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Steve Jobs

Steve Jobs di Walter Isaacson edito da Mondadori – prima edizione 2011.

In questo libro l’autore si diverte ad intervistare il genio dell’informatica Steve Jobs oltre quaranta volte in due anni; ci sono anche circa cento interviste ad amici, rivali, familiari e colleghi. Grazie a tutti questi colloqui Isaacson racconta l’avvincente storia dell’imprenditore la cui perfezione e carisma hanno modificato il modo di vivere di ognuno di noi rivoluzionando i settori dei computer, del cinema d’animazione, della musica e telefonia, tablet ed editoria elettronica.

Jobs ha collaborato in prima persona alla stesura del libro ma non ha imposto alcun vincolo al testo, non ha preteso di leggerlo prima della pubblicazione e ha addirittura incoraggiato i propri conoscenti, familiari e rivali a raccontare onestamente tutta la verità. Egli stesso, quando era interrogato, parlava candidamente, e a volta brutalmente di qualsiasi cosa gli venisse chiesta.

Ne esce un ritratto forte e divertente dove si vedono chiaramente le passioni, il perfezionismo, la magia e l’ossessione per il controllo che caratterizzano tutta la vita del genio di Cupertino.

C’è un che di romantico in questa biografia perchè viene raccontata la sua infanzia di bambino abbandonato dai genitori naturali ed amato dai genitori adottivi, ci sono i grandi sogni di un ragazzo moderno che ha a disposizione tutto il mondo per provare a realizzarli.

Non vengono nascosti nemmeno le esperienze di Steve con le droghe ma anche con tutto quello che il mondo ha prodotto di buono e di cattivo.

E’ stato molto interessante addentrarsi nei pensieri di Steve Jobs e capire come la sua genialità gli abbia permesso di fondare la Apple, rivoluzionare le telecomunicazioni e i computer. Ho trovato estremamente interessante vedere come il più grande “rivoluzionario” del nostro tempo avesse una paura recondita di ciò che non poteva gestire e di come reagisse creando una realtà parallela nella quale si rifugiava quando il mondo non andava come lui voleva.

Jobs si è sempre fatto guidare dalla sua ispirazione ed è stata proprio questa che ha reso speciale ogni suo gesto. La decisione di lasciare l’università, il suo andare al lavoro in sandali, le sue convinzioni new-age, la sua adesioni alle filosofie orientali che ha seguito per tutta la vita e che lo hanno portato a visitare l’India alla ricerca di guru e santoni sono soltanto alcune delle facce che vengono raccontate in questo libro.

Vengono poi esplorati i rapporti umani, il suo assoluto bisogno di controllare ogni cosa, gli scontri con il colosso Bill Gates con il quale affronta una dura battaglia per il controllo di un mondo che, forse, è troppo piccolo per contenerli entrambi.

Mi ha straordinariamente colpito notare come un uomo che è stato abbandonato commetta a sua volta lo stesso errore, e per anni non abbia rapporti con la prima figlia per poi rendersi conto di aver commesso un grave errore e provare quindi a costruire un rapporto con lei.

Non ci sono solo le cose belle ma anche le sue paure, i suoi demoni, il tumore che se l’è portato via.

In questa biografia si possono trovare i sogni, le paure, la vita di un uomo; le sue parole e i suoi pensieri e una malinconia che nasce dalla consapevolezza che gli umani hanno limiti che sono insuperabili. Molto interessante è scoprire la scala di valori che Jobs applica per tutta la sua vita; un’idea, un progetto, una innovazione erano per Jobs o una cosa meravigliosa o una m..da; non c’erano vie di mezzo.

La vita di questo uomo è tutta un’avventura o per meglio dire una guerra, che bisogna avere il coraggio di combattere ogni giorno senza alcuna paura di venire sconfitti. Questo è anche l’atteggiamento che Jobs tiene nei confronti del tumore. Lo combatte con ogni mezzo e poco importa che alla fine sia il tumore a vincere, perchè con la sua vita e con il suo esempio, Jobs ci insegna che per realizzare i propri sogni bisogna avere il coraggio di fare scelte folli.

Insomma è un po’ come guardare le innumerevoli facce di un diamante; ognuna di esse svela un particolare magnifico o una imperfezione, un piccolo miracolo o una infinita tristezza.

Dalla lettura di questa biografia si esce diversi da come si è entrati; più forti, forse migliori sicuramente più convinti che volendo si può fare quasi tutto.

Libro consigliato.

L’ultimo appello

L’ultimo appello di Franco Piccinelli – Editrice Il Punto – Prima edizione 1998.

Battista è un contadino, che è stato soldato e prigioniero di guerra, che sarà sindaco, che è padre, che ha amato sua moglie, che ha lavorato la sua terra e che capirà solo alla fine cosa sia stata la sua vita.

Questa storia, è nient’altro che la sua storia. Una storia fatta di sofferenze, di poche felicità, di duro lavoro nella speranza di dare ai propri figli un destino diverso dal proprio. L’io narrante è ovviamente il protagonista, Battista, che ricordando gli avvenimenti della propria vita, ce li racconta.

Il romanzo prende le mosse dal giorno in cui Battista torna dalla prigionia; gli viene tributato l’onore di una festa (modesta come si conviene ai contadini); la sua vita inizia a procedere con monotonia, la terra da far fruttare, il matrimonio da far crescere, i figli per cui bisogna costruire il futuro, i vicini da aiutare.

Il libro continua con il racconto affettuoso dei rapporti interpersonali che Battista allaccia quando accetta di fare il sindaco del proprio paese; le difficoltà che deve affrontare per cercare di migliorare la vita del piccolo borgo; l’insperata collaborazione del Notaio (che rappresenta la minoranza del consiglio comunale) che l’aiuta a realizzare molti progetti utili al paese.

In questo libello c’è anche il tempo per una piccola disavventura giudiziaria che coinvolge il povero Battista segregandolo nelle patrie galere per qualche tempo.

Non ci sono grandi sorprese (anche se un paio di colpi di scena sono effettivamente presenti, ma ovviamente non li racconto).Non c’è molto altro in questo libro. Anche se in realtà dentro di esso ci sono molte vite ma soprattutto quella di Battista, la sua storia, la sua cultura contadina, la sua forza d’animo, le sue speranze e le sue paure. Le vittorie e le sconfitte di tutta un’esistenza insomma.

Indubbiamente è un libro che prende, che non si lascia abbandonare. Un libro che si insinua dolcemente nei meandri della mente incuriosendo il lettore, attraendolo, carezzandolo con una scrittura dolce, antica, quasi fiabesca. In alcuni passaggi, la scrittura di Piccinelli, assomiglia ai racconti dei nonni, raccontati con la stessa cadenza, con lo stesso calore, con quella dolcezza che ammalia il cuore e rapisce i sensi.

Piccinelli sa come utilizzare la lingua italiana per stimolare immagini e sensazioni eppure il suo libro, una volta terminato, non lascia quella sensazione di tristezza per la fine di una avventura che non potrà mai proseguire in un altro libro.

Libro non consigliato.

Solar

Solar di Ian McEwan edito da Einaudi – prima edizione 2010.

Oh Dio,… che dire di questa opera? Non lo so!

Proviamo a raccontare un po’ cosa succede nel libro e vediamo cosa viene fuori.

Michael Beard è il protagonista di questa storia. E’ un uomo basso, grasso, inverosimilmente seduttore, fedifrago patentato e marito seriale, infatti è al quinto matrimonio.

Michael ha cinquant’anni ma è già uno svogliato e dispotico burocrate della scienza. In gioventù vinse il premio Nobel per la Fisica ma da allora la genialità, così come la gioventù, lo ha abbandonato.

Ormai la sua vita è un almanacco dei sette peccati capitali con una certa predisposizione per la gola e la lussuria ma, mentre la parabola della sua esistenza sembra condurlo inesorabilmente verso la decadenza, l’incontro con un giovane ricercatore del Centro nazionale per le energie rinnovabili che dirige, tale Tom Aldous, risveglierà la sua curiosità e la sua voglia di riprendere le ricerche.

Agli occhi di Michael il giovane Tom appare brillante ma ingenuo nella sua aspirazione ecologica. Ma ad una analisi più attenta il progetto di Tom rivela di non essere così campato per aria visto che si ripropone di risolvere una volta per tutte i problemi energetici del pianeta, basandosi su una nuova ricerca dell’energia solare.

L’incontro tra l’attempato Michael e il giovane Tom (che, per la cronaca venera il maestro) genererà sviluppi inaspettati soprattutto quanto la vita privata e ambiente di lavoro si legheranno indissolubilmente!

Qua ci fermiamo per quello che riguarda il riassunto del libro.

Sul quarto di copertina possiamo leggere “Pochi altri autori riescono come McEwan a far appassionare il lettore ai destini di personaggi quantomeno discutibili, <eroi> che attraggono in maniera proporzionale al disgusto che suscitano”; e qua cominciano i problemi.

Onestamente, il personaggio di Michael Beard non ha alcun fascino per me. E’ solo un porco, egoista, sfruttatore, borioso che vive del riflesso di una scoperta scientifica ormai vetusta, senza aver dato nessun nuovo contributo alla scienza negli ultimi anni.

Ha una vita matrimoniale miserrima (anche se passa da un matrimonio all’altro); non ha amici (anche se si circonda di “lecca….), è ricco ma non è in grado di utilizzare le ricchezze per godersi la vita, ma soprattutto sembra essere un uomo che non ha mai vissuto l’età adulta passando dall’adolescenza alla vecchiaia; insomma un uomo che è invecchiato senza maturare.

Vediamo Michael passare da un letto ad un altro, da una avventura scientifica ad un’altra, da un viaggio all’altro senza mai provare alcuna emozione, alcuna sensazione, alcun amore. Anche il viaggio al Polo non stimola nel protagonista alcuna reazione, alcun sentimento.

E’ un personaggio scialbo, sciatto, che comunica un’idea di sporcizia (prova ne sia lo stato del suo appartamento di Londra, così come lo descrive lui stesso).

La storia parte da un prologo originale. L’idea di una nuova scoperta scientifica che potrebbe rivoluzionare il mondo è un terreno molto fertile su cui potrebbe svilupparsi un intreccio interessante; ma di tutto questo nel libro non c’è traccia; infatti ogni tanto nel corso del libro si intravede un breve dialogo sul nuovo studio che sta portando avanti Michael ma, immediatamente, questo filone viene abbandonato.

Insomma è quasi un libro sul pettegolezzo. Sembra che McEwan sia più interessato alla vita privata del protagonista che non allo studio o alla realizzazione della nuova tecnologia energetica.

Avrei certamente preferito un maggiore sviluppo del lato scientifico piuttosto che quello frivolo. Una maggiore analisi (o fantasia se vogliamo) riguardo alla nuova tecnologia solare piuttosto che leggere dei continui inutili viaggi che il protagonista fa da una parte all’altra del mondo senza alcun costrutto né professionale né personale.

Libro banale. Se proprio amate McEwan potete anche leggerlo ma senza aspettarvi troppo. Rimarreste delusi.

Il gioco degli specchi

Il gioco degli specchi di Andrea Camilleri edito da Sellerio Editore – prima edizione 2011.

Un’altra volta Camilleri chiama, e Montalbano risponde presente. Una nuova, grande avventura della coppia scrittore/personaggio.

Mentre mi accingevo all’inizio della lettura di questa ennesima fatica camilleriana ero titubante e dubbioso, memore della delusione provata con l’ultimo suo scritto (si veda a riprova il post su “L’intermittenza” ndr.), e invece fin dalle prime pagine ho dovuto ricredermi perchè, in questo libro, il “dinamico duo” Camilleri – Montalbano ritrova l’antica verve e ci catapulta in un’avventura fresca come una cascata di montagna e avvolgente come una coperta di lana.

Ritroviamo tutto come lo abbiamo lasciato l’ultima volta: Vigata, Marinella, il commissariato con i suoi personaggi, lo stesso Montalbano… eppure tutto è diverso da come era l’ultima volta. Il commissario percepisce che qualcosa è cambiato ma non riesce a capire quale sia il cambiamento.

Montalbano prova la sensazione di essere entrato nel padiglione degli specchi di un Luna-Park. Il prodigio degli specchi altera lo spazio visibile. Crea nuove e precarie geometrie, dentro le quali i personaggi si moltiplicano, entrano ed escono, senza che se ne capisca la direzione; senza che possano essere sicuramente collocati, davanti o dietro, a destra o a sinistra; e in questo labirinto di riflessi e sensazioni si muove il commissario che, una volta tanto, oltre a guardare gli altri è costretto a guardare anche se stesso (e quello che vede non gli piace poi tanto).

La trama è abbastanza lineare; Montalbano conosce una donna che sembra tante cose ma che forse è solo un’ottima attrice, e la lascia entrare nel giro della sua vita; Liliana, questo è il nome della donna, è un mistero avvolto in un arcano avvolto in enigma. E’ sposata eppure il marito non è mai in circolazione; davanti al villino dove vive compare una macchina che sembra non essere di nessuno, non tenta di celare l’attrazione che prova per Montalbano, non ha il pudore di tentare di nascondere questo sentimento nemmeno quando si trovano in mezzo alle persone del paese, anzi sembra voler a tutti i costi attirare l’attenzione.

In un deposito qualcuno ha messo una bomba. Sembra una storia di pizzo non pagato, ma il magazzino è vuoto da tempo. Le indagini si indirizzano verso gli abitanti del condominio accanto al magazzino, dove si scopre vivono alcuni pregiudicati e la famiglia di un uomo affiliato ad un clan in odore di mafia, attualmente ospitato nelle patrie galere.

Vengono fatte ritrovare alcune lettere anonime che indirizzano verso piste improbabili; si trova un proiettile nella carrozzeria dell’auto del commissario, si trovano due cadaveri… insomma ci sono tutti gli elementi perchè il dubbio si insinui come un odore acre e penetrante tra le pagine del libro, avvincendo il lettore e sfidandolo alla soluzione del caso.

Montalbano sembra divagare, si perde nei mille rivoli di questa inchiesta anomala, il suo cervello spesso è concentrato più sulle forme di Liliana che non sulla risoluzione dell’indagine; eppure, nonostante tutte queste distrazioni il commissario, ancora una volta, ha il guizzo giusto, l’illuminazione improvvisa che gli permette di risolvere l’enigma con maestria e con un po’ di azzardo.

Scorre come un film questo ultimo lavoro di Camilleri; tra inquadrature insolite alternate a piani-sequenza vertiginosi che poi diventano avanzamenti lentissimi.

Forse proprio per lo stile cinematografico scelto dall’autore, il libro scorre rapido sotto lo sguardo vigile dei suoi personaggi che sono raccontati dalla abile penna di un grande scrittore. Ritroviamo tutti gli “attori” storici di Montalbano; da Fazio ad Augello, da Adelina al mitico Catarella che, forse per la prima volta, ha il suo momento di gloria.

Libro ovviamente consigliato.

 

La mappa del destino

La mappa del destino di Glenn Cooper edito da Editrice Nord – prima edizione 2011

Questo libro non funziona, o forse non funziona per me. Ho già letto altri due libri di Cooper, “La biblioteca dei morti” e “Il libro delle anime”, e ricordo che non mi avevano particolarmente affascinato. Questo terzo libro “La mappa del destino” è la conferma in peggio di quelle sensazioni che avevo avuto nel corso della lettura degli altri libri.

Come i due precedenti è un libro che non conquista la mia attenzione, la mia curiosità.

Il libro va in tante direzioni senza, realmente prediligerne una. Teoricamente il libro dovrebbe raccontare di una grande scoperta, il ritrovamento di una caverna abitata da uomini primitivi, con pitture rupestri alle pareti, ma nel prosieguo del libro si intrecceranno altre storie;

Ci sono delle particolarità in questa caverna; Non vengono rappresentati, come al solito, soltanto gli animali o scene propiziatrici della caccia, ma anche delle piante, nello specifico tre piante; questa cosa è particolarmente strana e il protagonista del libro che è un paleontologo francese molto famoso.

Nel dipanarsi degli eventi, il protagonista dovrà affrontare parecchie difficoltà e scoprire che le tre piante rappresentate sui muri della caverna sono gli ingredienti di una mistura “magica”, che ha poteri molto particolari.

Parallelamente a questa prima storia, l’autore ne racconta altre due; una è appunto il racconto della vita dei primitivi che abitavano la valle ove si trova la caverna e di come abbiano realizzato le pitture per raccontare la loro vita. Questo racconto ci permette di studiare le reali condizioni di questo gruppo, le loro meccaniche sociali e la loro storia.

Il terzo filone che troviamo è quello della vita di San Bernardo da Chiaravalle che viene tirato in ballo in quanto la grotta contenente i dipinti, viene reperita nelle vicinanze di un monastero dove, dopo un incendio,i frati trovano un manoscritto in cui si racconta della grotta e delle piante in essa rappresentate.

Nel corso del libro l’autore riesca a portare avanti parallelamente i tre racconti fino poi a congiungerle sul finale.

La storia non è nemmeno brutta, potrebbe anche essere un qualcosa di valido ma, forse lo stile di scrittura di Cooper, forse il fatto che per i primi capitoli il racconto del libro sia assolutamente slegato, fa si che non abbia conquistato il mio desiderio di continuare la lettura. L’ho portato a termine perchè, in fondo, è un libro anche relativamente piccolo. E’ un libro che, una volta terminato non lascia assolutamente nessun tipo di impressione.

I personaggi sono poco caratterizzati, poco raccontati, poco dipinti; forse solo il personaggio principale, tale Luc Simard è sufficientemente raccontato dall’autore.

Essendo scritto come un giallo non posso rivelare troppo di quello che c’è nel libro. Certamente forse se questa storia l’avesse raccontata un Simenon, un Camilleri, un Agatha Christie o forse solo un Wilburs Smith sarebbe stato un grandissimo successo; purtroppo lo stile di scrittura di Cooper pregiudica lo splendore che si poteva mettere in questo libro.

Non c’è molto altro da dire. L’ho trovato un libro banale che non lascia nulla nei ricordi del lettore e probabilmente sarà l’ultimo libro di Cooper che leggerò visto che nemmeno gli altri due mi erano particolarmente piaciuti.

Libro non consigliato.

Inheritance

Inheritance di Christopher Paolini edito da Rizzoli – prima edizione 2011.

Come dice il quarto di copertina “Tutto è iniziato con Eragon… tutto finisce con Inheritance”.

E’ stata una attesa molto lunga quella che abbiamo dovuto sopportare noi amanti di Paolini prima che uscisse questo ultimo lavoro che chiude il ciclo dell’Eredità, però la nostra attesa non è stata vana. Ancora una volta Paolini ha dimostrato di essere un abile scrittore, capace di tenerci sulle spine, capace di darci delle emozioni che non si sono esaurite con l’esaurirsi dell’ultimo rigo, capace di raccontarci i personaggi talmente approfonditamente da farceli amare o odiare come se fossero reali.

La tetralogia del ciclo dell’Eredità è composta da “Eragon, Eldest, Brisingr e ora Inheritance”. Nella quadrilogia viene raccontata la storia di Eragon, del popolo dei Varden, degli Elfi, dei Nani, degli Urgali… insomma di un sacco di personaggi ma, a mio modestissimo parere, i veri protagonisti di tutta questa meravigliosa saga fantasy sono i draghi.

Ebbene sì, la cosa che più ha colpito la mia immaginazione in questo ultimo libro, così come nei precedenti, è la straordinaria vita immaginata da Paolini per questi enormi animali.

Come posso spiegare la mia meraviglia davanti a questi colossi grandi come palazzi che però hanno la capacità di volare, ma soprattutto che hanno un cuore talmente ricco di amore da poter continuare a vivere anche dopo che il corpo è morto, attraverso il “cuore dei cuori”?

Tanto per cercare di mettere un po’ di ordine in questo mio scritto comincerò con un breve riassunto di questo ultimo capitolo, cercando di non raccontare troppe cose, al fine di non togliere a nessuno la suspance di scoprire come va a finire.

Dunque, alla fine di Brisingr, Eragon e i Varden hanno conquistato Feinster; Eragon è entrato possesso di Brisingr – la nuova spada costruita apposta per lui con l’acciaioluce trovato sotto l’albero di Menoa; però durante la battaglia Galbatorix ha ucciso il mentore di Eragon, Oromis.

Ora all’inizio della nuova avventura la marcia di Eragon e dei Varden sembra inarrestabile; marciano nel cuore dell’impero verso la capitale, dove Galbatorix siede sul trono, tronfio e sicuro di sé.

Durante la marcia di avvicinamento alla capitale i Varden dovranno combattere svariate battaglie per poter rendere sicuro il loro viaggio. E’ bello vedere come le difficoltà che si presentano vengano risolte con la forza o con l’astuzia e con quella dose di giusta incoscienza che spesso spinge l’uomo a conquistare vette che sembravano irraggiungibili.

Questa ultima, epica, battaglia si combatterà nonostante i Varden siano stanchi, decimati e con le risorse quasi esaurite e, forse, proprio la coscienza di sapere di non avere alcuna via di fuga mette nelle loro braccia e nelle loro armi quella volontà che nasce dalla certezza di non avere nulla da perdere.

Insomma, i Varden avanzano e, inspiegabilmente Galbatorix non cerca in alcun modo di fermare la loro avanzata. Ci si aspetterebbe che, il tiranno, provi a fare delle incursioni o che dissemini lungo il cammino trappole e contingenti di soldati talmente numerosi da esaurire le forze arrembanti; e invece niente. Certo, i Varden trovano nelle città fortificate che devono conquistare degli strenui oppositori che fanno del loro meglio per opporsi, ma a poco giova la loro difesa e soprattutto sono relativamente pochi i danni che gli uomini di Galbatorix riescono ad infliggere ai Varden.

E finalmente si arriva alla battaglia finale!… che non vi racconto ovviamente.

Ripeto quanto già scritto sopra; è un grande libro che conclude degnamente una saga che ha affascinato milioni di lettori in tutto il mondo. I richiami alla saga de “Il signore degli anelli” sono molti ed evidenti; eppure nel ciclo dell’Eredità c’è altro. C’è il grande amore che lega i cavalieri e i draghi, ci sono i rapporti tra nani, uomini, elfi, cavalieri, urgali e draghi che finalmente sono tutti sullo stesso livello; c’è un ragazzino che si trova, suo malgrado, ad essere un Cavaliere di Draghi prima, e poi a dover guidare un esercito formato da tanti “mondi diversi”, in quella battaglia utopica che molti hanno sognato ma che solo pochi coraggiosi hanno avuto la forza di desiderare fino alla realizzazione.

Piccola nota per i lettori. Il libro è oggettivamente un grosso tomo (siamo intorno alle 850 pagine); le prime 150 sono un po’ pesanti da leggere ma non vi scoraggiate. Abbiate fede e vedrete che, ancora una volta Eragon, Roran Fortemartello, Nasuada, Islazandi, Saphira, Murtagh e tutti gli altri splendidi attori di questo racconto, allieteranno le vostre ore di lettura e si congederanno da voi lasciandovi nel cuore un misto di soddisfazione ma anche di tristezza per la fine di una grande amicizia.

Ho detto tutto quello che bisognava dire. Il resto è silenzio”.

Libro molto consigliato.

 

Le piccole memorie

Le piccole memorie di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 2006

Se ci fosse un sottotitolo a questo libro reciterebbe “Sì, le memorie di quando ero piccolo, semplicemente”; in queste 8 parole è riassunto tutto il libro.

Ancora una volta Saramago non tradisce le aspettative riuscendo a fare qualcosa di nuovo, di strano perchè, mentre in altri suoi scritti dimentica volutamente nomi e località, in questo libello i nomi e le località sono preziosi, o forse sarebbe meglio dire fondamentali perchè la storia in sé e per sé non c’è essendo un libro che racconta i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza del giovane José.

Ecco quindi che vediamo il giovane Saramago percorrere le strade polverose di Azinhaga prima, avventurarsi nelle strade di Lisbona dopo, descriverci le case dove ha vissuto e tutte quelle che ha dovuto cambiare per seguire gli spostamenti dovuti alla professione di suo padre. Lo vediamo nelle relazioni sociali con i compagni di scuola e gli amici, ma anche quelle che intrattiene con parenti e vicini di casa.

E’ straordinaria la capacità di Saramago di trovare nuovi argomenti e nuovi stili di scrittura pur rimanendo sempre fedele al suo “marchio di fabbrica”. In queste “piccole memorie” affronta il racconto della sua infanzia e della sua adolescenza raccontandoci se stesso, raccontandoci i suoi sentimenti e utilizzando le persone e i luoghi della sua gioventù come se fossero gli scrigni che li contengono.

Ad una lettura poco attenta potrebbe sembrare abbastanza simile all’altro suo libro “Una terra chiamata Alentejo” ma, tra questi due libri vi è una differenza abissale; mentre ne “Le Piccole memorie” il punto focale sono le esperienze del giovane José in “Una terra chiamata Alentejo” è la natura, il paesaggio ad essere il vero protagonista.

Potremmo quasi dire, azzardando, che con questi due scritti, Saramago ci ha dischiuso due facce della sua anima. Quella avventurosa con il viaggio e quella romantica con le memorie.

Straordinariamente bello e romantico, per esempio, è il racconto in cui Saramago ci descrive la cassapanca della casa di Azinhaga nella quale venivano custodite le fave. La paura per la polvere delle fave secche che irritava la pelle del giovane José e che gli faceva venire le pustole; il desiderio però di aprire comunque quella cassapanca e la scoperta che incollata al soffitto del coperchio c’erano dei fogli di giornale (che la famiglia non poteva permettersi di acquistare) e il piacere di imparare a leggere proprio su quelle pagine di giornale in mezzo alla polvere tanto pericolosa.

In queste 120 pagine c’è davvero tutto Saramago “in nuce”. C’è l’amore per le piccole cose, i paesaggi così sapientemente descritti, gli amori travolgenti, le relazioni complicate, gli uomini e le donne che poi diventeranno i protagonisti delle sue storie, i genitori e gli affetti più cari, i vicini di casa, le rane colpite con grande abilità, con la frombola e i pesci che invece non abboccavano mai.

Insomma sembra quasi che questo libro sia una “summa” di tutto quello che abbiamo letto prima di questo grande scrittore; come se l’autore si fosse travestito da mago (in fondo il mago è presente nel suo stesso cognome) e, al termine dello spettacolo, mostrasse senza ritegno e con grande orgoglio, da dove ha tratto l’ispirazione per tutti i “trucchi” che ha utilizzato nel suo spettacolo; quasi un testamento ante mortem.

Libro consigliato!

L’intermittenza

L’intermittenza di Andrea Camilleri edito da Mondadori – prima edizione 2010.

“Migliaia di lavoratori a rischio. Manager spregiudicati. Due donne bellissime. Un thriller spietato, veloce come un battito di ciglia.” questo è l’inizio di una recensione che ho trovato on line relativamente a questo libro.

Mi spiace dover dire che di tutto questo io, nel libro, non ho trovato assolutamente nulla.

La storia è semplice. Ci sono due aziende e una deve acquistare l’altra; entrambe le dirigenze delle due aziende fanno le cose peggiori per raggiungere il loro obiettivo. L’azione si svolge all’interno del mondo dei loschi affari, di quell’imprenditoria spietata e senza scrupoli.

Tra gli attori di questa storia troviamo il patriarca-presidente di una grande industria, la Manuelli; suo figlio Beppo, una nullità totale che ricopre indegnamente la carica di vice Direttore generale; il Direttore del Personale, Guido Marsili: un rullo compressore, senza ripensamenti, senza scrupoli, freddo e implacabile, ma con una segreta passione per la poesia e il Direttore generale Mauro De Blasi, un manager importante che tiene tutto sotto controllo ma che ben presto inizierà a soffrire di “intermittenze” che nel corso del racconto lo frastorneranno lasciandolo via via più inerme.

La crisi nazionale aleggia sul Paese e la Manuelli fagocita l’azienda Artenia di Birolli sull’orlo del fallimento; il pesce grosso che divora quello più piccolo. Tagli del personale, cassa integrazione galoppante e trattative con il politico di turno tracciano un quadro economico e finanziario molto simile alla realtà odierna. A contorno di tutto questo bailamme abbiamo una serie di tradimenti e rapporti interpersonali e sessuali falsi e banali. Non c’è molto altro da aggiungere in questa sinossi.

I personaggi maschili sono tagliati con l’accetta, di sordido profilo, sempre pronti a captare l’affare losco e a mantenere il potere senza cedimenti.

Le figure femminili assumono connotati propri dell’ambiente in cui vivono, Marisa, la bella moglie di De Blasi, ricca ed annoiata è incline ai tradimenti; Anna, la segretaria di Mauro, la cui vita pubblica sicura e motivata contrasta con la privacy deserta e vuota, facile agli abbagli amorosi; la bella nipote di Birolli, Licia, consulente del capo di un grande gruppo industriale, Luigi Ravazzi, si occupa di economia con grande disinvoltura.

In questo romanzo Camilleri tenta di assumere il ruolo di evocatore dei destini italici, senza però essere coronato dal successo. In una prosa minimalista e stitica prova a far muovere i suoi attori astraendoli dal contesto e privandoli di quelle personalità composite che arricchiscono quasi tutti i personaggi di Camilleri. Il risultato è una serie di figure senza spessore che si muovono a scatti (come bambole meccaniche) su di uno sfondo piatto e grigio.

La mancanza assoluta di personaggi a tutto tondo, e la trama che forse non si adatta allo stile narrativo che l’autore prova ad utilizzare, generano un romanzo slegato, banale e di difficile lettura al punto che, per riconoscere i personaggi è necessario ricorrere all’elenco pubblicato nelle prime pagine. La fortuna è che il racconto sia talmente breve che la curiosa trama solletica nel lettore il desiderio di giungere ad un finale banale.

Ha ancora fatto centro Camilleri? A mio modestissimo parere e da fans della prima ora, rispondere di no è dolorosamente necessario.

Libro NON consigliato

Al limite della notte

Al limite della notte di Michael Cunningham edito da Bompiani – prima edizione 2010.

Nella New York di oggi, il protagonista di questo racconto Peter, quarantenne, mercante d’arte a Manhattan, crede di essere un uomo realizzato. Ha un bel lavoro, che a breve dovrebbe dargli delle nuove opportunità, un bell’appartamento, una moglie ancora affascinante e una figlia ormai al college.

Peter crede di avere tutto eppure scoprirà che qualcosa manca. Si renderà conto che alla sua vita mancano il senso di movimento, l’aspirazione a qualcosa di superiore, la tensione del rischio e il senso del pericolo.

Tutto questo entrerà, improvvisamente, nella vita di Peter con l’arrivo di Ethan, il fratello minore di sua moglie Rebecca. Peter all’inizio non comprende l’enormità di quello che sta accadendo, infatti canzona Ethan con un nomignolo (lo chiama Erry diminutivo di Errore in quanto non era una gravidanza attesa); lo giudica per la dipendenza da sostanze stupefacenti che ha avuto nel suo passato e, quando è costretto ad ospitarlo, si augura che se ne vada prima possibile.

Ethan è alla ricerca della sua realizzazione professionale e, in questa sua esplorazione pensa di essere portato per “fare qualcosa nel mondo dell’arte” e, per questo, si affianca a Peter per provare ad entrare nel mercato dell’arte.

“Obtorto collo” Peter cerca di aiutarlo contestualmente all’organizzazione della mostra di un’artista emergente e mentre cerca di vendere un pezzo (obiettivamente orrendo) ad una sua affezionata cliente.

Per portare a termine la vendita è costretto ad andare ad assistere al posizionamento dell’opera d’arte nel giardino della cliente e con sé porta Ethan per insegnargli alcuni trucchi del suo lavoro; proprio sulla riva del lago che costeggia la proprietà succederà qualcosa che distruggerà le granitiche certezze di Peter.

Da questo momento il sassolino del dubbio inizierà a rotolare per la china della vita di Peter diventando sempre più una valanga inarrestabile; senza le sue certezze Peter entrerà in una crisi profonda, dalla quale proverà ad uscire tentando prima di fuggire nella propria fantasia e poi pensando di mollare tutta la sua vita (lavoro, moglie, figlia ecc ecc) e di iniziare una nuova esistenza completamente diversa dalla precedente.

Terminata la sinossi del libro, (ridotta al minimo indispensabile per non togliere il gusto della lettura, a chi vorrà avventurarsi nel mondo dalle ambientazioni tenui descritte da Cunningham), esaminiamo i personaggi che sono rappresentati con descrizioni minime ma estremamente caratterizzanti, che permettono al lettore di completare le informazioni con la propria immaginazione e quindi di “vestire” ogni personaggio delle qualità che preferisce.

 

L’unico personaggio che, fin dal principio del libro, mi è stato sinceramente antipatico è Rebecca (la moglie di Peter); la trovo una donna fredda e scostante, che male si accoppia all’immagine mentale che mi sono formato di Peter, che immagino essere un quarantenne affascinante, stretto in una vita un po’ triste e monotona, annegato in una città fascinosa e luccicante come un collier di diamanti.

Cunningham (Premio Pulitzer per Le Ore) crea un romanzo seducente e sensuale, dalla scrittura densa e coinvolgente che conduce il lettore sulle tracce di una bellezza che tutto può salvare e tutto può distruggere.

 

Libro consigliato.

 

Il principe della nebbia

Il principe della nebbia di Carlos Ruiz Zafon edito da SEI Frontiere – prima edizione 1993.

“Il principe della nebbia” insieme a “Il palazzo della Mezzanotte”, “Le luci di Settembre” e “Marina” sono quattro romanzi giovanili pubblicati da Zafon prima del grande successo ottenuto con “L’ombra del vento”. Proprio perchè opere giovanili sono ritenute adatte ad un pubblico più giovane (infatti in Spagna sono state editate da una casa editrice specializzata in letteratura per giovani), ma ritengo che non siano poi così inadatte ad intrattenere un pubblico più adulto.

Il protagonista, Max Carver è un adolescente che si trasferisce, insieme alla sua famiglia, in uno strano paese sulle rive dell’Atlantico per sfuggire alla guerra. Arrivando alla stazione con il treno, Max capisce inconsapevolmente che nel triste splendore del paese qualcosa non quadra. Ha una sensazione sgradevole lungo la spina dorsale ma essendo tanto inesperto non gli dà il giusto peso.

Una cosa però colpisce fortemente l’attenzione di Max Carver; il fatto che l’orologio della stazione vada all’indietro.

La famiglia Carver prende possesso di una vecchia casa vicino alla spiaggia. Si tratta della casa fatta costruire dal dottor Fleischman, un prestigioso chirurgo di Londra, e da sua moglie parecchi anni prima. Nella casa abitata dai Carver avvenne una morte accidentale. Ma sarà stata davvero accidentale?

Max avverte una presenza angosciosa che lo incuriosisce e lo stimola ad investigare fino ad imbattersi nel “Principe della nebbia”; una figura diabolica ed ipnotica: ora serpente marino, ora sinistro pagliaccio, ora impalpabile figura di nebbia che aleggia nei vicoli oscuri del paese.

Il giovane Max si troverà coinvolto in una avventura violenta e crudele che metterà a repentaglio la sua vita oltre a quella della sorella e del loro nuovo amico Roland.

Non volendo togliere la suspance a chi vorrà leggere questo romanzo non aggiungerò altro in merito alla trama.

E’ sicuramente un libro molto ben scritto; lo stile narrativo di Zafon è indubbiamente grande. Le scene in cui i vari personaggi sono in pericolo sono narrate talmente bene che si ha la sensazione fisica del pericolo. Solo un’altra volta, nella mia vita di lettore, ho provato questo tipo di paura leggendo un romanzo; si trattava di IT del grande Stephen King.

In questo romanzo tutti i personaggi sono dipinti con estrema accuratezza dall’autore attraverso rapidi cenni quasi fossero pennellate furibonde.

Scritto in maniera scorrevole, il libro si legge velocemente. Non è il classico romanzone a cui Zafon ci ha abituato con “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo”, però, ad una attenta analisi, il lettore può trovare “in fieri” molti degli argomenti, delle ambientazioni e delle suggestioni che l’autore spagnolo ha tanto bene sviluppato nei libri successivi.

Non è certo un capolavoro questo libello, ma indubbiamente mi ha fatto passare dei bei momenti con una storia intrigante e accuratamente raccontata dove, se proprio vogliamo trovare una pecca, i buoni sono troppo buoni ed i cattivi decisamente troppo cattivi.

Libro consigliato per una serata leggera.