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Nessuno come noi

Nessuno come noi – di Luca Bianchini, edito da Mondadori, prima edizione 2017.

La location di questa storia è situata nella provincia di Torino e l’anno è il 1987. Nel fulgore dei ruggenti anni ottanta, nel liceo Majorana di   Moncalieri si aggira un losco figuro che risponde al nome di Vincenzo ma, per tutti è solo Vince.

Come tutti quelli della sua età è un grande “aspirante”. Aspirante paninaro, aspirante innamorato, aspirante diciassettenne, aspirante di avere più libertà, aspirante che gli regalino un motorino, e aspirante… un sacco di altre cose che non confesserebbe a nessuno nemmeno sotto tortura.

Come tutti i protagonisti ha intorno a se i suoi seguaci: nello specifico si chiamano Caterina detta Cate e Spagna che è la dark della scuola. Capelli scuri e atteggiamento sempre molto simile al colore dei suoi capelli. Sono amici e credono talmente tanto nella loro amicizia che si sentono come se fossero amici da sempre. Sono così amici che, a scuola li chiamano “Tre cuori in affitto” che, guarda caso è anche la loro sit-com preferita.

La santità di questa triade viene spezzata improvvisamente e senza preavviso dall’arrivo di un nuovo alunno che si chiama Romeo Fioravanti e non potrebbe essere più diverso da loro. Il nuovo arrivato sembra un alieno per quanto è diverso da loro. Più grande di un anno perché è stato bocciato, bello, veste alla moda, ha la moto, e recita il ruolo, prima con sé stesso poi con gli altri, di quello forte, duro, che ha già capito tutto della vita. Siccome Romeo rischia di essere nuovamente bocciato viene affidato alle cure di Vince che lo dovrebbe aiutare a studiare. All’inizio i due fanno fatica a comprendersi ma, una volta prese le misure, inizieranno a camminare con lo stesso passo facendo esperienze che ricorderanno per tutta la vita.

Riuscirà l’aspirante Vince, coadiuvato dalle due parche a salvare il bullo Romeo? Cosa apprenderà in cambio Vince da questa relazione?

Questo romanzo ha un che di anomalo per tante ragioni. Intanto è un romanzo breve (siamo intorno alle 250 pagine) e ad una lettura distratta potrebbe sembrare un libricino che non lascia nulla al lettore; sembra che il protagonista sia soltanto Vince e invece arrivando alla fine e lasciandolo sedimentare si scopre tutto un mondo che non si era notato durante la lettura.

Spicca nella memoria il personaggio di Betty Bottone, insegnante di italiano che fa esercizi di danza moderna mentre spiega e che quando si arrabbia, lo fa in francese.

Tutti i personaggi, dai principali ai secondari rivestono un ruolo fondamentale perché incoscientemente danno ai quattro ragazzi delle lezioni importantissime.

Ogni pagina del romanzo è pervasa da quel senso di meraviglia che è tipico dell’adolescenza; dove sembra che tutto sia a portata di mano, che tutto sia fattibile; addirittura mentre lo leggevo avevo la sensazione di sentire il profumo degli ormoni dei ragazzi.

Questo scritto, tra le altre cose ricorda a noi, che non siamo più adolescenti da un po’, che la vita non necessita di accompagnamenti. Non servono i cellulari o i computer, non serve il Suv o la macchina sportiva, quello che serve è solo la voglia di passare, di nuovo, tutto il tempo possibile con le persone che siano in grado di farci battere il cuore. Ma non si tratta di battiti d’amore ma di quei battiti che, solo con gli amici veri sono all’unisono.

Secondo me l’autore ha cercato di fare una “operazione nostalgia” più per sé stesso che per noi lettori ma, ad un certo punto si è accorto che si erano affastellati nella sua memoria talmente tanti ricordi che chiedevano di essere spolverati, che non ha potuto fare altro che lasciare scorrere la penna e fluire insieme all’inchiostro anche la sua vita di adolescente.

Ultima notazione: Bianchini ha la straordinaria capacità di tratteggiare i personaggi con pochi elementi ma talmente pregnanti da permettere al lettore di immaginarli a tutto tondo.

In questo romanzo c’è molto dell’autore e proprio per questo è un libro consigliato a tutti ma soprattutto a chi ha voglia di ricordare, con un velo di malinconia, l’epoca dorata dell’adolescenza.

Il venditore di metafore

Il venditore di metafore di Salvatore Niffoi, edito da Giunti, prima edizione 2017.

Al giorno d’oggi tutti raccontano storie o, per essere più precisi, tutti narrano storie; e allora perché non focalizzare la nostra attenzione su qualcuno che ha fatto della narrazione la propria vita.

Agapitu Vasoleddu nato a Thilipirches, solo e colpito più volte dalla crudeltà della vita, sopravvissuto alla carestia cattiva che si è mangiata tutto il suo paese, decide di seguire il suo cuore e di mettere a frutto il suo talento. Eccolo quindi scuotere la polvere dalla sua berretta, abbandonare la casa, il carro, la terra e tutto ciò che ha di caro, per andarsene ramingo di paese in paese a raccontare le storie della tradizione o quelle che inventa con grande fantasia.

Ecco che arriva in piazza e promette meraviglie, si toglie il berretto, si segna rapidamente, sale sullo scrannetto e da libero sfogo alla sua arte. Cosa racconta? La storia del becchino che, dopo quarant’anni di fatica e prossimo alla pensione, ha solo un lavoro ancora da fare. Completare il suo primo lavoro cioè disseppellire i corpi di due vecchi sposi che sono morti abbracciati. Il povero becchino scava, scava e continua a scavare ma dei due corpi nemmeno l’ombra.

Racconterà la storia di Juvanna Graveglio della sua bellezza straordinaria e della sua paura dei topi; oppure quella di Aloino Conca ‘e Tavedda inventore della macchina “cancella peccati”. Di Peppa Bascioccu e del marito impotente, o quella del bambino rifiutato dalla morte.

Par quasi di sentire l’imbonitore che arringa la folla: “venite, venite. Correte grandi e piccini ad ubriacarvi di parole”.

Come dicevo prima, nella società odierna tutti raccontano, ma le storie si assomigliano tutte. Meglio allora ritornare ad ascoltare il vero suono del racconto, quel suono che ha quel sapore di fiaba, che ricorda le storie che servono ad alleggerire il peso della vita. Lasciamoci guidare quindi dalla voce di Agapitu Vasoleddu, noto Matoforu (metafora).

Il tutto ambientato nella Sardegna di Niffoi. Una terra amatissima e amarissima, caratterizzata da un dialetto che è più lingua della lingua stessa. Durante l’ascolto delle storie le parole fremono, bollono, scoppiettano, scivolano rendendoci sazi di quei profumi che avvertiamo nel naso, e di quei sapori che titillano la nostra lingua.

In questo romanzo di Niffoi c’è tutto quello che ci si aspetta di trovare. La beffa, la crudeltà, la povertà, il realismo, l’orrore ma anche l’amore, il piacere, la dolcezza e la bestemmia.

Proprio per la sua innovazione nella tradizione ritengo che gli scritti di Niffoi, e questo in particolare, siano pagine esemplari di letteratura contemporanea. Brani che si leggeranno nelle antologie dei nostri figli.

Chiaramente in questo romanzo c’è molto di più e non sarò certo io a raccontarvelo. In tutte le storie di Agapitu c’è il sogno e la realtà, il dolce e l’amaro, il secco e il bagnato e ci sono tutte le contraddizioni che meglio raccontano questa terra stupenda che è la Sardegna o, per essere più precisi, la Barbagia.

I personaggi, come sempre fa il buon autore, sono sommariamente tratteggiati in modo che la mente del lettore li completi a suo gusto; nonostante questo però, gli elementi essenziale per la lettura del personaggio ci sono tutti. Le psicologie rurali sono perfettamente dipinte, le paure, le ansie, le superstizioni avvolgono il lettore e lo trasportano in un mondo che forse, non esiste più ma che ci fa sempre piacere visitare.

Non sarà una lettura semplice d’altronde la lingua sarda rispecchia l’asprezza del territorio, ma la bravura di Niffoi è anche quella di amalgamare perfettamente il dialetto con l’italiano dando respiro al lettore fino alla prossima parola in dialetto.

Mi permetto di dare un consiglio. Non vi abbattete se all’inizio le parole in dialetto saranno difficili da pronunciare. Seguite comunque il “Contacontos” nel suo viaggio e affrontate le parole dialettali come se foste bambini che imparano a leggere perché, in questo modo, scoprirete tutta la musicalità del dialetto sardo, incomprensibile spesso, ma bellissimo comunque da ascoltare.

Libro ampiamente consigliato.

Central Park

Central Park di Guillaume Musso, edito da Bompiani, prima edizione 2016.

Il romanzo prende le mosse, proprio come dice il titolo, da Central Park alle 8 del mattino.

Alice si sveglia su una panchina e non riconosce il paesaggio, ha la camicetta macchiata di sangue e la cosa che più la preoccupa è il fatto di essere ammanettata ad un perfetto sconosciuto.

Al suo risveglio il giovane dichiara di chiamarsi Gabriel e di essere un famoso pianista jazz. I due non hanno documenti, né cellulari né tantomeno denaro.

Si rendono immediatamente conto di essersi risvegliati in Central Park e la mente analitica di Alice, che fino al giorno prima era una poliziotta francese, inizia immediatamente a calcolare se c’è sufficiente tempo per la trasvolata oceanica.

L’unica certezza di Alice è che la sera precedente è uscita con le amiche, si è abbondantemente ubriacata e poi… non ha altri ricord.

Pensa di essere stata narcotizzata e rapita ma di nuovo è assalita da una gran quantità di perché a cui non sa dare una risposta plausibile.

Il fatto di trovarsi in una città straniera senza documenti e per di più ammanettati tra loro consiglia ad Alice e Gabriel di muoversi con grande cautela, di agitare il meno possibile le acque e soprattutto, di non rivolgersi alla polizia americana.

Seguiremo i due in giro per la città nord-americana attraverso peripezie, fughe rocambolesche, intrighi, sparatorie e tante avventure fino al momento in cui tutti i nodi verranno al pettine e Alice finalmente inizierà a ricordare ma, ovviamente di più non voglio svelare.

Ci troviamo di fronte ad un classico libro giallo perché fino alla fine riesce a mantenere la suspence su quello che capiterà ai nostri due protagonisti. Devo però ammettere che l’idea del finale è un po’ deludente, e anche un po’ confusa.

Sembra che l’autore, nel tentativo di mantenere alta la tensione fino alla fine abbia dimenticato di pensare ad un finale logico per l’avventura che ci ha raccontato ed abbia raffazzonato una conclusione stiracchiata.

La scrittura è molto piacevole e la storia è scorrevole. I personaggi sono ben disegnati ed è facile immaginarseli mentre scorrazzano per le streets e le avenues della grande mela. E’ facile affezionarsi a questi due scavezzacollo ma, e lo ribadisco…, peccato per il finale un po’… bho.

Libro non totalmente consigliato.

Il maestro delle ombre

Il maestro delle ombre di Donato Carrisi edito da Longanesi, prima edizione dicembre 2016.

Ringrazio la mia carissima amica Kristina P. per aver creato questa bellissima recensione.

Tra i romanzi di Donati Carrisi esiste il prima e il dopo del Suggeritore. Il prima e il dopo degli avvenimenti del Suggeritore. E così Il Maestro delle Ombre ci porta nel dopo…

Sandra Vega e Marcus sono “volti” ed “amori” conosciutissimi agli amanti di Carrisi. E qui troviamo la continuazione delle loro vite, delle loro anime, del loro essere complesse e fuggitive. Sono come ombre che convivono in ognuno di noi, tra il bene e il male. Tra l’apparenza e le paure profonde. Come scrive Marcus ”C’è un luogo in cui il mondo della luce incontra quello delle tenebre. È lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto è rarefatto, confuso, incerto”.

Marcus è un prete, che lotta contro le ombre e appartiene a uno degli ordini più antichi, al “Tribunale delle anime”; egli stesso si definisce così: “Io sono il guardiano posto a difesa del confine tra la luce e le tenebre. Perchè ogni tanto qualcosa riesce a passare. Io sono un cacciatore del buio. E il mio compito è ricacciarlo indietro”.

Sandra, ex fotorilevatrice della Scientifica, che in uno dei romanzi precedenti è costretta ad indagare sulla morte misteriosa del suo amatissimo marito, e che in questo tocca il profondo del mondo delle ombre, viene in contatto e finisce per essere toccata dell’essere di Marcus. Sandra è convinta che “a volte bisogna lavare via il male con il male” e la distruzione con l’autodistruzione.

Così le loro vite si intrecciano.

Roma, la città eterna, luogo della luce e delle ombre. Dell’eterna bellezza e del peccato eterno. Qui si colloca la bolla di papa Leone X, che scrive: “Roma non dovrebbe mai mai mai rimanere al buio”.

È da qui che parte il racconto di Carrisi.

Roma subisce un black out di 24 ore. Una giornata intera senza elettricità. E da qui che provengono le ombre.

Matilde, giovane madre, ex suora, che ha subito la perdita del suo amato unico figlio quando aveva tre anni. Durante una passeggiata, lui si stacca per un secondo spensierato, e sparisce. E qui si ferma tutto.

Tobia… Tobia… Tobia

Il vescovo, il giocattolaio, l’alchimista… Tobia.

Tutto gira intorno a Tobia. Un bambino nato da una ex suora e un cardinale, “avvocato del diavolo”. Simbolo di purezza, innocenza, bellezza, benevolenza, tenerezza.

Marcus alla ricerca della sua memoria perduta, del bambino rapito e del suo rapporto purificato con Sandra, incontra e convive con il male ed il bene attraverso le scelte consce ed inconsce.

C’è poi la Chiesa dell’eclissi. E c’è uno spietato assassino nella prigione delle monache Vedove di Cristo. E c’è il suo amore per Plinio. E c’è la sua amicizia con Marcus.

TOBIA.

TROVA TOBIA FRAI.

E alla fine il “Cacciatore del buio” senza sapere, arriva alla meta.

Così la luce trionfa.

E si conferma la convinzione di Dostojevskij “La bellezza salverà il mondo”.

BUONA LETTURA!

Bella ciao – Controstoria della resistenza.

Bella ciao – controstoria della resistenza di Giampaolo Pansa edito da prima edizione.

Ancora una volta Pansa scrive un libro che mette una nuova luce su un momento fondamentale della storia d’Italia.

Quanti di quelli che scendono in piazza per festeggiare il 25 aprile come un anniversario gioioso e festoso, sanno che in realtà anche tra i partigiani c’erano delle mele marce che si sono macchiati di tremende violenze totalmente inutili? Ecco questo è l’argomento del libro di Pansa.

Con questo libro l’autore ci racconta una controstoria della resistenza.

Ci tengo a dire subito che non è mia intenzione esprimere alcun tipo di giudizio sui valori della resistenza ne tantomeno sulle motivazioni partigiane, semplicemente credo che giustizia e correttezza necessitino che si dia la corretta esposizione anche a quelle storie che sono meno lusinghiere.

Per i comunisti la guerra contro tedeschi e fascisti era solo il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura popolare, agli ordini dell’Unione Sovietica.

Pansa racconta con dovizia di particolari come i comandanti delle squadre “Garibaldi” hanno cercato di realizzare questo piano e di come si siano comportati nei confronti di chi non accettava di sottomettersi alla loro egemonia.

Qualcuno potrà obiettare che la guerra è guerra (e anche su questo avrei qualcosa da confutare) però di sicuro non si può accettare che tali comportamenti, tali azioni violente, tali omicidi siano accettati dopo la firma della pace.

Eh si, perché purtroppo anche dopo l’armistizio e la fine del conflitto bellico, i comunisti hanno continuato ad avere atteggiamenti violenti che miravano solo ad intimidire con qualunque mezzo chi aveva perduto il conflitto.

Non poche sono le testimonianze che Pansa racconta in questo saggio. Ne viene fuori un ritratto a tinte fosche di un periodo che avrebbe dovuto essere di pace e ricostruzione ed invece era di terrore tanto quanto lo era stato quello che lo aveva preceduto.

Come al solito la lettura dei saggi di Pansa è resa un po’ difficoltosa dalla durezza delle immagini che lo scrittore porta in evidenza; dopo alcune pagine di lettura sentivo impellente la necessità di interrompere per riflettere e “digerire” quello che avevo appena scoperto.

La scrittura di Pansa è sicuramente una scrittura molto piacevole che media con la crudezza delle azioni raccontate.

Non è piacevole scoprire che, a differenza di come ci viene sempre raccontato dal circuito scolastico, i partigiani (o sarebbe meglio dire una parte di loro) non erano quelle anime belle e pure che credevamo.

Pansa si è dato una missione: quella di raccontare quella parte della realtà che per paura o per “utilità” ci è sempre stata negata.

Dopo la lettura di questo saggio si capisce di essere profondamente cambiati e si guarda alla realtà di quell’epoca, ma anche a quella attuale, con occhi molto diversi.

Libro consigliato a tutti quelli che desiderano conoscere un altro piccolo pezzo di una realtà che ci è stata raccontata in maniera di parte.

Senza vergogna

Senza Vergogna di Ursula Rutter Barzaghi edito da Tea prima edizione 1998.

Il sottotitolo di questo libro è “Una storia di coraggio contro l’AIDS”.

Enrico è malato di Aids e questa la sua storia raccontata dalla voce di una madre che non si arrende mai, che a tutti i costi vuole, per suo figlio, una vita piena di rispetto.

Riporto per intero il quarto di copertina perchè lo trovo bellissimo e chiarificante.<<“Ho potuto seguire con un solo occhio l’evolversi della malattia di mio figlio, perchè con l’altro ho dovuto vigilare che nessuno gli facesse più male dello stesso virus. Come una tigre mi sono battuta per sconfiggere ciò che poteva essergli nemico sia in me che negli altri, perchè il mio cucciolo voleva sorridere fino all’ultimo”. La storia di una madre che scopra la sieropositività del figlio e con lui affronta la paura, la sofferenza e il dolore ma anche l’isolamento e la vergogna. Madre e figlio insieme riescono, con il loro amore e la loro forza a vincere l’insicurezza dei famigliari, l’ostilità degli altri e l’indifferenza del mondo, trasformando una tragedia in una storia di solidarietà e amore.>>.

Credo sia inutile dilungarmi sul riassunto perchè quanto appena scritto è semplicemente perfetto. Seguiremo Ursula nella sua battaglia ed Enrico nel suo lento avvicinamento ad un finale che si intuisce dalle prime pagine.

Il libro sarebbe un normalissimo racconto di vita vera se non avesse una particolarità. E’ una storia italiana e in questo panorama affollato di libri che trattano lo stesso argomento ma sono tutti esteri, questa è una grande novità.

E’ uno scritto che cattura fin dalle prime righe perchè l’autrice non perde tempo in lunghi preamboli e ci introduce immediatamente nella vita di questo figlio amatissimo e fortissimo, nella sua schiettezza e nella sua faticosa lotta.

Ovviamente, proprio come ci si aspetta, in queste pagine troviamo momenti di divertimento, momenti di riflessione, di dolore ma il tutto è sempre condito dal desiderio di Ursula di dare al figlio la vita migliore possibile, ma anche dalla voglia di Enrico di non mollare mai, di continuare a lottare perchè la sua malattia esca da quel recesso sporco e puzzolente in cui è stato rinchiuso da anni di informazione terroristica.

In alcuni passaggi di questo bel romanzo mi è venuta in mente una scena del film Philadelphia quando i due avvocati sono seduti al tavolo della biblioteca e Andy legge la sentenza su cui si baserà tutta la sua accusa nei confronti dei suoi ex datori di lavoro: “L’aids è considerato un handicap ai sensi di legge non solo per le limitazioni fisiche che impone, ma anche per il pregiudizio che circonda l’aids, che esige la morte sociale che precede, e a volte accelera, la morte fisica. Questa è l’essenza della discriminazione: il formulare opinioni su altri non basate sui loro meriti individuali, ma piuttosto sulla loro appartenenza ad un gruppo con presunte caratteristiche”.

Ecco, questo è quanto si trova in questo libro-verità che sicuramente è ben scritto (anche se da un testo come questo, l’ultima cosa che si nota è il modo in cui è stato scritto).

Un libro che fa fare l’altalena al lettore; si passa dalle lacrime al sorriso e poi al riso pieno perchè, nonostante racconti una storia di sofferenza, i protagonisti di questa vicenda non perdono mai la capacità di sorridere e quella di amarsi incondizionatamente come, forse, dovremmo imparare a fare tutti. Fregandocene delle etichette.

Libro consigliato ma attenzione questo è un libro che vi cambia dentro.

Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri di Markus Zusak edito da Frassinelli prima edizione 2005.

Questo è un romanzo atipico per varie ragioni; intanto è uno dei pochi libri in cui la seconda guerra mondiale ci viene raccontata dalla parte della Germania e non dalla parte degli ebrei o degli alleati; inoltre l’io-narrante è decisamente atipico (non scendo in particolari per non togliere la sorpresa al lettore).

La piccola Liesel Meminger sta viaggiando insieme alla mamma e al fratellino diretta al piccolo paese vicino Monaco dove vive la famiglia che ha adottati i due bimbi (ma questo loro non lo sanno). Inaspettatamente il fratello di Liesel muore durante il viaggio in treno e viene seppellito durante una sosta del viaggio.

Proprio questa sosta farà di Liesel la ladra di libri annunciata dal titolo infatti, durante l’interramento del cadavere del fratello, il caso aiuta Liesel a trovare un libretto nella neve. Senza pensarci troppo la giovane lo raccoglie e lo nasconde.

La bambina non sa leggere eppure l’attrazione di quel piccolo oggetto (che immagino nero e consunto) è troppo forte e che, per la bambina, diventa un tesoro inestimabile.

Giunta nella famiglia adottiva e dopo aver superato il trauma dell’abbandono da parte della madre, Liesel inizia la sua vita con la nuova famiglia. Il padre è un uomo buono che cerca in tutti i modi di mettere a suo agio la piccola, mentre la madre adottiva è una specie di arpia che la maltratta e la riempie di parolacce ma che si rivelerà, nel corso del romanzo, molto meno cattiva di quanto possa apparire.

E’ una vita dura quella che Liesel affronta fatta di consegne del bucato stirato dalla madre, poche gioie, scuola, amicizie nuove e giochi con in sottofondo il rumore sordo della guerra.

Grazie al padre adottivo Liesel inizia ad imparare a leggere e, il libricino che ha rubato diventa il loro libro di testo.

Questo appuntamento notturno si trasforma nel filo che legherà il rapporto tra la piccola e il padre. Proprio quando sembra che tutto si stia volgendo al meglio (guerra permettendo) ecco che entra in scena un nuovo personaggio; Max è un ebreo in fuga dai nazisti che cerca rifugio nella casa dei genitori di Liesel.

La storia acquisisce quindi una nota di tragica urgenza. Liesel sa che se i nazisti dovessero trovare Max nascosto nella loro casa per loro sarebbe la deportazione immediata in un campo di concentramento se non addirittura la morte, eppure il personaggio di Max la affascina; pian piano tra i due si stringe una bella amicizia. Liesel aiuta Max a sopportare i lunghi giorni di solitudine nella cantina di casa e Max aiuta Liesel con i suoi racconti.

Durante una manifestazione per il compleanno del Fuhrer (in cui la partecipazione è obbligatoria) vengono accatastati i libri che il regime ritiene pericolosi o sovversivi e vengono dati alle fiamme. Quando la festa è finita Liesel si accorge di un piccolo libro che non è stato divorato dalle fiamme e, nonostante il pericolo e la paura, lo nasconde sotto la giacca. Non sarà l’ultima volta che la protagonista si troverà a rubare libri.

La trama è molto complessa perchè entrano in gioco svariati elementi, personaggi, cause ed effetti; nonostante ciò il libro è scorrevole e molto gradevole alla lettura.

I personaggi sono ben delineati e, per la prima volta assistiamo al racconto della guerra dalla parte del popolo tedesco. La fatica di convivere con una guerra devastante, la disillusione di un popolo che non ne capisce le motivazioni, la fame, la difficoltà di sopravvivere sia agli stenti che al regime nazista, il tutto visto dagli occhi di una ragazzina prima e dei suoi amici poi.

Libro molto interessante, la cui trovata geniale sta non tanto nella trama stessa, quanto nella voce narrante. Per la prima volta sentiamo le opinioni e i sentimenti di chi ci spaventa ancestralmente, e sono sensazioni che certo non ci aspetteremmo da lei.

Libro consigliato.

Splendore

Splendore di Margaret Mazzantini edito da Mondadori prima edizione 2013.

I protagonisti di questo romanzo sono due ragazzi, che diventano poi due uomini e che vivono i propri destini. Il primo eclettico e vitale; carnale e sofferto il secondo. Un legame fortissimo che però ha tempi di realizzazione diversi.

I due protagonisti Guido e Costantino sono due navi che si incrociano nella nebbia, che iniziano un rapporto che potrebbe essere stupendo ma, a causa della differenza di tempi che c’è tra loro si trasforma in un lotta continua.

Guido è il figlio dei ricchi dell’ultimo piano e Costantino, ricco di umanità e spirito, è figlio del portiere e vive nel sotterraneo. Non c’è coppia peggio assortita di questi due adolescenti eppure, proprio per questo, l’attrazione chimica che svilupperà tra loro sarà fortissima.

Le loro vite scorreranno parallele e, durante il viaggio i due ragazzi si occhieggieranno più e più volte, si annuseranno, conoscendosi fino nell’anima.

Il loro rapporto sarà una continua attrazione e repulsione, vergogna e violenza, vicinanza e distanza.

La vita li allontanerà come solo lei sa fare, ma l’attrazione tra loro sarà tanto forte da farli rincontrare proprio quando credono di aver finalmente trovato la pace nella loro distanza. Ci saranno matrimoni veri ed altri di facciata. Ci saranno risate e lacrime, baci e pugni.

E’ stato il primo romanzo che io abbia letto della Mazzantini e temo che sarà anche l’ultimo.

La sua scrittura è aulica, pomposa, verbosa, autoreferenziale e sterile; sfoggia una gigantesca conoscenza di parole e costruzioni per scrivere una storia che gira, avanza, si arrotola su sé stessa, torna indietro, procede, si ritrae, divaga, continua senza mai giungere ad una vera esposizione di sentimenti.

I personaggi sono poco definiti, soprattutto dal punto di vista psicologico. Le ambientazioni sono banali e anche i rapporti che i due costruiscono al di fuori dal proprio, sono opachi come i vetri delle docce.

Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questa recensione ma, la mia onestà intellettuale, reclama che io dica le cose come le penso. La storia in se poteva essere trattata molto meglio. A mio modestissimo parere, l’autrice avrebbe dovuto concentrare la sua attenzione non sulla difficoltà dei due di stare insieme, ma sulle cause psicologiche di tale difficoltà.

Poteva essere un grande, trionfale omaggio all’amore omosessuale ed invece è una insulsa storiella d’amore tra due uomini che lascia l’amaro in bocca.

Libro assolutamente non consigliato.

Spingendo la notte più in là

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi – edito da Mondadori, prima edizione 2007.

Il sottotitolo recita “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”.

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato; con il suo omicidio inizia uno dei periodi più bui della nostra repubblica, i cosiddetti “anni di piombo”. Quei due colpi di pistola non cambiarono soltanto il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti.

Questo libro però non racconta soltanto la storia dell’omicidio Calabresi ma anche quella di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre, oltre che di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo.

Il figlio di Calabresi, Mario, racconta le storie di quelli che sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, fuori dalle statistiche fredde e sterili, fuori dalle manifestazioni di cordoglio; ci porta a conoscenza dell’esistenza di altre vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto.

Tra queste vittime innocenti, troviamo chi non ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare, chi non ha sopportato la disattenzione pubblica e anche chi, non ha mai smesso di lottare perchè venisse dato il giusto risalto alla memoria.

La storia della famiglia Calabresi si intreccia con quella di tante altre persone che sono state costrette, all’improvviso, ad affrontare da soli una catastrofe privata che però appartiene a tutti gli italiani.

Durante la lettura di questo libro mi sono trovato spesso d’accordo con lo scrittore ma c’è un punto in cui davvero ho sentito il suo dolore come se fosse il mio.

Parlando delle responsabilità dei mezzi di informazione Calabresi scrive “… ma la cosa più fastidiosa e pericolosa sono le interviste standard: dei terroristi che parlano non vengono quasi mai ricordati i delitti e le responsabilità, e questo non è accettabile soprattutto se sono interpellati per discutere proprio sugli Anni di piombo. Sergio Segio, per fare un esempio, viene presentato come un esponente del Gruppo Abele, quasi mai come il killer di Galli e Alessandrini; di Anna Laura Braghetti, la brigatista che uccise con sette colpi Vittorio Bachelet alla Sapienza di Roma e partecipò al sequestro di Aldo Moro, si dice che <<coordina un servizio sociale rivolto ai detenuti>>.

La seconda cosa preoccupante è che si lascia passare un’idea romantica del terrorismo, specie nel paragone con il brigatismo degli ultimi anni, sostenendo che la lotta armata degli anni Settanta aveva dietro di sé delle idee, un progetto rivoluzionario”.

In queste parole ho ritrovato un sentimento che provavo fin da piccolo quando, leggendo sul giornale le bravate dei brigatisti, sentivo il mio animo agitarsi per la strana sensazione che i cattivi fossero sempre e tutti dalla parte dello Stato, mentre i buoni invece fossero sempre tra i terroristi.

Lungi da me voler esprimere un giudizio riguardo ad un argomento che conosco solo in maniera marginale, certo è che delle pagine del libro di Calabresi ho condiviso il dolore e quella compassione nei confronti dei parenti delle vittime che troppo spesso dimentichiamo quando accadono tragedie come queste.

Dimentichiamo troppo facilmente che dietro alla vittima di un terrorista, dietro al poliziotto che spara un colpo d’arma da fuoco, dietro al morto ammazzato sulla strada, dietro agli agenti delle scorte trucidati ci sono delle persone; delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori che devono sopportare il dolore per tutta la loro vita. Per queste vittime il “fine pena” è davvero mai.

Libro molto consigliato.