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Tieni presente che

Tieni presente cheChuck Palahniuk, Mondadori Editore, prima edizione 2020.

Il sottotitolo di questo che non sono sicuro sia possibile definire romanzo è: “Momenti nella mia vita di scrittore che hanno cambiato tutto”, e questo credo che di per sé dica già tutto su questo libro.

Perché fatico a definirlo romanzo? Perché da una parte questo libro racconta, o meglio dovrebbe raccontare ai novelli scrittori, come si scrive un libro, ma dall’altra è una specie di biografia in cui il buon Palahniuk ci svela una serie di aneddoti tutti legati alla scrittura o alla difficoltà di scrivere.

E’ sicuramente un libro che mette in luce alcuni trucchi del mestiere di scrittore, ma è anche un romanzo di formazione che sfocia in una guida galattica per chi non accetta l’orizzonte che lo circonda; inoltre è un guanto di sfida nonché una confessione. Insomma, come suo solito, Palahniuk sfugge a qualsiasi categorizzazione tentiamo di imporgli.

Proprio come all’esordio, quando con Fight Club scompigliò le carte presenti sulla tavola della letteratura contemporanea, così fa con questo ultimo lavoro dove, nel tentativo di trasmettere quello che ha imparato nella sua esperienza di scrittore, veicola le informazioni non sotto forma di regole auree date agli affamati lettori, bensì nascondendole sotto i veli della sua esperienza in modo che sia necessario “scartarle, distillarle, e condensarle” prima di poterle effettivamente fare nostre.

Si impara, ad esempio, che raccontare storie è un atto di potere. Potere di vita e di morte. Raccontare storie quindi come atto dirompente perché significa creare accanto, attorno e sopra ad un libro o romanzo o storia che sia, una comunità ristretta e parziale, autoreferenziale che si autoalimenta e che si sostiene come una setta. In pratica creare una comunità che riconosce se stessa come unica perché le persone che ne fanno parte condividono un’emozione, una sensazione, un dolore, una morte o una rinascita.

Nel corso della lettura saremo accompagnati da vecchi amici e da nuove conoscenze, grandi autori del passato e recenti, da film, citazioni, ricordi, emozioni o giochi di parole di dubbio gusto; una cosa però sappiamo di sicuro che, quando usciremo dalla lettura, saremo uomini e donne diversi, più felici, più consapevoli, meno facilmente abbindolabili perché, nel corso della lettura, avremo assorbito, quasi per osmosi, un po’ del cinismo tipico di Palahniuk.

Se Shakespeare diceva che “siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, Palahniuk ci ricorda che siamo anche fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, ma che è bellissimo che le nostre brevi vite abbiano la possibilità di tirare di scherma con questi avversari imbattibili ma leali e formativi.

Tieni presente che” ci insegna l’importanza di vedere la realtà da più punti di vista stimolando il lettore a leggere nuovi testi e nuovi autori; anche quelli che ci sembrano più distanti dalle nostre posizioni. Nella peggiore delle ipotesi, ci rafforzeremo nella nostra convinzione di essere dalla parte giusta del fiume.

Tirando le somme possiamo dire di essere in presenza di un romanzo che non è un romanzo, di una biografia che non è una biografia, di un saggio che non è un saggio perché tutti questi stili sono compressi nel genere letterario di Palahniuk che, fin da suoi esordi, si è sempre divincolato come un pesce per non farsi mai rinchiudere in una gabbia stilistica e mentale.

Ancora una volta Palahniuk ci incuriosisce con una scrittura assolutamente geniale, per poi lasciarci con un desiderio di conclusione che, sappiamo già, andrà deluso.

Libro strano ma, se vi piace lo stile di Palahniuk, assolutamente ibrido e diverso da qualsiasi cosa abbiate mai letto.

Marcovaldo

Marcovaldo di Italo Calvino, edito da Mondadori prima edizione 1963.

Il titolo completo di quest’opera di Calvino è “Marcovaldo ovvero le stagioni in città”.Le “stagioni” perché i racconti sono divisi nelle quattro stagioni come se l’autore ripercorresse un anno intero con il suo protagonista.

Si tratta della raccolta di venti racconti ambientati in una città che io, e probabilmente solo io, identifico in Torino, il cui protagonista, Marcovaldo appunto, è un manovale con problemi economici che male si è adattato alla vita di città; infatti spesso nel corso delle sue avventure lo vedremo rincorrere una naturalità che ormai non può più avere.

Il nostro protagonista ha ovviamente una famiglia formata dalla moglie Domitilla, e numerosi figli. Come ogni buon padre di famiglia Marcovaldo si spezza la schiena nel tentativo di dare alla sua famiglia un tenore di vita migliore possibile, ma tutti i suoi stratagemmi per fare un piccolo salto in avanti vengono frustrati dalla sorte sempre avversa.

Prova ne sia, ad esempio, il primo racconto dove il protagonista scopre, andando al lavoro, dei funghi che iniziano a crescere. Ci lascia il cuore su quei funghi; li copre perché nessuno li veda e la mattina dopo gioisce del fatto che siano cresciuti effettivamente. Il primo giorno libero va con i bambini a coglierli e tutto sembra filare liscio una volta tanto ma, quello che Marcovaldo non ha messo in conto è che la vita di un povero Cristo non cambia mai e, sempre povero Cristo rimane.

Ovviamente non ho alcuna intenzione di riassumere tutti e venti gli episodi ma di un’altro, che io trovo il più divertente in assoluto, mi sento obbligato a parlare.

Si tratta del racconto intitolato “Marcovaldo al supermarket”. In questa avventura tratta dalla stagione “inverno” vediamo il protagonista e la sua famiglia alle prese con il supermarket; le sue luci, le sue musiche, i suoi profumi. Nonostante non ci siano i soldi la famigliola decide di fare visita al grande negozio tanto per provare l’ebrezza di essere come tutti gli altri; e proprio per finzione Marcovaldo prende un carrello e inizia a mettere i vari prodotti che desidererebbe acquistare. Il progetto originale prevederebbe che per un prodotto messo nel carrello uno venga riportato sullo scaffale ma, ben presto capirà che è una battaglia persa. All’improvviso si accorge che le corsie sono terminate e che lo aspetta la lunga schiera di casse, e soprattutto, da ogni corsia esce un membro della sua famiglia con un carrello stracolmo di ogni ben di dio. Il finale è comico e al contempo tragico.

Caratteristica tipica di Calvino è quella di raccontare il meno possibile della fisicità dei personaggi o delle ambientazioni. Anche in queste opere le descrizioni degli attori e delle scene sono ridotte al minimo possibile, lasciando dunque alla fantasia del lettore il compito di riempire gli spazi, di abbellire ed arricchire le scenografie come meglio aggrada.

Come tutta l’opera di Calvino, anche questa raccolta di racconti può apparire “infantile” e dedicata al pubblico più giovane ed invece io ritengo che proprio l’infantilità di Marcovaldo e lo stile semplice e lineare della scrittura facciano di tutte le opere di questo autore, e di Marcovaldo in particolare, un opera aperta a tutti, giovani, adulti e anziani che abbiano il coraggio di mettersi in gioco.

Sì, ritengo che ci voglia coraggio a prendere in mano un libro così apparentemente semplice che invece nasconde una profondità difficile da sopportare. Insieme al “Piccolo Principe” di Saint Exupéry, questo libricino è tra le opere maggiormente complesse che io abbia mai affrontato.

Complessa perché si è facilmente tentati di fermarsi alla semplice lettura del testo, ma se si intraprende una analisi più approfondita si scopre un mondo di sottesi, di problematiche appena accennate che portano la nostra riflessione molto in profondità. Nulla vieta di leggere le avventure di Marcovaldo come semplici storie ma, così facendo, ci perderemmo tutto il sottile lavoro di ricamo fatto da Calvino nello scrivere questo bellissimo testo.

Libro fortissimamente consigliato.

Sei una bestia, Viskovitz

Sei una bestia, Viskovitz di Alessandro Boffa, edito da Garzanti – prima edizione 1998.

Come vive una lumaca? Cosa sogna un ghiro? E una mantide religiosa cosa pensa dei rapporti interpersonali? Un leone può innamorarsi di una gazzella? Queste sono alcune delle domande a cui tenta di rispondere con grandissima ironia l’autore che crea uno zoo (mai parola fu più corretta) con il solo fine di raccontarci le vite più segrete di questi e di altri animali. La voce narrante è sempre lui, Viskovitz e insieme a lui troviamo gli amici di ogni avventura Zucotic, Petrovic e Lopez. Nella vita però, non contano solo le amicizie ma anche l’amore; e l’amore ha sempre un solo nome Ljuba sia essa una ghira “bella come il sonno, seducente come uno sbadiglio e soffice come un cuscino” o una scorpionessa “seduttrice diabolica e micidiale macchina di sterminio”. 

Grande umorismo, biologia e una grande umanità sono le caratteristiche peculiari del nostro protagonista che di incarnazione in incarnazione pone una chiara luce in angoli bui; in quella vita segreta degli animali che spesso ci sfugge.

E’ un libro strano. Si potrebbe pensare ad una serie di racconti ma, in realtà è molto di più. E’ quasi un compendio di comportamenti “bestiali” di noi umani; si proprio di Noi umani. Riusciamo a riderne proprio perché sono gli animali a manifestare questi comportamenti “umani, troppo umani”. Basterebbe ampliare di poco il raggio di luce per capire che, ad esempio, la mantide religiosa che pasteggia con il proprio compagno è la perfetta rappresentazione di chi vuole a tutti i costi comandare dittatorialmente nel rapporto di coppia; la lumaca che si “ripiega” su se stessa sta a rappresentare l’edonismo e l’egocentrismo di molti umani.

Per alcuni tratti Viskovitz può ricordare Edward il protagonista di “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” (libro la cui recensione è presente nelle prime pagine di questo blog), ma a differenza di Edward che cercava di agevolare l’evoluzione della specie, Viskovitz è più egoisticamente alla ricerca del proprio semplice tornaconto; si tratti di un buon pasto, di una bella dormita o di tanto sesso con la bellissima Ljuba. Però i due personaggi sono sicuramente accomunati da una sfiga non indifferente e da una grande ironia che permette al lettore di divertirsi alle loro spalle.

L’autore, di cui questo è il primo romanzo, tiene sempre un tono leggero, quasi divertito. Il testo non è mai pesante e gli eventi si susseguono rapidi. I racconti hanno una durata perfetta per una lettura veloce, magari stando già nel letto, in procinto di addormentarsi.

Qualche critico si è sbilanciato ad accostare Boffa ad Esopo. Onestamente credo che il paragone sia un po’ esagerato perché, mentre lo scrittore greco filosofeggiava e moralizzava con le proprie creazioni, l’intento di Boffa mi sembra molto meno “educativo” e molto più giocoso.

Non fatevi scoraggiare dal fatto che l’autore sia un biologo, quindi un addetto ai lavori delle scienze. Buttatevi in questo libercolo e scoprirete i punti di vista degli animali e, a lettura ultimata, non potrete più guardare una lumaca, un ghiro, una mantide religiosa con gli stessi occhi di prima.

Per terminare riporto un breve stralcio di un racconto: “Il sesso? Non sapevo neanche di averne uno. Figuratevi quando mi dissero che ne avevo due. <Noi lumache, Visko>, mi spiegarono i miei vecchi, <siamo ermafroditi insufficienti…>. <Che schifo!>, strillai. <Anche noi di famiglia?>

Libro consigliato.

Chi ti credi di essere?

Chi ti credi di essere? di Alice Munro edito da prima edizione 1978.

Oh mio dio, non so proprio che dire di questo libro… beh cominciamo dalla fine… diciamo che la sua autrice ha vinto il Nobel per la letteratura nel 2013.

Il libro che proverò ad analizzare oggi è una raccolta di racconti. Mi rendo conto che dicendo così vi ho fuorviato perché in realtà, si potrebbe dire che si tratti di dieci racconti separati che però hanno sempre i medesimi protagonisti.

Uff anche così non vi ho ancora detto niente. Riproviamo.

La protagonista di queste dieci storie è Rose che per tutta la sua vita si è sentita chiedere “Chi ti credi di essere?” da tante persone nel paesino di West Hanratty dove è cresciuta.

Tra le tante persone che l’hanno assillata con la domanda che da il titolo al libro, sicuramente la più insistente è stata la madre Flo, donna pratica e un po’ volgare, meschina ma generosa, che per Rose incarna quella realtà provinciale che vorrebbe tanto abbandonare.

I dieci capitoli raccontano dieci momenti della vita di Rose nella sua costante ricerca di una via di fuga da una realtà che le sta stretta e che prova a lasciarsi alle spalle.

Dalla successione dei capitoli (che comunque sono organizzati in ordine cronologico), emerge il conflitto tra il desiderio di fuga e la necessità di restare legata alle proprie radici, al proprio paese e, in un certo qual senso, a quella madre tanto ingombrante quanto assente.

Seguiremo la vita di Rose dalla sua infanzia con un padre chiuso che sa risolvere i conflitti soltanto a cinghiate; la vedremo adolescente in viaggio a Toronto vittima (ma anche complice) di una iniziazione sessuale ad opera di un ministro di culto; è la giovane innamorata di un dottorando di storia della stessa università che Rose frequenta grazie ad una borsa di studio; sarà la donna adulta coinvolta in una sordida relazione extraconiugale; diviene poi la madre apprensiva di una figlia che riconosce essere più saggia di lei; ed infine sarà la donna matura che ritorna nel luogo da cui tutto è cominciato per riallacciare il filo del rapporto con la madre ormai quasi sul punto di essere ricoverata in casa di riposo.

Non è mia consuetudine raccontare tutta la trama di un libro, e questa recensione, nonostante quello che possa sembrare, rispetta questo ideale. Infatti, nel corso delle storie molte saranno le sorprese che attendono il lettore.

Certo non è un libro facile anche perché le storie possono apparire (ad un lettore distratto) totalmente avulse le une dalle altre; ed invece il fil rouge è rappresentato proprio da Rose e da quella sua smania di fuggire da una realtà soffocante. Sarà però la solitudine che proverà nel corso di questa fuga, la benzina che la farà ritornare nel suo paesello a quella vita semplice e un po’ banale che tanto aveva odiato quando la vivevano i suoi genitori.

Non mentirò dicendo che il libro mi sia particolarmente piaciuto eppure, onestà intellettuale vuole che ammetta, che a questo libro non si può restare indifferenti.

Rimane nel ricordo come una canzone che si pianta nella testa e che si è obbligati a canticchiare. La storia è certamente minima eppure quando si finisce questa raccolta di racconti ci si accorge di essere più ricchi di quando si fosse prima di iniziare.

Libro consigliato ai lettori più “coraggiosi”.

Il diavolo certamente

Il diavolo certamente di Andrea Camilleri edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Di nuovo Camilleri cambia, e di nuovo ne esce un buon libro. Non è il classico romanzo e nemmeno un libro epistolare come aveva tentato con successo con “La scomparsa di Patò”; a voler sminuire questa nuova opera letteraria del buon Camilleri si potrebbe definire come un raccolta di racconti ma c’è di più. Non sono semplici racconti, sono delle storie legate tra loro da due fili che si intrecciano.

Il primo di questi fili è la precisione quasi assoluta, quasi metrica potremmo sbilanciarci, di queste storie; infatti Camilleri ha prodotto trentatre racconti di lunghezza quasi identica. E’ un po’ come se l’autore avesse voluto raccontarci una storia per ogni giorno del mese… e gliene siano avanzate un paio che proprio non è riuscito a eliminare.

Il secondo filo è la presenza velata, sfumata, ma chiaramente percepita del diavolo. Sì, il diavolo c’è, ne percepiamo quasi l’odore sulfureo, e in questo libro appare trentatre volte a metterci la coda.

In ognuno di questi racconti, il diavolo suggella la storia con il suo inequivocabile zampino: nel bene o nel male, a noi lettori l’ardua sentenza.

Questi racconti, oltre ad essere irresistibilmente divertenti, sono anche percorsi da una meditazione accanita e sottile sul senso delle umane sorti, del nostro affannarci per mentire o per apparire, della nostra idea di felicità.

Insomma, “non solo una serie di variazioni musicali sull’eterno tema del male e del destino ma anche una commedia umana concentrata in pagine di fulminante, contagiosa energia. Perché un dettaglio, anche se luciferino, può cambiare segno ad una vita intera, ma proprio per questo quella vita vale sempre la pena di viverla senza risparmio”; questa sembra essere la morale che scaturisce dalla lettura di queste avventure.

Molte delle realtà umane affliggono i vari protagonisti delle storie di Camilleri; troviamo due filosofi in lotta per il Nobel, un ladro gentiluomo, un monsignore alle prese con il più impietoso dei lapsus, una ragazza che russa rumorosamente, una segretaria troppo zelante, una moglie ricchissima e tanti altri attori verranno chiamati sul palco a raccontarci una storia che, immancabilmente, avrà un finale diverso da quello che ci si aspetterebbe, ovviamente per colpa del diavolo.

Non voglio raccontare oltre di queste novelle perchè toglierei la soddisfazione di scoprire quale arcano ordigno sposti sempre il gradino facendoci inciampare.

Per quel che attiene ai personaggi, trattandosi di racconti non possono che essere abbozzati, poco rifiniti; ma nonostante questa necessità stilistica Camilleri, ancora una volta, dimostra di essere in grado di stimolare la fantasia del lettore con semplici accenni, quasi pennellate intrise di colore, che però sono sufficienti alla nostra immaginazione per “unire i puntini” e rivelare la fisionomia degli attori.

Se proprio devo trovare un piccolo neo negativo a questo libro è la mancanza della “lingua” che ormai Camilleri ci ha insegnato ad amare. Tutte le storie sono scritte in italiano insomma; forse se le avesse scritte in siciliano (come spesso fa con le avventure di Montalbano), avremmo tra le mani un piccolo capolavoro.

Libro indubbiamente consigliato.

La regina di Pomerania

La regina di Pomerania e altre storie di Vigàta di Andrea Camilleri edito da Sellerio prima edizione 2012.

Io proprio non so come faccia. Probabilmente Camilleri è un genio perchè anche questa ennesima fatica è stupenda.

Si tratta della raccolta di otto storie minime che si svolgono a Vigàta tra il 1893 e il 1950. Si va dalla storia di un amore alla “Giulietta e Romeo” alla vita di un ragazzo che crede di non avere un padre per scoprire poi che invece ne ha una folla, passando attraverso la storia della Regina di uno stato a scadenza proprio come una mozzarella.

Come suo solito Camilleri, da quell’abile pittore che è, dipinge i personaggi e le ambientazioni in maniera meravigliosa Per i personaggi gli bastano poche pennellate per stimolare la fantasia del lettore che termina l’immagine appena abbozzata. Riesce a far amare o odiare i vari attori esattamente come vuole lui.

L’autore prende il lettore per mano e lo trasporta in una realtà differente ma uguale, strana ma consueta, rassicurante e al tempo stesso spaventosa.

Insomma in questo libro c’è il meglio di Camilleri e la sua capacità affabulatoria, senza peraltro l’ingombrante presenza di Montalbano che ormai è inscindibilmente collegato al nome di Camilleri.

Il libro è scritto in dialetto ma questo anziché essere un limite è un vantaggio, perchè nella parlata della gente si sentono tutti i sentimenti che provano. Forse qualcuno non molto avvezzo alla lingua potrà trovare qualche difficoltà iniziale, ma sono convinto che perseverando nella lettura avverrà nuovamente la magia che permette di illuminare la mente dei lettori a Bolzano come a Roma, a Cagliari come a Treviso.

Nel corso del questi otto racconti troviamo, in ordine sparso, battibecchi da circolo, lambiccati bizantinismi, ludi e motteggi, eterne liti familiari, infervoramenti carnali, sbatacchiamenti, oneste mignotterie, dolorosi stupori e premurose cordialità.

Il libro non è strutturato cronologicamente, quindi si salta tranquillamente da fine ottocento a metà novecento per poi tornare ai bagliori del ventesimo secolo.

I personaggi sono vari e compositi; si passa da “una Giulietta che sancisce l’imbecillità del suo Romeo ad un diplomatico e impassibile truffatore; c’è il console onorario di un regno provvisorio esportatore di cani dati in saldo; una Cenerentola che è una melarosa dal letto ospitale; due gelatai leali contendenti per amore e per dispetto; un marchese dall’eccitazione costante e alla fine crudele; un asino chiamato Mussolini che verrà ribattezzato Curù; un tavolinetto a tre piedi, che sa come castigare l’imprevidenza di un neofita delle sedute spiritiche; un’epidemia di lettere anonime che portano alla luce verità vere e altre meno e altre storie e personaggi straordinari e ordinari, buoni e cattivi.

Insomma in questo bellissimo libro c’è tutto il Camilleri conosciuto eppure, proprio come un prisma che colpito dalla luce con una angolazione differente scatena nuove meraviglie, si vede un nuovo volto dell’autore, una nuova prospettiva che, ancora una volta, lascia il lettore stupefatto dalla quantità di fantasia e dalla bravura nel raccontare gli uomini, le loro vite, speranze e disgrazie.

Ovviamente libro molto consigliato.