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Il fu Mattia Pascal

Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello – prima edizione 1904 sulla rivista “Nuova Antologia” e, nello stesso anno, in volume.

Mattia Pascal vive, a Miragno, dell’eredità abbastanza cospicua lasciata dal padre a lui, il fratello e alla madre.

L’intera proprietà è amministrata da Batta Malagna che si rivelerà avido e doppiogiochista.

Mattia inizia a visitare giovane Romilda con l’intento di farla innamorare del suo amico Pomino, pazzamente innamorata di lei. Ma il destino ha in serbo altri piani; infatti Romilda e Mattia si innamorano, per poi sposarsi; la convivenza con la madre di Romilda però non è affatto facile. La donna lo odia visceralmente e non perde occasione per farlo sentire un perfetto inetto.

All’improvviso Mattia scopre quanto Malagna sia stato un truffatore; infatti le scarse abilità dell’amministratore hanno caricato le terre di debiti al punto che l’unica strada è vendere. Anche con la vendita delle terre però la situazione economica è grama e inizia a lavorare in una biblioteca con il compito di sistemare i libri di una donazione.

Nel frattempo la moglie resta incinta e partorisce due bambine. La prima muore subito mentre la seconda riesce a resistere per poco tempo. La morte delle figlie e i continui dissidi con la suocere spingono Mattia a scappare di casa. Nel suo fuggire si reca a Montecarlo dove, un’insperata fortuna gli viene regalata dal tavolo da gioco. Mentre torna a casa qualche giorno dopo scopre, dal giornale, che nella sua Miragno, è stato trovato il suo cadavere, immediatamente riconosciuto dalla moglie e dalla suocera.

L’improvvisa notizia non lo sconvolge anzi immediatamente Mattia capisce che il cielo gli ha regalato una seconda opportunità di crearsi una nuova vita migliore della precedente. Quindi parte per un lungo viaggio che lo porta in giro per diverse città con il nome di Adriano Meis.

I primi periodi della vita di Adriano sono idilliaci ma con il passare del tempo Meis inizia a sentire la mancanza di quei rapporti umani che sono alla base della socialità degli uomini.

Decide quindi di smettere di viaggiare e di farsi una propria casa ; scegli di vivere a Roma e visto che non ha documenti è costretto ad affittare una camera presso una famiglia. Durante il soggiorno conosce Adriana di cui si innamora ed è da lei ricambiata. Ma anche questa vita non è sufficiente per Adriano/Mattia. Infatti capisce che il fatto di non esistere realmente gli preclude la possibilità di vivere e di fare tutte quelle attività che sono alla base del vivere umano. Per esempio non può aprire un conto in banca o regolarizzare il suo rapporto con la donna che ama.

Insomma ancora una volta Mattia non è felice; di nuovo sente che la sua vita non è completa e, forse per la prima volta, capisce che non è scappando dalla realtà che si affrontano i problemi. Decide quindi di far morire Adriano Meis e di risorgere come Mattia Pascal.

Non mi permetterò di parlare dello stile o del modo di scrivere di un premio Nobel come Pirandello perchè non ne sono all’altezza. Dirò soltanto che ho trovato il libro di difficile lettura; spesso mi perdevo nei meandri della scrittura, ma certamente per mia colpa e non per quella dell’autore.

E’ uno di quei libri scolastici che, lontano dai banchi di scuola, diventano però i preferiti degli amanti della lettura.

Libro che, almeno una volta nella vita, va letto e con grande attenzione.

 

Milioni di milioni

Milioni di milioni di Marco Malvaldi – edito da Sellerio, prima edizione 2012.

Avete mai letto un giallo che però non è un giallo? Ecco, questo è esattamente il succo di questo libro. E’ il primo libro di Malvaldi che leggo e sono quasi sicuro che sarà anche l’ultimo.

Nel comune di Montesodi Marittimo (che a dispetto del nome si trova in montagna), quasi un cognome su due contiene il patronimo Palla. Tale secondo cognome è l’eredità del vecchio marchese Filopanti Palla che era un gran gaudente.

Un’altra caratteristica degli abitanti del comune è una forza quasi sovrumana; per questo motivo una università invia il genetista Piergiorgio Pazzi insieme ad un’esperta di archivi con il compito di studiare le ragioni di questa forza.

Il genetista viene ospitato dalla signora Annamaria Zerbi Palla, maestra in pensione del paese, che durante la notte muore. Sembra una morte naturale (visti i problemi di cuore della vecchia signora) eppure ad un esame più attento si scopre che si tratta di un omicidio.

Sia il maresciallo che il sindaco sono concordi nel non rivelare agli abitanti del paese, che si tratta di un omicidio per non agitare le acque, e di conseguenza, per avere maggiore agio nel condurre le indagini.

Nella notte in cui si è svolto l’omicidio una gran nevicata ha isolato il paese dal resto del mondo, impedendo a chiunque di entrare, ma soprattutto, all’assassino di uscire.

Visto che Pazzi è stato ospitato dalla defunta e che è stato lui a scoprire l’omicidio si sente personalmente interessato e inizia a collaborare con i due improvvisati detective; tutto sembra convergere sulla colpevolezza del genetista quando, con l’aiuto dell’archivista…

Il resto ovviamente lo scoprirete da voi.

Il libro è scritto con una ironia che vorrebbe, negli intenti dell’autore, ricordare quella di Camilleri senza mai riuscire davvero ad avvicinarsi al genio siciliano; al massimo strappa un tenue sorriso senza mai prorompere in una vera risata.

I personaggi, seppure pochi, non sono minimamente raccontati nei loro veri sentimenti. Solo la scrittura è scorrevole e quindi rende il libro veloce e molto facile alla lettura.

Non c’è molto altro da dire se non che anche il colpo di scena che porta alla risoluzione del caso, è un colpo di scena un po’ banale. Infatti, un giallista un po’ esperto capirebbe agevolmente la chiave che muove tutta l’indagine e giungerebbe alla conclusione molto prima dell’autore.

Insomma per tutto quanto sopra indicato sono rimasto abbastanza deluso da questo romanzetto, soprattutto per l’enorme pubblicità con cui è stato proposto il volume.

Libro non consigliato.

 

Lo Hobbit

Lo Hobbit o la Riconquista del tesoro di John Ronald Reuel Tolkien – edito da Aldelphi, prima edizione 1937.

Non vi piace il fantasy? Non leggete Lo hobbit!

Siete dei razionalisti? Non leggete Lo hobbit!

Non vi piacciono maghi, nani, elfi, mannari, fantasmi ecc.? Non leggete Lo hobbit!

Dopo questa premessa, assolutamente doverosa, procediamo con l’analisi di uno dei capolavori di Tolkien (non l’unico per fortuna).

Secondo la cronologia delle opere di questo autore si può affermare che Lo hobbit sia l’antefatto del Signore degli Anelli però, per fortuna, si legge tranquillamente come un’opera singola.

In questo romanzo si racconta la straordinaria esperienza che uno hobbit, Bilbo Baggins, si trova a dover fare. Un viaggio attraverso la Terra di Mezzo nel tentativo di riconquistare il tesoro perduto per colpa di Smaug il drago.

Bilbo è nella sua comoda grotta ad Hobbittopoli-di-là-dall’Acqua e vive la sua vita serena e tranquilla quando, inaspettatamente, l’arrivo del mago Gandalf dà il via alla grande avventura.

Alla spicciolata arrivano a casa Baggins una serie di nani che si comportano come se avessero appuntamento (cosa tra l’altro vera, ma di questo Bilbo non ha conoscenza); iniziano a depredare la sua cucina e a trattare la sua casa come fosse loro, sempre ringraziando Bilbo con grandi inchini.

Terminata la cena i nani e Gandalf iniziano a parlare del grande viaggio che devono fare per andare a riconquistare la Montagna Solitaria dove si trova il castello che, appartenuto al re dei nani, è stato conquistato da Smaug il drago moltissimi anni prima, e al cui interno si trova un tesoro di eccezionale valore.

Bilbo decide infine di accettare e prendere parte all’impresa in qualità di “scassinatore”; abbandona la sua comoda casa in compagnia di Gandalf, dodici nani e il loro sovrano Thor Scudodiquercia.

La comitiva non si è ancora allontanata troppo dal punto di partenza quando ecco che si imbattono in tre Troll che li catturano; sarà soltanto l’abilità di Gandalf che risolverà la situazione. Si infilano poi in una grotta dove vengono in possesso di alcune spade che saranno di grande aiuto nel corso delle successive avventure.

Dopo aver soggiornato nella casa di Elrond a Forraspaccata, e aver scoperto le “rune lunari” presenti sulla mappa che fa loro da guida, i nostri eroi proseguono la loro marcia attraverso le Montagne Nebbiose. Qui, all’interno di una spaccatura nella roccia dove si sono rifugiati per ripararsi dalla tempesta, vengono catturati (tutti tranne Gandalf) da alcuni orchi che li conducono davanti al proprio re.

Un nuovo intervento dello stregone riesce a salvare la compagnia da morte certa e, mentre scappano nei cunicoli Bilbo si smarrisce; incontra Gollum e per pura fortuna entra in possesso del magico anello che rende invisibili.

Di più non voglio raccontare per non togliere il gusto a chi si avventurerà sulle orme di Bilbo e della compagnia.

I personaggi del romanzo, pur essendo di fantasia, sono realisticamente raccontati. Tolkien descrive con minuzia di particolari tutti gli attori, le loro caratteristiche, le loro manie in maniera così realistica da dare al lettore tutte le informazioni per immaginarli.

E’ un libro con un grande ritmo; gli eventi si susseguono senza sosta e i protagonisti non hanno mai un attimo di pace. Rotolano di avventura in avventura, di guaio in guaio. Ma proprio questo continuo pericolo stringe le maglie dell’amicizia che li lega sempre di più.

Il tema dell’eroismo è centrale nell’opera che è stata vista come una metafora della Prima Guerra Mondiale dove contadini e persone normali furono costrette a compiere atti eroici.

Insomma un libro sicuramente affascinante, ricco di azione, personaggi eccentrici ed un pizzico di follia. Non sono certo io a scoprire il valore dell’opera di Tolkien che, insieme a “Il Signore degli Anelli” e “Il Silmarillion” crea una delle saghe fantasy di migliore fattura e che sono diventate le pietre angolari di tutta la letteratura di questo genere.

Di questi giorni l’uscita al cinema del primo film, firmato da Peter Jackson, tratto da questo grandioso romanzo. Non so se consigliare prima la lettura del libro e poi la visione del film o viceversa. Sicuramente leggere prima il libro aiuta nella comprensione, ma vedere prima il film (che, una volta tanto, è fatto molto bene) aiuta a immaginare i personaggi e le ambientazioni stimolando la continuazione della lettura.

Ovviamente libro consigliatissimo…agli amanti del genere!

I pilastri della terra

I pilastri della terra di Ken Follett – edito da Mondadori, prima edizione 1989.

Sono conscio del fatto che adesso mi attirerò l’odio degli estimatori di Ken Follet, ma devo dire che questo libro proprio non mi è piaciuto. L’ho trovato lento e noioso. In alcuni passaggi ho addirittura pensato di abbandonarlo perchè rischiavo di spegnermi dalla noia e dal sonno generato dalla lettura.

Credo che Follett abbia esagerato. Troppi personaggi, troppe storie, troppe pagine; probabilmente se il libro fosse stato di 300 pagine circa, e avesse seguito in maniera lineare la storia di un solo personaggio, forse sarebbe stato un buon libro, ma nel romanzo di Follett c’è troppo di tutto.

Provo a fare un brevissimo riassunto.

L’azione si svolge a Kingsbridge (una località immaginaria nel Wiltshire, in Inghilterra) tra il 1123 e il 1174 durante la costruzione di una cattedrale.

Sullo sfondo degli avvenimenti storici si snodano le avventure dei personaggi e viene illustrato lo scontro in atto nel medioevo tra la nobiltà ancora arroccata a difesa dei propri privilegi, e la nascente borghesia mercantile, che si sta sviluppando nella città, la quale tenta di liberarsi dai fardelli del feudalesimo.

La costruzione della cattedrale, che sembra essere il motivo principale della narrazione, in realtà funge soltanto da legante delle biografie dei personaggi, che ruotano intorno al monastero di cui l’abate Philip è priore.

Nel monastero arrivano stremati ed affamati il “mastro costruttore” Tom e la sua famiglia. Tom cerca un lavoro nella cattedrale e soltanto la furbizia e il coraggio del figliastro Jack farà in modo che questo progetto vada in porto.

Tom ha un figlio, Alfred, e i rapporti tra quest’ultimo e il figliastro Jack sono tutt’altro che idilliaci.

Nel corso della narrazione vedremo più volte scontrarsi i due fratelli con alterne fortune. Uno dei due realizzerà la propria vita a discapito dell’altro, rubandogli addirittura la fidanzata; l’altro sarà costretto ad andarsene lontano per il mondo per trovare la chiave della propria realizzazione e per scoprire le proprie radici ed il nome del vero padre.

Nel romanzo si intreccia anche la storia di Aliena che passa da figlia del ricco conte a indigente costretta a mendicare, che viene violentata da un barbaro signorotto e che dedica la sua vita alla vendetta, alla cura del fratello e alla riconquista del titolo di conte usurpato dal violentatore.

Al fine di raggiungere i suoi scopi Aliena decide di escludere l’amore dalla sua vita, e per questo rifiuta tutti i pretendenti che ne chiedono la mano.

Ma l’amore si muove per vie misteriose e, quando meno Aliena se lo aspetta, scoprirà di essere innamorata di una persona che ha sempre avuto attorno, e che mai ha pensato potesse essere un pericolo. Chiaramente se ne renderà conto quando la persona in questione sarà partita.

Aliena deciderà di intraprendere una strada pericolosa e insolita per una donna dell’epoca, e inizierà un viaggio per ritrovare il suo amore.

Molte altre sono le storie che vengono raccontante in questa opera mastodontica di Follett; molti di questi personaggi sono davvero esistiti e ne viene ripresa la storia; la guerra tra l’Imperatrice Matilda e Re Stefano è realmente avvenuta così come l’assassinio dell’Arcivescovo di Canterbury Thomas Bechet.

Inoltre nel prologo viene raccontata una storia che apparentemente non ha alcun legame con tutta la narrazione successiva. Soltanto alla fine del libro si comprende il collegamento.

Insomma proprio come dicevo all’inizio in questo libro che di tutto e, proprio per questo, la narrazione risulta di difficile comprensione.

I personaggi sono sicuramente ben descritti e la capacità di Follett di descriverli fa si che il lettore si trovi certamente a parteggiare per i buoni, e ad odiare violentemente i cattivi.

Un’altra cosa che assolutamente non sono riuscito a sopportare (e lo ammetto candidamente, saltavo le pagine) è la parte sulle tecniche di costruzione della cattedrale; tutte quelle dissertazioni su archi a sesto acuto eccetera le ho trovate assolutamente mortifere.

Lo ripeto, nel tentativo di costruire una storia completa sotto tutti i punti di vista, Follett probabilmente esagera, e introduce troppe vite e troppe storie rendendo il romanzo, che poteva essere un capolavoro, un libro difficile, pomposo, esagerato e noioso.

Ovviamente libro NON consigliato.

Spingendo la notte più in là

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi – edito da Mondadori, prima edizione 2007.

Il sottotitolo recita “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”.

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato; con il suo omicidio inizia uno dei periodi più bui della nostra repubblica, i cosiddetti “anni di piombo”. Quei due colpi di pistola non cambiarono soltanto il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti.

Questo libro però non racconta soltanto la storia dell’omicidio Calabresi ma anche quella di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre, oltre che di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo.

Il figlio di Calabresi, Mario, racconta le storie di quelli che sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, fuori dalle statistiche fredde e sterili, fuori dalle manifestazioni di cordoglio; ci porta a conoscenza dell’esistenza di altre vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto.

Tra queste vittime innocenti, troviamo chi non ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare, chi non ha sopportato la disattenzione pubblica e anche chi, non ha mai smesso di lottare perchè venisse dato il giusto risalto alla memoria.

La storia della famiglia Calabresi si intreccia con quella di tante altre persone che sono state costrette, all’improvviso, ad affrontare da soli una catastrofe privata che però appartiene a tutti gli italiani.

Durante la lettura di questo libro mi sono trovato spesso d’accordo con lo scrittore ma c’è un punto in cui davvero ho sentito il suo dolore come se fosse il mio.

Parlando delle responsabilità dei mezzi di informazione Calabresi scrive “… ma la cosa più fastidiosa e pericolosa sono le interviste standard: dei terroristi che parlano non vengono quasi mai ricordati i delitti e le responsabilità, e questo non è accettabile soprattutto se sono interpellati per discutere proprio sugli Anni di piombo. Sergio Segio, per fare un esempio, viene presentato come un esponente del Gruppo Abele, quasi mai come il killer di Galli e Alessandrini; di Anna Laura Braghetti, la brigatista che uccise con sette colpi Vittorio Bachelet alla Sapienza di Roma e partecipò al sequestro di Aldo Moro, si dice che <<coordina un servizio sociale rivolto ai detenuti>>.

La seconda cosa preoccupante è che si lascia passare un’idea romantica del terrorismo, specie nel paragone con il brigatismo degli ultimi anni, sostenendo che la lotta armata degli anni Settanta aveva dietro di sé delle idee, un progetto rivoluzionario”.

In queste parole ho ritrovato un sentimento che provavo fin da piccolo quando, leggendo sul giornale le bravate dei brigatisti, sentivo il mio animo agitarsi per la strana sensazione che i cattivi fossero sempre e tutti dalla parte dello Stato, mentre i buoni invece fossero sempre tra i terroristi.

Lungi da me voler esprimere un giudizio riguardo ad un argomento che conosco solo in maniera marginale, certo è che delle pagine del libro di Calabresi ho condiviso il dolore e quella compassione nei confronti dei parenti delle vittime che troppo spesso dimentichiamo quando accadono tragedie come queste.

Dimentichiamo troppo facilmente che dietro alla vittima di un terrorista, dietro al poliziotto che spara un colpo d’arma da fuoco, dietro al morto ammazzato sulla strada, dietro agli agenti delle scorte trucidati ci sono delle persone; delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori che devono sopportare il dolore per tutta la loro vita. Per queste vittime il “fine pena” è davvero mai.

Libro molto consigliato.

 

L’amore ai tempi del colera

L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez – prima edizione 1985.

Quanto tempo aspetteresti l’amore della tua vita?” questo è il sottotitolo pubblicato in copertina dell’edizione spagnola che ho letto, e credo che in esso si trovi il miglior riassunto di questo romanzo straordinario.

Florentino Ariza è un misero impiegatuccio con la passione per la poesia; appena adolescente vede e si innamora perdutamente della coetanea Fermina Daza; tale amore però, non avrà coronamento prima di “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese”.

Fermina sposerà infatti Juvenal Urbino, un medico di grande fama e, tra le altre cose, lo scapolo più ambito della città; al momento del matrimonio però non c’è amore tra i due; esso si svilupperà lentamente, col tempo, con la conoscenza, il rispetto e la fatica di sopportare i tradimenti del marito.

Durante questi anni Florentino lavorerà sodo all’interno della Compagnia Fluviale dei Caraibi (appartenuta allo zio), intraprendendo una scalata sociale che lo porterà a sentirsi degno di meritare l’amore di Fermina Daza qualora lei sia di nuovo libera.

Nel tempo capita che, a volte i due si incontrino per la città ma, la donna, ostenterà sempre una grande freddezza nei confronti del povero protagonista.

Quando Juvenal Urbino muore in seguito ad una banale caduta da un albero, Florentino ribadisce la sua promessa d’amore che Fermina rifiuta sdegnosamente. I due iniziano però una corrispondenza epistolare che placa l’ira della donna e ne scioglie il cuore.

Questa, in estrema sintesi, la trama del libro; ma questo scritto di Marquez appartiene alla schiera di quei romanzi, in cui la trama è marginale; infatti la grandezza di questo libro sta nel modo in cui è stato scritto, nell’amore che trasuda dalle pagine, dalla meravigliosa capacità dell’autore di rendere i personaggi vivi e reali.

Non si può non parteggiare per Florentino; non si riesce a non trovare spocchiosa Fermina quando rifiuta l’amore di lui; non si può fare a meno di percepire come untuoso e antipatico Juvenal Urbino.

La grande capacità scrittoria di Marquez si evince in tutta la sua straordinaria meraviglia, mentre racconta le ambientazioni e nelle descrizioni dei paesaggi, al punto di far vivere al lettore tali sensazioni; il caldo appiccicoso delle navigazioni fluviali, i giorni di pioggia triste e uggiosa, i pomeriggi caraibici afosi ed indolenti scivoleranno sulla pelle del lettore come il leggero tocco di un pennello di tasso.

E’ una storia che si legge per il gusto stesso di leggerla; la narrazione raggiunge un ritmo seducente che coinvolge e trascina, e ci si lascia trasportare dalla storia senza mai annoiarsi o stancarsi.

Marquez dipinge un affresco in cui si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e di abitudini, non senza ironia. I personaggi creati in questo romanzo si aggiungono alla affollata schiera dei migliori personaggi della letteratura contemporanea.

Libro ovviamente molto consigliato.

Il prigioniero del cielo

Il prigioniero del cielo di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Carlos Ruiz Zafon torna al genere che lo ha reso famoso in tutto il mondo e alla saga tanto amata dai suoi lettori con un nuovo appassionante episodio (il terzo per la precisione) che si inserisce nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati.

In questa ultima opera si riannodano le trame di “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo” gettando nuova luce sui misteri che erano rimasti insoluti e, contemporaneamente, aprendo nuovi inquietanti interrogativi.

I protagonisti si trascinano nel turbine di una narrazione carica di tensione e colpi di scena che ci trasmettono, con la forza delle emozioni, il lato più cupo dell’animo umano, ma anche di sedurre con il fascino sottile di una Barcellona in chiaroscuro che non smette di stregarci.

Questa avventura ha luogo nel dicembre 1957, un lungo inverno di cenere e ombra che avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza.

Daniel Sempere – il memorabile protagonista di “L’ombra del vento” – è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al padre e al fedele Fermìn con cui ha stretto una solida amicizia.

Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un’edizione di pregio di “Il conte di Montecristo” pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perchè la consegni, con una dedica inquietante, a… Fermìn.

Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermìn. Per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un’epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martin – il narratore de “Il gioco dell’angelo” – al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista.

Prima di potersene rendere conto il giovane libraio viene catapultato in un passato che lo riguarda da vicino, dove la morte di sua madre Isabella si lega al destino di David Martin, il grande scrittore che dal carcere scrive “Il gioco dell’angelo” e a quello del perfido editore Mauricio Valls, una vecchia conoscenza degli anni di carcere di Fermìn. Quello che Daniel scoprirà non rimarrà senza effetti sulla sua vita, molte domande rimaste in sospeso avranno una risposta e lui si troverà in mano, inaspettatamente, la possibilità di vendicarsi.

Riuscirà Daniel a portare a termine il suo compito o soccomberà prima della calata del sipario? Scoprirà cosa tenta di nascondergli sua moglie? Capirà quali demoni si agitano nella testa di Fermìn, dopo l’apparizione dell’uomo monco? Cosa significa quella dedica scritta sul libro dall’uomo senza una mano, che recita “Per Fermìn Romero de Torres, che è riemerso tra i morti ed ha la chiave del futuro. Firmato 13”? Questi e molti altri sono i dubbi che si sviluppano con la lettura di questa terza opera di Zafon dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati.

Per quello che riguarda i personaggi, ancora una volta Zafon riesce con poche fugaci immagini a tratteggiare la fisionomia dei personaggi ma anche la loro personalità, sempre senza svelare nulla di più di quello che sia necessario.

La capacità letteraria dell’autore tocca, in questo libro, vertici straordinari; quando Zafon racconta il vento, la pioggia o la neve sembra quasi di sentirla correre sulla pelle tanto è abile nell’uso della parola. Quando descrive le strade, i vicoli, i palazzi della città sembra quasi di vedere delle fotografie virate in seppia.

Zafon ha dichiarato di aver scritto questo libro per spiegare meglio alcuni aspetti della vita di Fermìn che erano rimasti in ombra e per dare al lettore gli elementi per comprendere poi il quarto e ultimo capitolo di questa saga straordinaria; a me sembra invece che l’intento vero dell’autore, sia stato quello di stimolare al parossismo i dubbi del lettore. E’ vero che, nel corso della lettura di questo terzo capitolo il personaggio di Fermìn ci si squaderna davanti agli occhi ma, molti altri dubbi restano da chiarire e tanti nascono proprio dalle avventure raccontate in questa ulteriore prova di abilità che Zafon fornisce con questo romanzo.

Libro ovviamente molto consigliato.

 

Il diavolo certamente

Il diavolo certamente di Andrea Camilleri edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Di nuovo Camilleri cambia, e di nuovo ne esce un buon libro. Non è il classico romanzo e nemmeno un libro epistolare come aveva tentato con successo con “La scomparsa di Patò”; a voler sminuire questa nuova opera letteraria del buon Camilleri si potrebbe definire come un raccolta di racconti ma c’è di più. Non sono semplici racconti, sono delle storie legate tra loro da due fili che si intrecciano.

Il primo di questi fili è la precisione quasi assoluta, quasi metrica potremmo sbilanciarci, di queste storie; infatti Camilleri ha prodotto trentatre racconti di lunghezza quasi identica. E’ un po’ come se l’autore avesse voluto raccontarci una storia per ogni giorno del mese… e gliene siano avanzate un paio che proprio non è riuscito a eliminare.

Il secondo filo è la presenza velata, sfumata, ma chiaramente percepita del diavolo. Sì, il diavolo c’è, ne percepiamo quasi l’odore sulfureo, e in questo libro appare trentatre volte a metterci la coda.

In ognuno di questi racconti, il diavolo suggella la storia con il suo inequivocabile zampino: nel bene o nel male, a noi lettori l’ardua sentenza.

Questi racconti, oltre ad essere irresistibilmente divertenti, sono anche percorsi da una meditazione accanita e sottile sul senso delle umane sorti, del nostro affannarci per mentire o per apparire, della nostra idea di felicità.

Insomma, “non solo una serie di variazioni musicali sull’eterno tema del male e del destino ma anche una commedia umana concentrata in pagine di fulminante, contagiosa energia. Perché un dettaglio, anche se luciferino, può cambiare segno ad una vita intera, ma proprio per questo quella vita vale sempre la pena di viverla senza risparmio”; questa sembra essere la morale che scaturisce dalla lettura di queste avventure.

Molte delle realtà umane affliggono i vari protagonisti delle storie di Camilleri; troviamo due filosofi in lotta per il Nobel, un ladro gentiluomo, un monsignore alle prese con il più impietoso dei lapsus, una ragazza che russa rumorosamente, una segretaria troppo zelante, una moglie ricchissima e tanti altri attori verranno chiamati sul palco a raccontarci una storia che, immancabilmente, avrà un finale diverso da quello che ci si aspetterebbe, ovviamente per colpa del diavolo.

Non voglio raccontare oltre di queste novelle perchè toglierei la soddisfazione di scoprire quale arcano ordigno sposti sempre il gradino facendoci inciampare.

Per quel che attiene ai personaggi, trattandosi di racconti non possono che essere abbozzati, poco rifiniti; ma nonostante questa necessità stilistica Camilleri, ancora una volta, dimostra di essere in grado di stimolare la fantasia del lettore con semplici accenni, quasi pennellate intrise di colore, che però sono sufficienti alla nostra immaginazione per “unire i puntini” e rivelare la fisionomia degli attori.

Se proprio devo trovare un piccolo neo negativo a questo libro è la mancanza della “lingua” che ormai Camilleri ci ha insegnato ad amare. Tutte le storie sono scritte in italiano insomma; forse se le avesse scritte in siciliano (come spesso fa con le avventure di Montalbano), avremmo tra le mani un piccolo capolavoro.

Libro indubbiamente consigliato.

In principio

In principio… 2001 modi di iniziare un romanzo di Giacomo Papi e Federica Presutto edito da Baldini & Castoldi. prima edizione 2000.

Questo libro nasce da un’idea semplice e acuta come l’uovo di Colombo. Un’idea che pertanto è destinata a riproporsi com esemplare. Raccogliere migliaia di inizi di romanzi, classificarli secondo generi, epoche e Paesi, ma anche per bellezza e bruttezza. E infine ricostruire, copiando e incollando, costellazione narrative che sembrano ideate nel laboratorio di Borges o di Calvino, quasi a dimostrare che al principio c’è davvero la parola, il verbo e poi, ma solo dopo, tutto il resto.

Un concentrato di romanzi in pillola da sfogliare distrattamente o da leggere tutto d’un fiato, come si leggevano, una volta, avventure e feuilletton. Lasciandosi andare al gusto del gioco e a quello della narrazione.

Se riconoscere l’inizio di Pinocchio o di Moby Dick è facile, altri inizi potrebbero svelare lacune ed amnesie insospettabili, oppure risvegliare l’irrefrenabile desiderio di proseguire, oltre l’incipit, fino alla fine.

Questo gradevolissimo e documentatissimo libro non si propone nessun intento di ricerca, ma esibisce solo una sorta di insaziabile appetito romanzesco nello sfogliare migliaia e migliaia di storie per registrarne le aperture, e il gusto di riunire poi questi inizi secondo un disegno capriccioso e divertito, individuando filoni, rimandi, ossessioni, vezzi e cadenze.

In ogni caso, la lettura di questo libro può costituire un buon esercizio per educare il gusto, per riconoscere i colpi di stile, le idee felici.

Con questo libro si possono fare anche dei giochi di società. Vince chi sa riconoscere più inizi. Naturalmente è un gioco per persone preparate e con buona memoria. Purtroppo esclude chi non riconosce neppure “Quel ramo del lago di Como…”.

Insomma, questo libro serve a molte cose.

Libro consigliato per una lettura impegnativa ma divertente.

Il gioco dell’angelo

Il gioco dell’angelo di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori. prima edizione 2008.

Secondo capitolo della tetralogia di Zafon ambientata nuovamente a Barcellona, sebbene stavolta negli anni Venti; l’autore ci riporta al misterioso mondo gotico del Cimitero dei Libri Dimenticati. Davìd Martìn, un giovane che cova un sogno inconfessabile quanto universale: diventare uno scrittore, fa un patto impossibile con un personaggio alquanto ambiguo: in cambio della sua vita e di una considerevole fortuna, scriverà un libro che cambierà molte vite.

Proprio dal momento in cui inizierà a scrivere, prima dei romanzi d’appendice e dopo con la grande opera che gli commissiona “Il principale” (figura spaventosa e mefistofelica), la vita inizierà a porre a Davìd interrogativi ai quali non ha risposta immediata esponendolo, come mai prima di ora a imprevedibili azzardi e travolgenti passioni, crimini efferati e sentimenti assoluti.

Esplorerà case abbandonate che però forse sono abitate, dove sognerà di essere liberato da un male oscuro che lo sta uccidendo. Frequenterà personaggi pericolosi e dolcissimi, si fiderà di assassini e maghe.

Nel corso del romanzo Davìd però, si renderà conto che, al compimento di una simile impresa, ad attenderlo non ci saranno soltanto onore e gloria.

Davìd, mentre si divincola nel tentativo di risolvere l’enigma che gli ha posto Andreas Corelli, scoprirà fatti del proprio passato: dall’abbandono della madre, all’omicidio del padre mentre si reca (con Davìd appena adolescente) al proprio lavoro di guardiano notturno.

Nel corso della narrazione Davìd troverà anche l’amore ma, come in tutti i noire che si rispettino, dovrà affrontare dure battaglie anche sotto questo punto di vista… e non è detto che alla fine sia premiato dalla vittoria.

I personaggi del romanzo sono descritti con tale vividezza che è facile immaginarli mentre si muovono nella Barcellona buia e nebbiosa che tanto Zafon ama.

Se L’ombra del vento celebrava l’estasi della lettura, Il gioco dell’Angelo esplora in profondità le agonie dello scrittore.

Nel secondo romanzo di Carlos Ruiz Zafon, non tutto è come appare e a questo il libro deve la metà del suo incanto.

Anche se si presenta come un prequel de L’ombra del vento, Il gioco dell’Angelo, è l’esaltazione del godimento di narrare e del piacere della letteratura e può essere letto come un’opera indipendente.

Questo romanzo ha tutto ciò di cui ha bisogno una grande storia: amore, tradimento, morte, odio e amicizia.

Tremendamente bello; la sua storia è rifinita in maniera impressionante. Ironia, terrore, politica e amore vi compaiono nelle dosi giuste, e l’effetto d’insieme è molto piacevole. Storia e scrittura, trama e carattere, personaggi e profili, tutto è come dev’essere. Non si riescono ad abbandonare le sue pagine accattivanti, piene di suspance.

La scrittura di Zafon è particolare come l’aroma di un profumo che si spande, seducente e sensuale. E questo aroma dura a lungo.

Bellissimo anche per quel senso di dubbio che Zafon lascia alla fine perchè i ruoli dei personaggi non sono perfettamente chiari; grande invenzione dell’autore per tenere alta la suspace dei lettori in vista delle successive due uscite.

Insomma un libro semplicemente ammirevole e degno di una notte insonne per terminarlo.

Mi pare più che ovvio che sia assolutamente consigliato.