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La libreria degli amori inattesi

La libreria degli amori inattesi di Lucy Dillon edito da Garzanti prima edizione 2014.

Prima di iniziare con la recensione di questo nuovo libro è necessario che io mi scusi con i lettori di questo piccolo blog perché da molti mesi non pubblico più alcuno scritto. Pur sapendo che non è una scusa valida il fatto di essere stato impegnato nella preparazione degli esami universitari, non meno spero che il vostro buon cuore voglia perdonare la mia assenza.

Ora, espletate le formalità, rituffiamoci nella nostra consueta abitudine.

Michelle è una donna dura; dura perché ha molto sofferto, perché molti l’hanno tradita, molti l’hanno sfruttata per i propri interessi, molti hanno provato ad annullare i suoi sogni.

Giunge in un paesino e decide di rilevare la piccola libreria per poter tirare avanti. Non ha idea di quello che la aspetta, ma è certa che non darà a nessuno l’opportunità di entrare nella sua vita.

Uno dei suoi primi clienti è Anna; una donna probabilmente più “arruffata” di lei e tra le due scoppia deflagrante l’amicizia. Michelle è impegnata nella sistemazione dei locali della libreria e dei tanti libri lasciati dal proprietario precedente nel retrobottega, quando tra i libri compare un simpatico musetto. E’ Tavish il cane appartenuto al vecchio proprietario e che non ha mai abbandonato i locali. E’ diffidente ma la fame lo fa avvicinare. Il cane ha bisogno di una casa e di qualcuno che gli voglia bene, ed il cuore di Michelle pensa che forse lui… ma no… non deve lasciare fronti scoperti.

Però Tavish è in cerca di un nuovo padrone e non ha dubbi; lui vuole Michelle. Tavish sente che lei necessita del suo affetto; proprio lei che, dopo il fallimento del suo matrimonio ha sprangato il cuore dietro al filo spinato del disinteresse.

Con il passare del tempo e con l’affetto incondizionato del cane e dell’amica, Michelle inizia a lasciarsi andare e proprio quando inizia a credere che forse le cose andranno meglio di come le sono sempre andate, ecco che il suo passato torna a bussare alla sua porta nei panni dell’ex marito.

Michelle si ritrova nuovamente nelle pastoie della sua vita precedent, con un uomo che non può sopportare il suo successo e che cerca in tutti i modi possibili di screditarla; si rivolge allora alla propria famiglia sperando di trovarvi il supporto necessario a combattere; dovrà ricredersi dolorosamente…

Come da mia abitudine tralascio la fine della storia, sperando di avervi incuriosito in modo che leggiate questo bel romanzo.

Ovvio che non stiamo parlando di un capolavoro della letteratura mondiale ma è un buon romanzo da tenere sul comodino e da cui farsi accarezzare il cuore prima di abbandonarsi al meritato riposo.

La prosa della Dillon è scorrevole, i personaggi sono indubbiamente ben caratterizzati e presentati nella luce che meglio permette di figurarseli e di amarli o odiarli a seconda dei casi.

Io mi sono limitato nella presentazione dei personaggi primcipali e della trama ma la lettura di questo romanzo presenta molti altri interpreti oltre a quelli citati così come altre saranno le avventure, liete e tristi, che coinvolgeranno la protagonista e il piccolo Tavish

Ribadisco un concetto espresso precedentemente; non aspettatevi una rivelazione dietro ogni pagina, non aspettatevi azioni rocambolesche o cambi di scenario straordinari, però è un buon libro. Un buon amico per le sere fredde dove è importante staccare il cervello e, con la dolcezza di alcune di queste pagine, magari farete sogni più belli.

Di questa autrice ho già recensito un altro libro che si intitolava “il rifugio dei cuori solitari”; ammeto che questo secondo romanzo è migliore del precedente; forse perché vengono maggiormente esaminate le motivazioni psicologiche dei personaggi.

Libro consigliato per alleggerirvi il cuore.

Dimmi che credi al destino

Dimmi che credi al destino di Luca Bianchini edito da Mondadori prima edizione 2015.

Ancora una volta Bianchini ha centrato il bersaglio. Questo nuovo romanzo dell’autore torinese è una piccola gemma molto più intimista e profonda dei precedenti. Certo c’è sempre quell’aria scanzonata che fa apparire il libro più leggero di quello che è, ma in realtà quando il lettore si addentra nelle pieghe psicologiche dei personaggi, trova una profondità e una volontà di riuscire inattesa al principio.

Ma andiamo per gradi.

La protagonista (ma non è la sola) si chiama Ornella ed è la responsabile dell’Italia Bookshop, una libreria di Londra dove Ornella si è trasferita dopo aver abbandonato la nativa Verona ed il marito. Ha cinquantacinque anni ma solo dal punto di vista anagrafico perchè nel corso della narrazione sembra a volte una persona molto più anziana ed in altre occasioni una ragazzina appena adolescente.

Ornella ama Londra e i suoi cieli (ebbene sì per lei Londra ha molti cieli), il caffè con la moka e la panchina di un parco dove spesso incontra Mr George, un anziano signore a cui inspiegabilmente Ornella racconta tutte le sue gioie e soprattutto le sue disavventure.

Nel suo andirivieni tra il lavoro all’Italan Bookshop (dove la cosa più eccitanti sono i due pesci rossi che si chiamano Russel & Crowe) e la sua casa (dove celato nell’ombra vive il suo vicino di casa Bernard che forse la conosce meglio di quanto si conosca lei stessa), Ornella riceve inaspettata una batosta che rischia di azzerare tutte le volte che si è rialzata dopo una caduta. Il proprietario della libreria ha deciso di chiudere e saranno soltanto la faccia tosta di Ornella e la sua inguaribile speranza nel futuro a convincerlo a mettere in stand-bye il progetto per almeno due mesi.

Come tutte le volte che Ornella si trova nel dubbio, anche stavolta ricorre alla Patti. Lei è la migliore amica di Ornella (il loro rapporto è molto simile a quello di due sorelle), che arriva a Londra con poche idee ma tante scarpe e aiuterà la nostra eroina a capire quale sia la strada migliore per far ripartire la sua vita, che al momento gira un po’ a vuoto.

La prima decisione di Ornella per salvare la libreria sembra una follia. Assume part-time un giovane contabile napoletano che risponde al nome, guarda un po’, di Diego. Si tratta di una decisione anomala perchè la prima cosa che si pensa di fare per salvare un’attività traballante, è quella di ridurre i costi ed invece Ornella è “diversa” anche nel modo di affrontare questa crisi.

Diego è la napoletanità fatta persona (bisogna leggere il libro per capire questa mia affermazione). E’ talmente napoletano nella forma-mentis, che a suo confronto Gennarino Esposito è svedese.

Grazie all’effervescenza di Diego, alle lucide analisi folli della Patti, ai consigli di Mr George e al silenzioso apporto di Bernard, Ornella affronterà questa ennesima battaglia che la porterà ad guardare gli scheletri che ha rinchiuso nel suo armadio da troppo tempo, e che ormai sono diventati una zavorra che le impedisce di progredire nella sua vita.

Bianchini ha nel suo modo di scrivere, un qualcosa che ricorda i cantastorie medievali. Non si riesce mai a capire quali siano le vere intenzioni dell’autore perchè le nasconde sempre sotto un velo leggero ma sufficientemente spesso da impedirci una chiara visione. Anche al termine di questo ennesimo romanzo ci si ritrova nella condizione di non sapere se si è davvero capito tutto quanto l’autore volesse trasmettere.

Il romanzo è molto scorrevole e può sembrare leggero, ad un lettore poco attento; invece probabilmente si tratta del romanzo più “psicologico” di Bianchini. Lo definisco psicologico perchè ogni avvenimento, ogni parola, ogni scelta nascondono una ridda di motivazioni psicologiche che il lettore è invitato a scoprire da solo.

I personaggi sono molto ben definiti forse perchè l’intento dell’autore è quello di obbligare il lettore a concentrarsi sulla psicologia dei personaggi più che non sulla loro fisicità.

Come scrivevo all’inizio di questa chilometrica recensione, questo è veramente un bel romanzo; meno accogliente di quanto lo fosse il precedente “Io che amo solo te” ed il conseguente “La cena di Natale” ma sicuramente un libro che lancia al lettore una sfida più eccitante. Riuscire a rintracciare e comprendere tutte le verità nascoste nel corso del romanzo.

Ultima annotazione: tratto da una storia vera.

Libro da leggere con enorme attenzione ma sicuramente consigliatissimo.

Il bambino con il pigiama a righe

Il bambino con il pigiama a righe di John Boyne edito da Rizzoli prima edizione 2006.

Cominciamo col dire che si tratta di un’opera di fantasia perchè quello che è raccontato nel romanzo non è assolutamente potuto accadere nella realtà. Non voglio negare l’olocausto degli ebrei e di tutte le altre persone gasate dai nazisti, ma intendo riferirmi al fatto che ci sono un paio di errori nella narrazione. Ad esempio: il campo di prigionia aveva la recinzione elettrificata e quindi era impossibile strisciarci sotto; inoltre l’odore della gente bruciata nei forni si sentiva a chilometri di distanza e quindi nessuno di quelli che abitavano intorno potevano ignorare quello che accadeva nel campo.

A parte questa doverosa precisazione, parliamo della storia. In questo romanzo si parla degli orrori del nazismo visti con gli occhi di un bambino. Il protagonista è Bruno, un bambino che vive insieme ai suoi genitori a Berlino in una bellissima casa. La sua famiglia è composta dal padre che è un gerarca nazista, dalla madre che è una donna succube del marito e dalla sorella Gretel, dodicenne un po’ svampitella e sulla soglia dell’adolescenza.

Il padre di Bruno ottiene una promozione dal Fuhrer (Bruno per tutto il romanzo lo chiama “Il Furio”) che obbliga la famiglia ad abbandonare la vita dorata della casa di Berlino per trasferirsi in quello che si scoprirà essere il campo di concentramento di Auschwitz.

I primi tempi nella nuova casa sono difficili per il bambino che si ritrova senza amici e senza legami; proverà ad avvicinarsi alla sorella ma la loro distanza è siderale. Lui è ancora un bimbetto mentre lei sta iniziando a sentire le prime scariche ormonali dell’adolescenza.

Un triste pomeriggio Bruno sta giocando nella sua stanza quando dalla finestra vede che nel campo, mescolato in mezzo a tutti gli adulti, c’è un bambino circa della sua età; pensa che forse potrebbe giocare con lui. Così si organizza e il giorno dopo inizia a camminare rasente al recinto per cercare di incontrare il bambino. La fortuna è dalla sua e ad un certo punto riesce davvero ad incontrarlo e si stupisce dello strano “pigiama” a righe che indossa.

Tra i due bambini si instaura una forte amicizia ma sempre attraverso la recinzione del campo. I due bambini vorrebbero poter essere dalla stessa parte del recinto qualunque sia. Bruno ci pensa qualche giorno e poi riesce ad entrare nel recinto e…

Il libro è scritto bene, molto scorrevole. La difficoltà dell’autore di scrivere come un bambino è stata brillantemente superata. La storia è abbastanza avvincente e i personaggi sono raccontati quel tanto che basta per farli amare o odiare a seconda.

Straordinario il modo di rappresentare il padre di Bruno, sembra quasi di sentire la sua rigidità e la sua fermezza. Ho trovato abbastanza divertente l’episodio in cui il Fuhrer va a cena a casa di Bruno.

Mi ripeto, se non fosse per quei problemi analizzati nella fase iniziale di questo commento, forse saremmo davanti ad un ottimo libro ed invece purtroppo il mio commento deve essere abbastanza spietato perchè, anche si trattasse di una “favola” sarebbe comunque una favola troppo assurda per essere vera.

Libro consigliato ma da leggere con le pinze.

Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri di Markus Zusak edito da Frassinelli prima edizione 2005.

Questo è un romanzo atipico per varie ragioni; intanto è uno dei pochi libri in cui la seconda guerra mondiale ci viene raccontata dalla parte della Germania e non dalla parte degli ebrei o degli alleati; inoltre l’io-narrante è decisamente atipico (non scendo in particolari per non togliere la sorpresa al lettore).

La piccola Liesel Meminger sta viaggiando insieme alla mamma e al fratellino diretta al piccolo paese vicino Monaco dove vive la famiglia che ha adottati i due bimbi (ma questo loro non lo sanno). Inaspettatamente il fratello di Liesel muore durante il viaggio in treno e viene seppellito durante una sosta del viaggio.

Proprio questa sosta farà di Liesel la ladra di libri annunciata dal titolo infatti, durante l’interramento del cadavere del fratello, il caso aiuta Liesel a trovare un libretto nella neve. Senza pensarci troppo la giovane lo raccoglie e lo nasconde.

La bambina non sa leggere eppure l’attrazione di quel piccolo oggetto (che immagino nero e consunto) è troppo forte e che, per la bambina, diventa un tesoro inestimabile.

Giunta nella famiglia adottiva e dopo aver superato il trauma dell’abbandono da parte della madre, Liesel inizia la sua vita con la nuova famiglia. Il padre è un uomo buono che cerca in tutti i modi di mettere a suo agio la piccola, mentre la madre adottiva è una specie di arpia che la maltratta e la riempie di parolacce ma che si rivelerà, nel corso del romanzo, molto meno cattiva di quanto possa apparire.

E’ una vita dura quella che Liesel affronta fatta di consegne del bucato stirato dalla madre, poche gioie, scuola, amicizie nuove e giochi con in sottofondo il rumore sordo della guerra.

Grazie al padre adottivo Liesel inizia ad imparare a leggere e, il libricino che ha rubato diventa il loro libro di testo.

Questo appuntamento notturno si trasforma nel filo che legherà il rapporto tra la piccola e il padre. Proprio quando sembra che tutto si stia volgendo al meglio (guerra permettendo) ecco che entra in scena un nuovo personaggio; Max è un ebreo in fuga dai nazisti che cerca rifugio nella casa dei genitori di Liesel.

La storia acquisisce quindi una nota di tragica urgenza. Liesel sa che se i nazisti dovessero trovare Max nascosto nella loro casa per loro sarebbe la deportazione immediata in un campo di concentramento se non addirittura la morte, eppure il personaggio di Max la affascina; pian piano tra i due si stringe una bella amicizia. Liesel aiuta Max a sopportare i lunghi giorni di solitudine nella cantina di casa e Max aiuta Liesel con i suoi racconti.

Durante una manifestazione per il compleanno del Fuhrer (in cui la partecipazione è obbligatoria) vengono accatastati i libri che il regime ritiene pericolosi o sovversivi e vengono dati alle fiamme. Quando la festa è finita Liesel si accorge di un piccolo libro che non è stato divorato dalle fiamme e, nonostante il pericolo e la paura, lo nasconde sotto la giacca. Non sarà l’ultima volta che la protagonista si troverà a rubare libri.

La trama è molto complessa perchè entrano in gioco svariati elementi, personaggi, cause ed effetti; nonostante ciò il libro è scorrevole e molto gradevole alla lettura.

I personaggi sono ben delineati e, per la prima volta assistiamo al racconto della guerra dalla parte del popolo tedesco. La fatica di convivere con una guerra devastante, la disillusione di un popolo che non ne capisce le motivazioni, la fame, la difficoltà di sopravvivere sia agli stenti che al regime nazista, il tutto visto dagli occhi di una ragazzina prima e dei suoi amici poi.

Libro molto interessante, la cui trovata geniale sta non tanto nella trama stessa, quanto nella voce narrante. Per la prima volta sentiamo le opinioni e i sentimenti di chi ci spaventa ancestralmente, e sono sensazioni che certo non ci aspetteremmo da lei.

Libro consigliato.

Open

Open di Andre Agassi edito da Einaudi prima edizione 2009.

Il sottotitolo del libro è “La mia storia”, e chiaramente è la biografia, anzi l’autobiografia di Andre Agassi.

Pur trattandosi della vita di uno sportivo non è un libro banale ed il tennis serve all’autore solo per raccontarci la vita che riempie le pause dal tennis.

Il primo capitolo si intitola “La fine” e inizia dicendo “Apro gli occhi e non so dove sono o chi sono. Non è una novità: ho passato metà della mia vita senza saperlo. Eppure oggi è diverso. E’ una confusione più terrificante. Più totale”.

Tutto prende le mosse dall’ultimo incontro che gioca Agassi come professionista e dalle difficoltà di affrontare, non tanto l’avversario oltre la rete, quanto quello che vive nella sua testa.

Entriamo così nel flusso di pensieri di Andre che ci racconterà tutta la sua esistenza; dall’infanzia in famiglia con un padre ossessionato dall’idea del successo come chiave per la ricchezza, al matrimonio farsa con Brooke Shields, fino al vero amore che arriva quando meno ce lo si aspetti.

Non voglio anticipare niente a chi deciderà di affrontare questo libro che è scritto proprio come un romanzo; però al contempo vi dirò quale è stato l’episodio che ho sentito maggiormente come mio. Andre racconta del “drago” che è un lanciapalle che suo padre ha modificato perchè le palline vengano scagliate più spesso e più forti del normale. Questa figura del drago inseguirà il tennista per tutta la sua vita sportiva.

Dal punto di vista letterario è scritto molto bene, lo stile è scorrevole e molto intrigante. Non vi annoierete mai durante la lettura di questo libro e, se come me avete guardato il tennis degli anni 80-90, allora farete anche un bel giro nei ricordi leggendo il resoconto delle partite giocate da Agassi.

La parte però che maggiormente vi rimarrà dentro il cuore sono le sensazioni e le emozioni di un ragazzo che non ha mai capito cosa volesse fare, ma che di certo non avrebbe mai voluto giocare a tennis.

Allego gli scritti presenti sul quarto di copertina iniziale e finale tanto per farvi capire cosa potrete trovare nel libro.

Se colpisci 2500 palle al giorno, cioè 17500 la settimana, cioè un milione di palle l’anno, non potrai che diventare il numero uno. Questo è quello che il padre-padrone di Agassi ripeteva ad Andre bambino, costringendolo ad allenamenti disumani nel cortile di casa contro una sorta di drago sputapalle di sua invenzione. Un padre dispotico e ossessivo che con i suoi metodi brutali diede l’avvio a una delle carriere sportive più sfolgoranti e anche controverse di tutti i tempi. Perchè Andre Agassi con i suoi capelli ossigenati, l’orecchino e le tenute sportive più da musicista punk che da tennista, ha sconvolto l’austero mondo del tennis”.

Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giovare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perchè non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l’essenza della mia vita…”.

Libro consigliato.

Il segreto di Luca

Il segreto di Luca di Ignazio Silone edito da Mondadori prima edizione 1956.

Luca Sabatini torna nel paese di origine Cisterna dei Marsi, dopo quarant’anni di detenzione nelle patrie galere. Il suo rientro scatena le paure degli abitanti che lo ritengono ancora colpevole nonostante sia stato graziato perchè il vero colpevole ha confessato in punto di morte.

Qualche giorno dopo il suo rientro in paese, la vita del piccolo comune è agitata dall’arrivo di un noto uomo politico, Andrea Cipriani, figlio di un grande amico di Luca.

L’incontro tra i due incuriosisce il politico che abbandona momentaneamente la sua attività pubblica per fare un’indagine privata con l’intento di scoprire quali siano stati i motivi che hanno portato Luca a non difendersi durante il processo.

L’indagine prende le mosse da un colloquio con Don Serafino, ex parroco di Cisterna, seguito poi una chiacchierata con il mugnaio e la di lui moglie. Le cose che scopre lo portano ad andare nel comune di Perticara dove parla con Gelsomina, la sorella di Lauretta che al tempo dei fatti era la fidanzata di Luca.

Continuando la sua ricerca Andrea scopre che Luca ha avuto una relazione con una donna sposata. Scoprirà anche il nome della donna, Ortensia, ma ancora non riesce a scoprire dove Luca abbia trascorso la notte in cui è stato commesso il delitto di cui Luca è stato accusato e in conseguenza arrestato.

Sarà lo stesso Luca a rivelarglielo quando Andrea gli porterà il diario segreto di Ortensia.

Ovviamente per scoprire quale sia il segreto e quali siano state le motivazioni per cui Luca non si è difeso durante il processo, dovrete leggervi il libro.

Si tratta di un romanzo breve ma molto intenso, ogni pagina è ricca di simboli e richiede riflessione. Tra i simboli presenti nel libro la croce e l’aceto meritano una menzione speciale. La croce perchè, essendo il modo di firmare degli analfabeti, si è associata all’idea che sia la firma dei derelitti; l’aceto invece si collega, nella mente di Andrea con l’odore dell’innocenza perseguitata.

Ripeto è un libro breve però è uno di quei romanzi che rimangono impressi nella mente e nell’anima dei lettori. La capacità di scrittura quasi ermetica di Silone obbliga il lettore al completamento dei caratteri, delle “scenografie” e lo porta a riflettere sulla forza delle motivazioni che costringono le persone a fare le scelte più bizzarre anche quando sono sfavorevoli.

Le ambientazioni, i personaggi, le trame, le luci e i colori sono appena accennati ma tanto basta per trasportare il lettore in questo paesino e nelle vite dei protagonisti.

Libro consigliato.

La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve

La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson edito da Bompiani prima edizione 2009.

Il protagonista di questo libro è Allan un anziano che proprio in occasione del suo centesimo compleanno (e mentre nella casa di riposo dove vive si stanno organizzando i festeggiamenti per il suo compleanno), decide che vuole andare a “farsi un giro” e a comprare una bottiglia di liquore.

Senza nemmeno togliersi le ciabatte scavalca una finestra e si allontana dal nosocomio e da quella burbera della direttrice. Arrivato alla stazione dei pullman, Allan si imbatte in uno strano giovane biondo che si accompagna con una grossa valigia. La vescica del giovane biondo ha bisogno di essere svuotata ma nel piccolo bagno della stazione dei pullman non c’è abbastanza spazio e così il giovane chiede ad Allan di tenergli un momento la valigia sicuro che il vecchietto non farà certo colpi di testa.

Arriva una corriera e siccome Allan non ha alcuna destinazione, decide di salire su quel pullman portandosi dietro la grossa valigia. Quello che Allan non sa è che lo strano giovane biondo è in realtà un criminale affiliato ad una gang dedita al traffico di droga.

Capelli bianchi, schiena incurvata, artrosi, un inizio di demenza senile e un paio di ciabatte, Allan si avvia verso un’avventura ai limiti del surreale in cui si trasformerà in criminale prima, in fuggiasco poi, in allevatore di elefanti e si circonderà di buoni amici conosciuti per caso.

Allan, prima solo, incontrerà Julius Jonnson un settantenne solo e male in arnese con cui scoprirà il misterioso contenuto della valigia e con cui affronterà il giovane biondo quando questi busserà alla porta della casetta dove i due si nascondono e…

Il duo si trasforma ben presto in una eterogenea combriccola di personaggi che, volenti o nolenti, si troveranno a dover affrontare situazioni inverosimili che supereranno con una buona dose di fantasia e di “fattore C”.

Il tutto accompagnato dai racconti della gioventù di Allan grazie ai quali scopriamo che il nostro centenario ha avuto una vita avventurosa e piena di attività di successo e incontri importanti.

Devo ammettere che, mentre la parte “romanzesca” del libro è scorrevole e fondamentalmente ben costruita, i flash back sulla vita di Allan li ho trovati spesso pesanti (per non dire noiosi).

Sembra quasi che i due filoni siano stati scritti da mani diverse perchè, mentre il romanzo suscita a volta anche un po’ di ilarità, la parte storica è fumosa e sostanzialmente noiosa.

Il romanzo nella sua interezza si lascia comunque leggere senza particolari guizzi di fantasia o divertimento.

E’ un romanzo molto nordico; forse parte della mia difficoltà con questo libro nasce dal fatto che la letteratura nordica non mi è molto congeniale a partire dalla difficoltà nel leggere i nomi.

Probabilmente il mio giudizio abbastanza negativo deriva anche da questa mia idiosincrasia nei confronti dei romanzi del nord Europa. In fondo ho avuto la stessa reazione anche con altri autori delle stesse latitudini.

Credo che se il testo fosse stato sviluppato seguendo solo le peripezie di Allan e i suoi amici probabilmente avremmo tra le mani un piccolo romanzo divertente ed invece siamo di fronte ad un libro che, pur nel suo potenziale, lascia completamente indifferenti al termine della lettura.

Libro non consigliato.

Shantaram

Shantaram di Gregory David Roberts edito da Neri Pozza prima edizione 2003

Il sottotitolo di questo libro potrebbe essere “Diario di una rinascita” perchè proprio di questo si tratta. Di una rinascita vera e propria.

Si tratta di un bellissimo romanzo autobiografico in cui si raccontano le avventure di un eroinomane, rapinatore australiano, evaso dal carcere di Pentridge e rifugiato in India dove poi ha vissuto per oltre 10 anni.

Penso che il modo migliore per entrare nella meraviglia di questo volume sia lasciar parlare il libro stesso con quello che credo sia uno dei migliori incipit dei romanzi contemporanei.

Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale, però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto. Ma quando non hai altro, stretto da una catena che ti morde la carne, una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita”.

Roberts ci immerge fin dall’inizio nella sua vita-avventura; è come se scendessimo con lui dall’aereo che lo deposita nella Bombay più “indiana” che mi sia mai capitata di visitare. Nella narrazione dell’autore se ne percepisce l’odore acre e speziato, si sente il trambusto, la lotta spasmodica per la vita, il calore afoso e appiccicoso; si apprezzano i volti differenti eppure noti del popolo.

Quasi impossibile fare una sinossi del romanzo ma alcune considerazioni mi sento di farle.

Vediamo Roberts scendere dall’aereo e immergersi in una città multicolore, multiforme, multietnica, multi-qualsiasi cosa e immediatamente eccolo in un “hotel” di infima categoria a condividere un po’ di droga con altri turisti.

L’incontro con un ragazzo del luogo di nome “Prabaker” sarà l’inizio della sua risalita. Tante sono le avventure che il protagonista vivrà. Lo vedremo organizzare una clinica gratuita in uno “slum” (che sono le baraccopoli più povere della città) dove imparerà a conoscere la cultura di un popolo che finirà per amare immensamente; lo vedremo alle prese con la maitresse più influente di Bombay che lo farà arrestare senza una vera colpa; entrerà in contatto il più potente boss della mafia locale che lo trascinerà in luoghi meravigliosi e spaventosi dell’India; diventerà molto ricco riuscendo allo stesso tempo ad avere un rapporto molto distaccato con il denaro.

Lo so che ho scritto tanto ma in realtà non ho ancora detto niente di questo romanzo. Il problema è che troppe sono le cose, le avventure, i profumi, i suoni, le emozioni, le disgrazie, le fortune, i tramonti che si possono trovare in questo ponderoso volume.

Vi prego, vi prego, vi prego non fatevi scoraggiare dalla dimensione di questo libro. E’ vero, sono oltre novecento pagine eppure scorrono veloci come l’acqua di un fiume impetuoso. Sarà grazie alla capacità di scrittura di Roberts che riesce con poche righe a raccontare sensazioni ed emozioni, sarà per le affascinanti immagini raccontate, sarà per la trama avvincente ma questo libro è veramente una “grossa” gemma.

Da leggere assolutamente gustandone sulla lingua i sapori.

Ho smesso di piangere

Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti edito da Mondadori. Prima edizione 2012.

E’ un gran bel libro che tratta di un argomento difficile quale è la depressione, e della difficoltà dei malati di far credere ai “sani” la propria condizione. Veronica racconta con sincerità, e quella ironia tipica del personaggio la sua odissea, il suo viaggio di rinascita.

Scopo nemmeno troppo velato di questo scritto è sicuramente quello di dare testimonianza della grave malattia che affligge più persone di quelle che potremmo immaginare, ma anche quello di cercare di infondere una speranza a tutti coloro che sono malati.

Indubbiamente si tratta di un libro verità che racconta una sofferenza durata anni e lascia il lettore basito su quanto sia stato bravo il personaggio pubblico Pivetti, per tutto il tempo della sua malattia, a recitare ruoli brillanti mentre “moriva” dentro, mentre tutto quello che anelava nel cuore era semplicemente morire.

La causa scatenante della depressione di Veronica è stato un problema tiroideo, ma non è poi così importante quale sia stato il motivo (che per ogni malato può essere diverso). Il punto è che la malattia è latente nell’animo e poi all’improvviso, come un interruttore pronto a scattare, si attiva con rabbia. C’è come qualcosa che si rompe dentro, che si alza ed inizia la sua opera distruttiva e che, per le persone famose, di successo e ricche è ancora più difficile da far credere specie, se come nel caso di Veronica Pivetti, sono dedite all’ironia.

Seguire la nostra “eroina” tra medici che non hanno la capacità di ascoltare, buone amiche (per fortuna che esistono) che si assumono il ruolo di “cani guida per ciechi” e fans ignari (che vorrebbero la corrispondenza perfetta tra personaggio e attore), significa vederla compiere il suo calvario che la porta a riacquistare il suo equilibrio senza perdere la verve e a conoscersi molto più in profondità.

Il tutto ovviamente raccontato con quello spirito goliardico che personalmente associo a Veronica Pivetti e a quella ironia che trasuda dalla sua pelle. Durante la lettura del libro me la vedevo girare per Milano (o Roma a seconda dei casi) per recarsi dai vari specialisti o per andare dalla propria casa a quella dell’amica che l’ha sostenuta (certe volte non solo psicologicamente) con quella sua adorabile aria stralunata e trasognata che tanto amo in lei.

Ho trovato molto triste e al contempo molto vero (e sono contento che l’abbia scritto) il racconto del rapporto interrotto con il suo cane; Veronica ha capito che, nel momento più buio della depressione, non c’era spazio per nessun altro al di fuori di sé stessa. Che tutte le sue energie dovevano essere focalizzate nel tentativo di superare quel grave handicap che le era caduto addosso. Ripeto, è molto triste ammettere di aver abbandonato il proprio cane, ma al contempo era l’unica cosa che poteva fare. A parziale scusante diciamo che il cane non è stato abbandonato, ma soltanto “parcheggiato” per qualche tempo a casa dell’amica.

C’è una frase che mi piace molto e che con la quale voglio chiudere questo breve racconto, dice: “Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po’ rattoppata, ho un’anima patchwork, e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perchè la vita si fa con quello che c’è…”

Ultima notazione veloce. Non pensate che sia un libro triste e noioso; ci si diverte un sacco in questo libro, non fosse altro che per il ritrovato spirito dell’autrice. Ci si ritrova a sorridere delle sue sventure perchè tutto viene affrontato seriamente ma sempre con quella leggerezza d’animo e quel sorriso un po’ sghembo che è tipico di Veronica Pivetti. Sembra sempre che stia per dirne una delle sue o per fare una delle sue “figure”.

Libro consigliato a tutti quelli che vogliono capire di più di questa malattia del nostro tempo, e anche a tutti quelli che vogliono vedere il personaggio pubblico svestire i panni di comico e conoscere il vero cuore della donna Veronica Pivetti.

L’ombra del vento

L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori, prima edizione 2004.

Compito difficile scrivere di questo libro. A me piace moltissimo tanto è vero che l’ho già riletto tre volte però è anche vero che è un libro abbastanza complicato.

Scritto indubbiamente molto bene ma la sinossi sarà difficile perchè essendo un giallo posso dire poco. Sicuramente Zafon è un grande, conosce a menadito l’arte di scrivere. Sa come mantenere alta la tensione e sa come incollare l’attenzione del lettore alla trama.

La trama appunto… vediamo di dare un’idea senza svelare troppo per chi (e credo siano pochi) ancora non l’avesse letto.

Il libro è ambientato nella Barcellona del 1945; la città più straordinaria e magica che si possa immaginare.

All’età di dieci anni il giovane Daniel Sampere viene accompagnato dal padre in un posto straordinario, “Il cimitero dei libri dimenticati” da cui uscirà poco dopo stringendo tra le braccia un libro maledetto, dell’autore Julian Carax, che cambierà il corso della sua vita introducendolo nei misteri ed intrighi legati all’autore di quel libro.

Per molti anni, infatti, Daniel inseguirà il fantasma di Carax, scoprendo che qualcuno ha voluto a tutti i costi, anche uccidendo, distruggere fino all’ultima copia dei suoi libri. Tanto che quella nelle sue mani è forse l’ultima rimasta.

Dal passato emerge una storia di passioni illecite, di amori controversi e impossibili, di amicizie e lealtà assolute, di follia omicida e, soprattutto, un macabro segreto gelosamente custodito in una villa abbandonata.

Una storia in cui Daniel ritrova poco a poco inquietanti parallelismi con la propria vita.

E’ sicuramente un libro giallo ma è anche un libro storico e una tragedia amorosa in cui i bagliori del passato si riverberano nella formazione del protagonista.

Moderno feuilleton, precisissimo nelle ambientazioni e con personaggi indimenticabili che si muovono in una Barcellona dalla duplice identità, quella ricca ed elegante degli ultimi splendori del modernismo e quella cupa, opprimente, del franchismo, tetra miscela di povertà e repressione.

Una precisazione sui personaggi. Zafon è bravissimo a disegnare le personalità degli “attori”; in brevissime descrizioni riesce a rappresentare l’anima della persona lasciando al lettore il compito di immaginare quello che non viene raccontato. Attenzione però perchè in questo libro quasi nessuno è quello che si pensa. Tutto il romanzo è farcito di personaggi che non sono chi dichiarano di essere, uomini che non hanno una faccia e si nascondono negli angoli bui della città; donne che dichiarano di essere sposate con uomini trattenuti in prigione, ma la realtà è molto diversa e addirittura abbiamo anche un barbone che diventa un cardine per la risoluzione del mistero.

Insomma nella lettura di questo libro bisogna stare molto attenti; tutto quello che viene raccontato è importante per la comprensione di quello che verrà svelato ovviamente soltanto al termine.

Poche parole sulla città; sarà che ho passeggiato parecchio per Barcellona, ma riuscivo ad immaginare i movimenti dei vari protagonisti nel cuore antico della città. Le ambientazioni scelte dall’autore regalano a Barcellona quell’aura di mistero e meraviglia che ben si accompagna ai miei ricordi.

Forse si capisce che Barcellona è una delle mie città preferite ma, anche se non ci siete mai stati, leggete questo libro e la voglia di farci un giro crescerà a dismisura.

Ovviamente libro consigliato.