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Chi ti credi di essere?

Chi ti credi di essere? di Alice Munro edito da prima edizione 1978.

Oh mio dio, non so proprio che dire di questo libro… beh cominciamo dalla fine… diciamo che la sua autrice ha vinto il Nobel per la letteratura nel 2013.

Il libro che proverò ad analizzare oggi è una raccolta di racconti. Mi rendo conto che dicendo così vi ho fuorviato perché in realtà, si potrebbe dire che si tratti di dieci racconti separati che però hanno sempre i medesimi protagonisti.

Uff anche così non vi ho ancora detto niente. Riproviamo.

La protagonista di queste dieci storie è Rose che per tutta la sua vita si è sentita chiedere “Chi ti credi di essere?” da tante persone nel paesino di West Hanratty dove è cresciuta.

Tra le tante persone che l’hanno assillata con la domanda che da il titolo al libro, sicuramente la più insistente è stata la madre Flo, donna pratica e un po’ volgare, meschina ma generosa, che per Rose incarna quella realtà provinciale che vorrebbe tanto abbandonare.

I dieci capitoli raccontano dieci momenti della vita di Rose nella sua costante ricerca di una via di fuga da una realtà che le sta stretta e che prova a lasciarsi alle spalle.

Dalla successione dei capitoli (che comunque sono organizzati in ordine cronologico), emerge il conflitto tra il desiderio di fuga e la necessità di restare legata alle proprie radici, al proprio paese e, in un certo qual senso, a quella madre tanto ingombrante quanto assente.

Seguiremo la vita di Rose dalla sua infanzia con un padre chiuso che sa risolvere i conflitti soltanto a cinghiate; la vedremo adolescente in viaggio a Toronto vittima (ma anche complice) di una iniziazione sessuale ad opera di un ministro di culto; è la giovane innamorata di un dottorando di storia della stessa università che Rose frequenta grazie ad una borsa di studio; sarà la donna adulta coinvolta in una sordida relazione extraconiugale; diviene poi la madre apprensiva di una figlia che riconosce essere più saggia di lei; ed infine sarà la donna matura che ritorna nel luogo da cui tutto è cominciato per riallacciare il filo del rapporto con la madre ormai quasi sul punto di essere ricoverata in casa di riposo.

Non è mia consuetudine raccontare tutta la trama di un libro, e questa recensione, nonostante quello che possa sembrare, rispetta questo ideale. Infatti, nel corso delle storie molte saranno le sorprese che attendono il lettore.

Certo non è un libro facile anche perché le storie possono apparire (ad un lettore distratto) totalmente avulse le une dalle altre; ed invece il fil rouge è rappresentato proprio da Rose e da quella sua smania di fuggire da una realtà soffocante. Sarà però la solitudine che proverà nel corso di questa fuga, la benzina che la farà ritornare nel suo paesello a quella vita semplice e un po’ banale che tanto aveva odiato quando la vivevano i suoi genitori.

Non mentirò dicendo che il libro mi sia particolarmente piaciuto eppure, onestà intellettuale vuole che ammetta, che a questo libro non si può restare indifferenti.

Rimane nel ricordo come una canzone che si pianta nella testa e che si è obbligati a canticchiare. La storia è certamente minima eppure quando si finisce questa raccolta di racconti ci si accorge di essere più ricchi di quando si fosse prima di iniziare.

Libro consigliato ai lettori più “coraggiosi”.

La lingua perduta delle gru

La lingua perduta delle gru di David Leavitt – prima edizione 1986.

Dopo anni di percorrenza in oscuri sottoboschi umidi e pervasi di odori stantii, per caso mi imbatto, di nuovo in Leavitt… ed è di nuovo amore, come la prima volta.

Opera seconda dell’autore newyorkese autore di “Ballo di famiglia” con il quale ha fatto scalpore in America vincendo premi su premi.

Comincio col dire che non intendo spiegare il perchè del titolo. Lo troverete chiaramente spiegato circa a metà del libro.

Appartamento di new york, una normale famiglia americana vive la propria vita serenamente. I suoi componenti Rose, la madre, scova talenti letterari per una casa editrice; Owen, il padre, è sovrintendente all’ammissione degli studenti in una scuola privata di un certo prestigio; Philip, il figlio, venticinquenne che vive da solo e che causerà, con la rivelazione della propria omosessualità, una “esplosione controllata” della sua famiglia.

Proprio una esplosione controllata perchè anche Owen è gay senza aver mai avuto la voglia o la forza di uscire dal guscio; proprio il coraggio del figlio lo indurrà a confessare la propria condizione e a viverla finalmente alla luce del sole e non nell’oscuro fumoso di un cinema porno dove si reca tutte le domeniche pomeriggio.

La rivelazione onesta e diretta del figlio rende insostenibile per il padre, il mantenimento del proprio segreto; anzi quasi ne stimola una educazione sentimentale per la quale il padre prende a modello il figlio.

In mezzo a questi due modi diversi di vivere la diversità sessuale, sta Rose che viene travolta da questa doppia rivelazione (ma siamo sicuri che almeno del marito non avesse sospetti?); una donna forte, che ha sempre saputo come affrontare le difficoltà e che si trova presa in mezzo tra l’amore che prova per il marito e il figlio e la propria piccolezza mentale che le rende impossibile accettare la loro diversità. Eppure lei stessa non è certo un modello di virtù, visto che ha tradito più volte il proprio marito.

Ovviamente, come ogni buon libro, molti altri sono gli eventi e i personaggi che ruotano attorno alle vite dei tre protagonisti. E’ come se ogni protagonista fosse un fiume solitario che percorre il proprio cammino, svolge le proprie riflessioni, impara le proprie lezioni senza preoccuparsi di quanto accade agli altri due; mentre invece così non è.

Ora dovrei addentrarmi nel racconto dei personaggi ma Leavitt è un maestro nella capacità di raccontare intere personalità in poche parole. Se fosse un pittore, potremmo dire che con poche pennellate rappresenta la totalità del personaggio.

Leavitt ha questa grande caratteristiche di riuscire a far vivere i propri personaggi con grande chiarezza pur lasciando l’immaginazione del lettore libera di inventare le persone come meglio credono.

Indubbiamente il buon David ama la città di New York. E’ straordinario, infatti, quanto riesca a raccontarla in ogni più piccola sfumatura; il lettore si sente tele-trasportato nelle strade della città, vede la città illuminata dalla finestra dell’appartamento, sente il rumore dei taxi che la percorrono senza interruzione; respira gli odori dei vari quartieri che i protagonisti visitano nel loro vivere quotidiano.

Bellissimo libro di un bravissimo scrittore che, negli anni 80 rompeva gli schemi della letteratura con storie minime raccontate “da una certa distanza” infatti per tutto il romanzo si ha la sensazione di vedere gli accadimenti come se ci si trovasse su una balconata ad un paio di metri degli eventi.

Libro consigliatissimo.