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Il venditore di metafore

Il venditore di metafore di Salvatore Niffoi, edito da Giunti, prima edizione 2017.

Al giorno d’oggi tutti raccontano storie o, per essere più precisi, tutti narrano storie; e allora perché non focalizzare la nostra attenzione su qualcuno che ha fatto della narrazione la propria vita.

Agapitu Vasoleddu nato a Thilipirches, solo e colpito più volte dalla crudeltà della vita, sopravvissuto alla carestia cattiva che si è mangiata tutto il suo paese, decide di seguire il suo cuore e di mettere a frutto il suo talento. Eccolo quindi scuotere la polvere dalla sua berretta, abbandonare la casa, il carro, la terra e tutto ciò che ha di caro, per andarsene ramingo di paese in paese a raccontare le storie della tradizione o quelle che inventa con grande fantasia.

Ecco che arriva in piazza e promette meraviglie, si toglie il berretto, si segna rapidamente, sale sullo scrannetto e da libero sfogo alla sua arte. Cosa racconta? La storia del becchino che, dopo quarant’anni di fatica e prossimo alla pensione, ha solo un lavoro ancora da fare. Completare il suo primo lavoro cioè disseppellire i corpi di due vecchi sposi che sono morti abbracciati. Il povero becchino scava, scava e continua a scavare ma dei due corpi nemmeno l’ombra.

Racconterà la storia di Juvanna Graveglio della sua bellezza straordinaria e della sua paura dei topi; oppure quella di Aloino Conca ‘e Tavedda inventore della macchina “cancella peccati”. Di Peppa Bascioccu e del marito impotente, o quella del bambino rifiutato dalla morte.

Par quasi di sentire l’imbonitore che arringa la folla: “venite, venite. Correte grandi e piccini ad ubriacarvi di parole”.

Come dicevo prima, nella società odierna tutti raccontano, ma le storie si assomigliano tutte. Meglio allora ritornare ad ascoltare il vero suono del racconto, quel suono che ha quel sapore di fiaba, che ricorda le storie che servono ad alleggerire il peso della vita. Lasciamoci guidare quindi dalla voce di Agapitu Vasoleddu, noto Matoforu (metafora).

Il tutto ambientato nella Sardegna di Niffoi. Una terra amatissima e amarissima, caratterizzata da un dialetto che è più lingua della lingua stessa. Durante l’ascolto delle storie le parole fremono, bollono, scoppiettano, scivolano rendendoci sazi di quei profumi che avvertiamo nel naso, e di quei sapori che titillano la nostra lingua.

In questo romanzo di Niffoi c’è tutto quello che ci si aspetta di trovare. La beffa, la crudeltà, la povertà, il realismo, l’orrore ma anche l’amore, il piacere, la dolcezza e la bestemmia.

Proprio per la sua innovazione nella tradizione ritengo che gli scritti di Niffoi, e questo in particolare, siano pagine esemplari di letteratura contemporanea. Brani che si leggeranno nelle antologie dei nostri figli.

Chiaramente in questo romanzo c’è molto di più e non sarò certo io a raccontarvelo. In tutte le storie di Agapitu c’è il sogno e la realtà, il dolce e l’amaro, il secco e il bagnato e ci sono tutte le contraddizioni che meglio raccontano questa terra stupenda che è la Sardegna o, per essere più precisi, la Barbagia.

I personaggi, come sempre fa il buon autore, sono sommariamente tratteggiati in modo che la mente del lettore li completi a suo gusto; nonostante questo però, gli elementi essenziale per la lettura del personaggio ci sono tutti. Le psicologie rurali sono perfettamente dipinte, le paure, le ansie, le superstizioni avvolgono il lettore e lo trasportano in un mondo che forse, non esiste più ma che ci fa sempre piacere visitare.

Non sarà una lettura semplice d’altronde la lingua sarda rispecchia l’asprezza del territorio, ma la bravura di Niffoi è anche quella di amalgamare perfettamente il dialetto con l’italiano dando respiro al lettore fino alla prossima parola in dialetto.

Mi permetto di dare un consiglio. Non vi abbattete se all’inizio le parole in dialetto saranno difficili da pronunciare. Seguite comunque il “Contacontos” nel suo viaggio e affrontate le parole dialettali come se foste bambini che imparano a leggere perché, in questo modo, scoprirete tutta la musicalità del dialetto sardo, incomprensibile spesso, ma bellissimo comunque da ascoltare.

Libro ampiamente consigliato.

Pantumas

Pantumas di Salvatore Niffoi edito da Feltrinelli prima edizione 2012.

Come al solito Niffoi scrive un racconto corale che avvince il lettore e gli permette di sognare con la solita ricetta di storie minime di una Sardegna poco nota, dura ma al contempo, dolce e affascinante.

L’azione si svolge nel paese di Chentupedes (un paese barbaricino di cinquanta anime e quindi cento piedi), nel novembre del 1964.

Nel paese è tradizione che i morti siano in coppia, cioè solitamente alla morte del marito segue immediata la morte della moglie e viceversa. Questa tradizione viene spezzata con la morte di mannoi Lisandru.

Mannai Rosaria Niala è così convinta che il cielo si sia preso suo marito anzitempo, che lo aspetta pregando per un anno intero; alla scadenza dell’anno, come per magia, mannoi Lisandru ritorna in vita e lei lo accoglie con la stessa gioia con cui una sposa accoglie il marito di ritorno da un lungo viaggio.

Mannai Rosaria è certa che sia tornato per morire assieme a lei ma prima che questo accada è necessario raccontare i passaggi importanti della vita di Lisandru e a questo compito si dedica Serafinu Marradu che proietta le bobine del film della sua vita.

Nel mentre che il racconto avanza Lisandru ringiovanisce (Benjamin Button barbaricino) fino a giungere ad essere un infante tra le braccia della moglie che capisce di essere pronta a partire insieme a lui.

Libro fantastico; Niffoi ha abituato molto bene i suoi lettori. Anche le pagine di questo romanzo sono impregnate dai profumi, dagli odori, dai sapori ma soprattutto dagli umori di quella terra stupenda che è la Sardegna, con le sue asprezze accompagnate dalle sue meravigliose dolcezze; da un popolo forte e fiero dalla storia millenaria e delle sue tradizioni.

La lingua di Niffoi è sempre un mix di dialetto e lingua italiana. Un mix perfetto che permette al lettore, anche il meno avvezzo alla lingua locale, di cogliere tutte le sfumature dei dialoghi, tutto l’amore per quella terra aspra e bellissima ma soprattutto tutti i giochi di parole che l’autore si è divertito ad inserire nei nomi e soprannomi dei luoghi e delle persone.

Come in tutti i romanzi di Niffoi, i personaggi sono appena accennati, ma sufficientemente definiti perchè l’immaginazione del lettore possa “completare il disegno”.

Leggendo questo romanzo mi è sembrato di essere tornato in Sardegna. Ho riassaporato il profumo forte del mirto, ho rivisto i colori di questa terra stupenda, narrata magnificamente da questo autore straordinario.

Libro molto consigliato.

Il lago dei sogni

Il lago dei sogni di Salvatore Niffoi edito da Adelphi – prima edizione 2011.

E’ impresa ardua scrivere di questo libro; impresa che fa tremare vene e i polsi. Perchè è un libro che va in tantissime direzioni senza prediligerne una sola. E’ un libro che racconta la storia di una intera comunità, un intero paese (Melagravida) più che di una sola persona anche se una vera protagonista c’è: Itria Nilis “conosciuta a Melagravida e nel circondario col nomignolo di Panedda per via delle sue carni morbide e bianche come il latte appena cagliato”.

Niffoi ci racconta una nuova favola dove i protagonisti girano intorno ad una innominabile sventura, quella di aver perduto la capacità di sognare; era accaduto in un giorno d’estate quando “l’aria era chiara e tirata come la pancia di una lucertola. Tutti gli abitanti di Melagravida sentirono distintamente un boato salire dalla gola di Matzalocos verso il monte Tumbacanes. […] I sogni si erano messi a correre all’improvviso impauriti, inseguiti dall’alito caldo del vento che li spingeva lontani, verso la montagna, oltre le nuvole gonfie di scuro che bollivano come il mosto che fermenta. Sogni veloci come cani cacciati a sassate, con la lingua di fuori, che leccano, abbaiano, e mordono, prima di trovare un posto sicuro dove rifugiarsi”.

Nel paese dunque non si sogna più ma d’improvviso è proprio Itria Panedda Nilis che, per prima, ricomincia a sognare seguita pian piano da tutto il paese. Sembra quasi che la ritrovata capacità di sognare dei paesani corrisponda ad una rinnovata voglia di vivere ed ecco che Niffoi si impadronisce delle storie, delle leggende e delle cattive abitudini degli abitanti di Melagravida (che nome straordinarimente evocativo), e inizia a raccontarcele con la sua incredibile capacità affabulatoria in un dialetto come quello sardo ricco di angolature e forte come un bicchiere di “filuferru”.

Non c’è molto altro da dire in quanto non è il classico romanzo che si sviluppa attorno ad un’idea centrale bensì è una raccolta di storie che contengono ognuna una morale che spetta al lettore interpretare. Tante storie quante sono gli abitanti di questo paesino; tante storie quante sono le idee che percorrono le menti degli uomini; tante storie che si intrecciano tra loro dando vita a nuove favole, nuove avventure, nuove esperienze che di certo il buon Niffoi sarà in grado di raccontarci nei prossimi romanzi che scriverà, e che io attendo con grande ansia.