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Kiss me first. Prendi la mia vita

Kiss me first. Prendi la mia vita di Lottie Moggach, edito da Casa Editrice Nord, prima edizione marzo 2015.

Siamo di fronte ad un libro molto particolare che racconta una storia in linea di principio semplice ma che perde di suspence abbastanza facilmente. Leila, la protagonista è una ragazza molto solitaria. Fin da bambina ha sempre preferito giocare da sola che non con la compagnia di altre persone. Fare amicizia per Leila era talmente difficile che, diventata adulta, deve riconoscere di non avere amici. Preferisce i rapporti mediati attraverso la rete a quelli fisici e questo fa di lei la candidata ideale per il così detto “Progetto Tess”.

Un fantomatico influencer contatta Leila via mail e le propone di… diventare un’altra persona. Il progetto permette a persone che vogliono scomparire per portare a termine propri progetti più o meno segreti, di poterlo fare mettendo al loro posto qualcun altro che, dopo uno studio approfondito si sostituiscono a loro.

Il sostituto deve conoscere praticamente tutto del sostituito; dalla data di nascita al credo politico, dal colore preferito al gusto sessuale, dal cibo odiato al genere di musica amato. Insomma deve, in tutto e per tutto, entrare nella vita del sostituito. Senza nemmeno rifletterci troppo Leila decide di accettare questa proposta che rasenta la follia.

Così dopo un breve ma approfondito periodo di studio Leila inizia ad usare la mail e i social network di questa ragazza che si chiama Tess Williams, anzi diventa totalmente lei. Ovviamente, titolare di una nuova libertà, la vera Tess scompare come la nebbia all’orizzonte.

Tutto fila liscio, nessuno ha nemmeno il più piccolo dubbio riguardo a quello che successo, fino a quando un uomo contatta Leila/Tess dicendole di sapere quello che è successo e aggiungendo di conoscere il segreto per cui la vera Tess ha deciso di scappare.

Questo segreto si installa nella mente di Leila/Tess e inizia a scavare tunnel come un verme sotto terra. La ragazza ci perde il sonno sulle motivazioni della fuga e, suo malgrado è costretta ad iniziare una ricerca affannosa, una corsa contro il tempo nel tentativo di capire e trovare la risposta alle domande che la tormentano.

Ce la farà la nostra eroina a riallacciare i fili tagliati così bene dalla fuggiasca? Arriverà in tempo? E soprattutto come reagirà la vera Tess quando scoprirà che tutto il suo segreto è saltato?

Al libro l’ardua sentenza.

L’idea di un sostituto (fisico o virtuale che sia) può apparire un buon aggancio per un romanzo ma forse gli esempi già presenti in letteratura dimostrano quanto sia difficile trattare questo argomento senza risultare banali e scontati. Cito soltanto l’esempio di “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello.

Anche qui, come nel capolavoro di Pirandello, si cerca un sostituto nella speranza di agganciare una vita migliore e, esattamente come nel libro dell’inizio del 900, ci si schianta contra la scoperto che la vita nasconde insidie, difficoltà, dolori e ostacoli per chiunque.

I personaggi sono abbastanza definiti anche se, trattandosi di un alter ego l’autrice si concentra maggiormente sulla sostituta che non sulla sostituita. Il libro è scorrevole e senza particolari colpi di genio. Forse da un libro considerato un “giallo” ci si aspetta un po’ più di azione e maggiore suspance. Diciamo che è un giallo un po’ statico, forse si potevano trattare meglio determinati argomenti; la psicologia dei protagonisti poteva essere maggiormente sondata e spiegata, soprattutto la scelta di Tess di scomparire viene quasi lasciata nell’oscurità.

E’ un libro che purtroppo non lascia un grande segno nella memoria, anche se Netflix ha deciso di usarla per una serie. Speriamo che lo sviluppo degli sceneggiatori sia un po’ meglio di quello dell’autrice.

Libro consigliato per una lettura senza particolare impegno.

Spingendo la notte più in là

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi – edito da Mondadori, prima edizione 2007.

Il sottotitolo recita “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”.

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato; con il suo omicidio inizia uno dei periodi più bui della nostra repubblica, i cosiddetti “anni di piombo”. Quei due colpi di pistola non cambiarono soltanto il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti.

Questo libro però non racconta soltanto la storia dell’omicidio Calabresi ma anche quella di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre, oltre che di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo.

Il figlio di Calabresi, Mario, racconta le storie di quelli che sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, fuori dalle statistiche fredde e sterili, fuori dalle manifestazioni di cordoglio; ci porta a conoscenza dell’esistenza di altre vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto.

Tra queste vittime innocenti, troviamo chi non ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare, chi non ha sopportato la disattenzione pubblica e anche chi, non ha mai smesso di lottare perchè venisse dato il giusto risalto alla memoria.

La storia della famiglia Calabresi si intreccia con quella di tante altre persone che sono state costrette, all’improvviso, ad affrontare da soli una catastrofe privata che però appartiene a tutti gli italiani.

Durante la lettura di questo libro mi sono trovato spesso d’accordo con lo scrittore ma c’è un punto in cui davvero ho sentito il suo dolore come se fosse il mio.

Parlando delle responsabilità dei mezzi di informazione Calabresi scrive “… ma la cosa più fastidiosa e pericolosa sono le interviste standard: dei terroristi che parlano non vengono quasi mai ricordati i delitti e le responsabilità, e questo non è accettabile soprattutto se sono interpellati per discutere proprio sugli Anni di piombo. Sergio Segio, per fare un esempio, viene presentato come un esponente del Gruppo Abele, quasi mai come il killer di Galli e Alessandrini; di Anna Laura Braghetti, la brigatista che uccise con sette colpi Vittorio Bachelet alla Sapienza di Roma e partecipò al sequestro di Aldo Moro, si dice che <<coordina un servizio sociale rivolto ai detenuti>>.

La seconda cosa preoccupante è che si lascia passare un’idea romantica del terrorismo, specie nel paragone con il brigatismo degli ultimi anni, sostenendo che la lotta armata degli anni Settanta aveva dietro di sé delle idee, un progetto rivoluzionario”.

In queste parole ho ritrovato un sentimento che provavo fin da piccolo quando, leggendo sul giornale le bravate dei brigatisti, sentivo il mio animo agitarsi per la strana sensazione che i cattivi fossero sempre e tutti dalla parte dello Stato, mentre i buoni invece fossero sempre tra i terroristi.

Lungi da me voler esprimere un giudizio riguardo ad un argomento che conosco solo in maniera marginale, certo è che delle pagine del libro di Calabresi ho condiviso il dolore e quella compassione nei confronti dei parenti delle vittime che troppo spesso dimentichiamo quando accadono tragedie come queste.

Dimentichiamo troppo facilmente che dietro alla vittima di un terrorista, dietro al poliziotto che spara un colpo d’arma da fuoco, dietro al morto ammazzato sulla strada, dietro agli agenti delle scorte trucidati ci sono delle persone; delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori che devono sopportare il dolore per tutta la loro vita. Per queste vittime il “fine pena” è davvero mai.

Libro molto consigliato.