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Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri di Markus Zusak edito da Frassinelli prima edizione 2005.

Questo è un romanzo atipico per varie ragioni; intanto è uno dei pochi libri in cui la seconda guerra mondiale ci viene raccontata dalla parte della Germania e non dalla parte degli ebrei o degli alleati; inoltre l’io-narrante è decisamente atipico (non scendo in particolari per non togliere la sorpresa al lettore).

La piccola Liesel Meminger sta viaggiando insieme alla mamma e al fratellino diretta al piccolo paese vicino Monaco dove vive la famiglia che ha adottati i due bimbi (ma questo loro non lo sanno). Inaspettatamente il fratello di Liesel muore durante il viaggio in treno e viene seppellito durante una sosta del viaggio.

Proprio questa sosta farà di Liesel la ladra di libri annunciata dal titolo infatti, durante l’interramento del cadavere del fratello, il caso aiuta Liesel a trovare un libretto nella neve. Senza pensarci troppo la giovane lo raccoglie e lo nasconde.

La bambina non sa leggere eppure l’attrazione di quel piccolo oggetto (che immagino nero e consunto) è troppo forte e che, per la bambina, diventa un tesoro inestimabile.

Giunta nella famiglia adottiva e dopo aver superato il trauma dell’abbandono da parte della madre, Liesel inizia la sua vita con la nuova famiglia. Il padre è un uomo buono che cerca in tutti i modi di mettere a suo agio la piccola, mentre la madre adottiva è una specie di arpia che la maltratta e la riempie di parolacce ma che si rivelerà, nel corso del romanzo, molto meno cattiva di quanto possa apparire.

E’ una vita dura quella che Liesel affronta fatta di consegne del bucato stirato dalla madre, poche gioie, scuola, amicizie nuove e giochi con in sottofondo il rumore sordo della guerra.

Grazie al padre adottivo Liesel inizia ad imparare a leggere e, il libricino che ha rubato diventa il loro libro di testo.

Questo appuntamento notturno si trasforma nel filo che legherà il rapporto tra la piccola e il padre. Proprio quando sembra che tutto si stia volgendo al meglio (guerra permettendo) ecco che entra in scena un nuovo personaggio; Max è un ebreo in fuga dai nazisti che cerca rifugio nella casa dei genitori di Liesel.

La storia acquisisce quindi una nota di tragica urgenza. Liesel sa che se i nazisti dovessero trovare Max nascosto nella loro casa per loro sarebbe la deportazione immediata in un campo di concentramento se non addirittura la morte, eppure il personaggio di Max la affascina; pian piano tra i due si stringe una bella amicizia. Liesel aiuta Max a sopportare i lunghi giorni di solitudine nella cantina di casa e Max aiuta Liesel con i suoi racconti.

Durante una manifestazione per il compleanno del Fuhrer (in cui la partecipazione è obbligatoria) vengono accatastati i libri che il regime ritiene pericolosi o sovversivi e vengono dati alle fiamme. Quando la festa è finita Liesel si accorge di un piccolo libro che non è stato divorato dalle fiamme e, nonostante il pericolo e la paura, lo nasconde sotto la giacca. Non sarà l’ultima volta che la protagonista si troverà a rubare libri.

La trama è molto complessa perchè entrano in gioco svariati elementi, personaggi, cause ed effetti; nonostante ciò il libro è scorrevole e molto gradevole alla lettura.

I personaggi sono ben delineati e, per la prima volta assistiamo al racconto della guerra dalla parte del popolo tedesco. La fatica di convivere con una guerra devastante, la disillusione di un popolo che non ne capisce le motivazioni, la fame, la difficoltà di sopravvivere sia agli stenti che al regime nazista, il tutto visto dagli occhi di una ragazzina prima e dei suoi amici poi.

Libro molto interessante, la cui trovata geniale sta non tanto nella trama stessa, quanto nella voce narrante. Per la prima volta sentiamo le opinioni e i sentimenti di chi ci spaventa ancestralmente, e sono sensazioni che certo non ci aspetteremmo da lei.

Libro consigliato.

Il prigioniero del cielo

Il prigioniero del cielo di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Carlos Ruiz Zafon torna al genere che lo ha reso famoso in tutto il mondo e alla saga tanto amata dai suoi lettori con un nuovo appassionante episodio (il terzo per la precisione) che si inserisce nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati.

In questa ultima opera si riannodano le trame di “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo” gettando nuova luce sui misteri che erano rimasti insoluti e, contemporaneamente, aprendo nuovi inquietanti interrogativi.

I protagonisti si trascinano nel turbine di una narrazione carica di tensione e colpi di scena che ci trasmettono, con la forza delle emozioni, il lato più cupo dell’animo umano, ma anche di sedurre con il fascino sottile di una Barcellona in chiaroscuro che non smette di stregarci.

Questa avventura ha luogo nel dicembre 1957, un lungo inverno di cenere e ombra che avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza.

Daniel Sempere – il memorabile protagonista di “L’ombra del vento” – è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al padre e al fedele Fermìn con cui ha stretto una solida amicizia.

Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un’edizione di pregio di “Il conte di Montecristo” pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perchè la consegni, con una dedica inquietante, a… Fermìn.

Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermìn. Per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un’epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martin – il narratore de “Il gioco dell’angelo” – al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista.

Prima di potersene rendere conto il giovane libraio viene catapultato in un passato che lo riguarda da vicino, dove la morte di sua madre Isabella si lega al destino di David Martin, il grande scrittore che dal carcere scrive “Il gioco dell’angelo” e a quello del perfido editore Mauricio Valls, una vecchia conoscenza degli anni di carcere di Fermìn. Quello che Daniel scoprirà non rimarrà senza effetti sulla sua vita, molte domande rimaste in sospeso avranno una risposta e lui si troverà in mano, inaspettatamente, la possibilità di vendicarsi.

Riuscirà Daniel a portare a termine il suo compito o soccomberà prima della calata del sipario? Scoprirà cosa tenta di nascondergli sua moglie? Capirà quali demoni si agitano nella testa di Fermìn, dopo l’apparizione dell’uomo monco? Cosa significa quella dedica scritta sul libro dall’uomo senza una mano, che recita “Per Fermìn Romero de Torres, che è riemerso tra i morti ed ha la chiave del futuro. Firmato 13”? Questi e molti altri sono i dubbi che si sviluppano con la lettura di questa terza opera di Zafon dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati.

Per quello che riguarda i personaggi, ancora una volta Zafon riesce con poche fugaci immagini a tratteggiare la fisionomia dei personaggi ma anche la loro personalità, sempre senza svelare nulla di più di quello che sia necessario.

La capacità letteraria dell’autore tocca, in questo libro, vertici straordinari; quando Zafon racconta il vento, la pioggia o la neve sembra quasi di sentirla correre sulla pelle tanto è abile nell’uso della parola. Quando descrive le strade, i vicoli, i palazzi della città sembra quasi di vedere delle fotografie virate in seppia.

Zafon ha dichiarato di aver scritto questo libro per spiegare meglio alcuni aspetti della vita di Fermìn che erano rimasti in ombra e per dare al lettore gli elementi per comprendere poi il quarto e ultimo capitolo di questa saga straordinaria; a me sembra invece che l’intento vero dell’autore, sia stato quello di stimolare al parossismo i dubbi del lettore. E’ vero che, nel corso della lettura di questo terzo capitolo il personaggio di Fermìn ci si squaderna davanti agli occhi ma, molti altri dubbi restano da chiarire e tanti nascono proprio dalle avventure raccontate in questa ulteriore prova di abilità che Zafon fornisce con questo romanzo.

Libro ovviamente molto consigliato.

 

Alèxandros – la trilogia

Alèxandros – La trilogia di Valerio Massimo Manfredi edito da Oscar Mondadori – prima edizione 1998

Da dove cominciare a raccontare un libro di quasi 1000 pagine? Questa è la domanda che per tutto il tempo della lettura ha occupato la mia mente. Come potrò essere in grado di trasmettere le emozioni, le sensazioni, i profumi, gli odori, i dolori, le amicizie, le congiure e quant’altro è presente in questo libro? Non ne ho la più pallida idea quindi chiedo anticipatamente scusa, a chiunque abbia letto il libro, o che conosca la storia del grande condottiero, e che trovi la mia recensione banale, povera e in fondo scontata.

Il libro è l’unione di tre libri pubblicati da Manfredi i cui titoli sono: Alèxandros – 1.Il figlio del sogno; Alèxandros – 2. Le sabbie di Amon; Alèxandros – 3 Il confine del mondo.

Comincio col dire che questo libro è stra-or-di-na.rio! Difficile indubbiamente, complesso, lungo, intricato ma sicuramente un libro affascinante ed attraente.

Si tratta ovviamente della biografia di Alessandro il Macedone (alias Alessandro il Grande, Alessandro il conquistatore e Alessandro Magno) dal suo concepimento fino alla morte.

Ho trovato molto interessante soprattutto lo sviluppo che Manfredi illustra della personalità dei vari “attori” che si affacciano sul palcoscenico di questa vita straordinaria. Tutti i personaggi principali, ma anche molti secondari, vengono rappresentati con grande cura, permettendo al lettore di entrare in sintonia con le diverse anime di queste persone. Impossibile, per esempio, non amare gli amici del grande condottiero; amici che entrano nella sua vita con i giochi dell’infanzia e che ne escono soltanto con la morte.

Gran parte del libro viene assorbita dal racconto delle campagne militari che portarono Alessandro e il suo esercito, in soli dodici anni, a conquistare l’intero Impero Persiano, dall’Asia Minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Può sembrare un racconto spaventoso questo stillicidio di battaglie, assalti e carneficine, invece lo stile sobrio e moderno scelto dall’autore, rendono interessanti queste pagine e spiegano molto realisticamente quelle che sono le tattiche di guerra usate nei vari combattimenti e, al contempo anche la vita dei soldati e del loro Re.

Trovo sia stato molto furbo, da parte dell’autore, usare una caratteristica fisica di Alessandro per identificarne le due anime che lo componevano. Infatti è provato da scritti contemporanei al condottiero, che Alessandro Magno avesse gli occhi di colore diverso (gli storici si dividono: alcuni dicono uno blu e l’altro marrone, mentre un’altra scuola di pensiero ritiene che fossero uno azzurro e uno nero). Con questo “escamotage” Manfredi riesce ad illustrare la dualità della personalità del re; un attimo è un leone ruggente che si lancia sulla preda per sottometterla, e l’istante successivo è un tenero cucciolo che gioca e scherza con i suoi amici e commilitoni.

Il ritratto che risulta dalla lettura di questo magnifico scritto è sicuramente quello di un uomo geniale, forte, irruente e coriaceo ma al contempo dolce, attento, riflessivo e sentimentale. Un uomo forte nelle avversità della battaglia ma tenero di fronte ai dolori della vita al punto da non vergognarsi di farsi vedere in lacrime dai suoi uomini in svariate occasioni.

Il dualismo del suo animo si ritrova spesso nelle decisioni fulminee che è costretto a prendere in battaglia. A volte il suo animo nobile gli fa percorrere la strada della sottomissione volontaria delle città che desidera conquistare, altre volte invece non ha il minimo dubbio sulla necessità di attaccare la città da conquistare. Queste scelte possono apparire semplici colpi di testa le prime volte ma, continuando nella lettura, ci si rende conto che invece ogni decisione è supportata da ragionamenti ponderati e soprattutto da motivazioni inappuntabili.

Un discorso a parte meritano le donne che in questo libro sono presenti sempre e soltanto come madri di qualcuno, mogli di qualcun altro o amanti. Purtroppo la funzione della donna nell’epoca in cui visse il grande Imperatore non permetteva loro di aspirare a molto di più anche se l’autore tenta di dare spessore e ruolo alle donne che entreranno nella narrazione.

Tra tutti i rapporti interpersonali che si intrecciano nel racconto, tre sono quelli che maggiormente hanno stimolato la mia curiosità: quello di Alessandro con il proprio cane “Peritas” (un molosso che durante una battaglia arriverà a salvare la vita ad Alessandro Magno); quello con il proprio cavallo “Bucefalo” (uno splendido stallone che nessuno riusciva a domare e che il giovane imperatore domerà con alcune parole sussurrate all’orecchio) e quello con il suo più grande amico “Efestione”.

Discorso a parte merita il rapporto tra Alessandro Magno ed Efestione; nel testo non se ne fa menzione ma le fonti storiche raccontano di un rapporto particolarmente forte tra questi due personaggi al punto da ventilare un rapporto d’amore tra loro. Ricordiamo come per la cultura greca dell’epoca fosse perfettamente accettabile e comprensibile l’amore omosessuale. Forse l’unico momento in cui Manfredi dimostra di conoscere questo particolare della vita di Alessandro Magno è quando racconta della disperazione che coglie il Re alla morte del Generale.

Potrei andare avanti a raccontare le meraviglie di questo libro ancora per lungo tempo ma non riuscirei mai a dimostrare quanto questo scritto mi abbia illuminato, emozionato, incuriosito ma soprattutto insegnato. Impossibile per le mie limitate capacità esprime meglio di come ho già fatto tutta la mia meraviglia per il mondo in cui Valerio Massimo Manfredi è riuscito a raccontare così splendidamente questa vita, al punto da far amare anche a me la Storia.

Libro ovviamente con-si-glia-tis-si-mo!