmente Camilleri si è triturato i “cabbasisi” di Montalbano) nè in chi li legge (proprio come me).

L’istinto “sbirresco” di Montalbano si attiva quando iniziano ad accadere una serie di furti molto strani. Tutti i furti hanno due momenti ben distinti; Quando i proprietari sono nella casa di vacanza vengono addormentati con lo spray e vengono rubate solo le chiavi della casa di città che viene poi rapinata in un secondo momento ma sempre nel corso della stessa notte. Solo questi secondi furti fruttano un bel bottino; infatti i rapinati sono proprietari di beni di grande valore.

Montalbano sente puzza di bruciato in questi furti e nel corso della sua indagine entra in contatto (!) con la bella Angelica che lo riporta ai tempi delle cotte adolescenziali e la cui bellezza fa sì che Montalbano usi, nei suoi pensieri (neanche troppo puliti), i versi de “L’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto e della poesia “Adolescente” di Vincenzo Cardarelli. Inoltre Montalbano viene sfidato dal capo della banda che gli preannuncia l’ultimo furto aggiungendo che non sarà mai capace di comprendere il perchè di quel furto nè dove avverrà.

L’indagine prosegue e sembra non approdare a nulla anche perchè Montalbano decide di nascondere il segreto che gli rivela Angelica e invece piano piano i pezzi del puzzle vanno al loro posto e, l’istinto di Montalbano approda felicemente alla riva della soluzione.

Il bello di questa nuova avventura (come di tutte le precedenti) si trova non tanto nella trama quanto nella familiarità dei personaggi (la perspicacia di Montalbano, la logica stringente di Fazio, l’amicizia coadiuvante di Augello oltre allo straodinariamente macchiettistico Catarella, e di tutti gli altri); nella capacità di Camilleri di raccontarci la sua meravigliosa terra, nel farci sentire i profumi e i sapori della sua Sicilia ma soprattutto nella musicalità meravigliosa di un dialetto difficilissimo eppure così comprensibile una volta lette solo poche pagine.

Consigliatissimo!