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Shantaram

Shantaram di Gregory David Roberts edito da Neri Pozza prima edizione 2003

Il sottotitolo di questo libro potrebbe essere “Diario di una rinascita” perchè proprio di questo si tratta. Di una rinascita vera e propria.

Si tratta di un bellissimo romanzo autobiografico in cui si raccontano le avventure di un eroinomane, rapinatore australiano, evaso dal carcere di Pentridge e rifugiato in India dove poi ha vissuto per oltre 10 anni.

Penso che il modo migliore per entrare nella meraviglia di questo volume sia lasciar parlare il libro stesso con quello che credo sia uno dei migliori incipit dei romanzi contemporanei.

Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale, però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto. Ma quando non hai altro, stretto da una catena che ti morde la carne, una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita”.

Roberts ci immerge fin dall’inizio nella sua vita-avventura; è come se scendessimo con lui dall’aereo che lo deposita nella Bombay più “indiana” che mi sia mai capitata di visitare. Nella narrazione dell’autore se ne percepisce l’odore acre e speziato, si sente il trambusto, la lotta spasmodica per la vita, il calore afoso e appiccicoso; si apprezzano i volti differenti eppure noti del popolo.

Quasi impossibile fare una sinossi del romanzo ma alcune considerazioni mi sento di farle.

Vediamo Roberts scendere dall’aereo e immergersi in una città multicolore, multiforme, multietnica, multi-qualsiasi cosa e immediatamente eccolo in un “hotel” di infima categoria a condividere un po’ di droga con altri turisti.

L’incontro con un ragazzo del luogo di nome “Prabaker” sarà l’inizio della sua risalita. Tante sono le avventure che il protagonista vivrà. Lo vedremo organizzare una clinica gratuita in uno “slum” (che sono le baraccopoli più povere della città) dove imparerà a conoscere la cultura di un popolo che finirà per amare immensamente; lo vedremo alle prese con la maitresse più influente di Bombay che lo farà arrestare senza una vera colpa; entrerà in contatto il più potente boss della mafia locale che lo trascinerà in luoghi meravigliosi e spaventosi dell’India; diventerà molto ricco riuscendo allo stesso tempo ad avere un rapporto molto distaccato con il denaro.

Lo so che ho scritto tanto ma in realtà non ho ancora detto niente di questo romanzo. Il problema è che troppe sono le cose, le avventure, i profumi, i suoni, le emozioni, le disgrazie, le fortune, i tramonti che si possono trovare in questo ponderoso volume.

Vi prego, vi prego, vi prego non fatevi scoraggiare dalla dimensione di questo libro. E’ vero, sono oltre novecento pagine eppure scorrono veloci come l’acqua di un fiume impetuoso. Sarà grazie alla capacità di scrittura di Roberts che riesce con poche righe a raccontare sensazioni ed emozioni, sarà per le affascinanti immagini raccontate, sarà per la trama avvincente ma questo libro è veramente una “grossa” gemma.

Da leggere assolutamente gustandone sulla lingua i sapori.

Inferno (Dan Brown)

Inferno di Dan Brown edito da Mondadori prima edizione 2013.

Dunque… il solito Dan Brown e il solito Robert Langdon per il solito romanzo giallo.

Si tratta dell’ennesima “caccia al tesoro” e relativa “caccia all’uomo” perpetrata dal buon docente di simbologia di Harvard.

Ma andiamo con ordine.

Langdon si risveglia in un ospedale e non ricorda come e perchè ci sia arrivato. Lo stupore del protagonista aumenta quando scopre che si trova in Italia, a Firenze per la precisione, e che l’amnesia che soffre è dovuta ad un buco che ha in testa e del quale non ricorda assolutamente come se lo sia procurato. Il libro prosegue con una forsennata corsa alla ricerca dei ricordi del professore.

L’improvviso omicidio a bruciapelo del medico che lo sta curando, effettuato da parte di una misteriosa ragazza con una strana capigliatura, dà il via ad una ridda di eventi che porteranno il nostro arcinoto protagonista a scoprire una terribile minaccia.

In una tasca segreta della giacca del professore e della cui esistenza anche Langon era all’oscuro viene ritrovato no strano oggetto legato alla visione dell’inferno dantesco.

Nel corso di questa avventura Langdon sarà affiancato dalla dottoressa Sienna Brooks. Ovviamente niente filerà liscio e il nostro eroe si troverà a dover scappare da un fantomatico gruppo armato che lo vuole eliminare, risolvere enigmi partendo dall’Inferno di Dante Alighieri e “La mappa dell’inferno secondo Botticelli” per cercare di fermare una terribile minaccia che aleggia su tutta l’umanità.

Vedremo Landon in compagnia della Brooks attraversare Firenze prima, poi spostarsi (non senza difficoltà) a Venezia, per poi andare in un’altra città (che, per cattiveria, non vi dico) nel tentativo di scappare dal pericolo mortale che lo minaccia e, al contempo per cercare di dipanare una matassa molto intricata.

Sembra quasi che tutte le forze in gioco si siano coalizzate per impedire la ricerca del noto esperto di simbologia ma proprio quando sembra che sia arrivato il momento del primo caso senza soluzione da parte del professore, ecco che…

E’ un buon romanzo, ricco di colpi di scena, i personaggi e le ambientazioni così ben raccontate che è molto semplice “vedere” il professore e la sua bella amica muoversi nei vari scenari; indubbia è l’abilità di Brown nel tenere alta la tensione del lettore anche solo con lo stratagemma di interrompere il capitolo nel momento di massima suspance.

Devo ammettere però che il finale scelto dallo scrittore mi ha un po’ deluso. L’idea è abbastanza prevedibile e soprattutto non ha il mordente necessario per essere la degna conclusione di un libro che avrebbe potuto essere allo stesso livello di altri scritti di Brown.

Per tutto questo, nonostante la ricetta vincente scoperta anni fa dall’autore, questa sua ultima fatica manca di qualcosa; forse è proprio la pedissequa ripetizione di una ricetta ormai nota al grande pubblico, che fa sì che questo racconto sia meno avvincente dei precedenti e non certo per colpa dell’idea di fondo che è sicuramente buona.

Chi come me ha amato L’Inferno dell’Alighieri troverà molti motivi di gioia e molte soddisfazioni; però si tratta di un romanzo che si può gustare anche senza avere alcuna informazione sul libro di Dante.

Se non avete letto altro di Dan Brown forse vale la pena leggere uno dei precedenti; se invece avete già letto di questo autore non aspettatevi i fuochi d’artificio presenti in alcuni altri suoi scritti.

Consigliato come lettura leggera.

Ti seguo ogni notte

Ti seguo ogni notte di Luca Bianchini edito da Mondadori, prima edizione 2004.

Se questo libro avesse un sottotitolo sarebbe “il potere di un rutto” ma di più non vi racconto.

Traggo il riassunto dalla quarta di copertina perchè è scritta veramente bene.

E’ una notte incantevole quando Roger Milone, inarrivabile televenditore di pentole, incontra la donna della sua vita. Purtroppo è la notte sbagliata perchè lei, Stella, il giorno dopo si sposa. Roger non è però il tipo da abbandonare un sogno senza inseguirlo e, lasciata la casa fuori porta dove vive con la madre e la sorella più sedicenne del mondo, si mette sulle tracce della ragazza avendo come unico indizio lo scontrino di una profumeria. Ma – proprio mentre è concentrato a rincorrere l’amore – la vita lo sorprenderà con una serie di imprevisti, trasformandolo in un divo del piccolo schermo. Improvvisamente desiderato da donne e tabloid, invidiato dagli amici e motivo di orgoglio per la famiglia, Roger è frastornato. A ritrovare la via lo aiuteranno un pianoforte, le sue origini di periferia, un amico transessuale, un prete che tutti chiamano don Johnson, un’affascinante fioraia e le vicissitudini agrodolci della sorella, equamente divisa tra il dramma dei sentimenti, la tragedia dei capelli e il grande amore per Robbie Williams”.

Non è necessario aggiungere altro a questa bellissima descrizione per invogliare il lettore a “divorare” questo romanzo che Luca Bianchini tratteggia con grande maestria e caratterizzandolo, come suo solito, con una grande dolcezza.

Sembra che Bianchini abbia trovato veramente la formula per scrivere dei grandi romanzi. Belli, intriganti e che si agganciano all’anima del lettore come le zecche su un cane.

I personaggi sono tratteggiati al punto giusto; il lettore non ha che da immaginarli. La madre preoccupata prima e orgogliosa poi, la sorella intrecciata nei problemi dell’adolescenza e dell’amore che trova nel fratello la sua roccia, l’amico di sempre che diventa geloso del successo e poi capisce il proprio errore, l’insegnante di pianoforte che diventa un’ottima amica e un grande aiuto per la formazione di Roger.

Alla fine di questo libro ci si ritrova addolorati perchè si vorrebbe conoscere nella realtà queste persone per diventarne amici; perchè con amici così il mondo sarebbe più bello.

Ancora una volta, l’autore, ha tracciato un solco indelebile nella letteratura contemporanea raccontando una storia minima che però tocca le corde del cuore e della sensibilità dei lettori, proprio come i grandi romanzi di formazione.

Ovviamente, libro molto consigliato!

Il seggio vacante

Il seggio vacante di J. K. Rowling edito da prima edizione 2012.

Si tratta del primo romanzo pubblicato dalla Rowling dopo la fortunatissima saga del maghetto Harry Potter; l’aspettavamo tutti al varco per poterla giudicare ma, se ancora ce ne fosse bisogno, la signora ha dimostrato il suo grande valore di scrittrice contemporanea con un romanzo avvincente, introspettivo e illuminante sulla vera natura dei rapporti umani.

Nella cittadina di Pagford, piccolo centro della provincia inglese, il potente e rispettato Barry Fairbrother muore improvvisamente mentre accompagna la moglie Mary al ristorante per festeggiare l’anniversario.

Pagford è in apparenza, un idilliaco borgo con la piazza acciottolata, i giardini sempre ben curati, una antica abbazia; ma dietro questa facciata di sogno si nasconde una realtà piena di conflitti. Conflitti tra ricchi e poveri, antiche lotte tra conservatori e progressisti, ataviche battaglie tra genitori e adolescenti, mogli e mariti, insegnanti e studenti, fratelli e sorelle…

Barry, banchiere e allenatore della squadra di canottaggio della scuola Winterdown di Yarvil, era un uomo affabile, sempre sorridente ed altruista che si è sempre impegnato per lo sviluppo dei quartieri più degradati della città dai quali egli stesso proveniva. Si interessava di chi, come era stato lui, viveva in condizioni disagiate cercando di migliorarne la condizione, soprattutto dei giovani che forgiava attraverso il canottaggio.

Alla sua morte improvvisa e devastante, nella piccola comunità si apre l’aspra battaglia per conquistare il suo seggio nel consiglio municipale. La dipartita del caro Barry, amato da tutti ma anche odiato da parecchi, libera quelle forze che per troppo tempo sono state trattenute all’interno del paese, dando il via ad uno scontro frontale che nasce da invidie sopite, rivalità, pregiudizi, egoismi, frustrazioni, odio razziale e anche fantasie morbose.

Così, nel corso della storia, vediamo i vari personaggi rivelare la propria vera identità, quasi come se togliendo una maschera, svelassero che la cortesia, l’affabilità, l’affetto erano state solo un mezzo per raggiungere i propri scopi.

Alla fin fine poco importa chi la spunterà e diventerà il nuovo consigliere municipale, perchè quando il clamore degli eventi dapprima grotteschi, e poi progressivamente sempre più tragici si sarà placato, la vita di molti abitanti di Pagford, così come la vita del paese, non saranno più le stesse.

Non scopro certo io il valore della Rowling come scrittrice eppure questo per lei, è stato probabilmente un libro difficilissimo da scrivere, perchè sapeva che tutti l’avrebbero giudicata sulla scorta del successo della saga precedente; nonostante tutta questa tensione la “english lady” produce un romanzo molto ben costruito e ricco di personaggi raccontati con dovizia di particolari.

I personaggi sono disegnati in maniera approfondita e non si può fare a meno di parteggiare per tizio e non sopportare caio, indignarsi per gli atteggiamenti di qualcuno e gioire segretamente per le piccole vittorie di un altro personaggio della storia.

La trama è avvincente anche se la numerosità degli attori costringe a volte il lettore, a fermarsi per cercare di ricostruire il personaggio, la sua storia e il suo passato; come tutti i buoni romanzi è difficile, alla fine di un capitolo, trovare il coraggio di chiudere il libro perchè la tensione, quasi palpabile, forza la volontà e costringe a leggere ancora un po’.

Libro consigliato.

 

Il prigioniero del cielo

Il prigioniero del cielo di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori – prima edizione 2012.

Carlos Ruiz Zafon torna al genere che lo ha reso famoso in tutto il mondo e alla saga tanto amata dai suoi lettori con un nuovo appassionante episodio (il terzo per la precisione) che si inserisce nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati.

In questa ultima opera si riannodano le trame di “L’ombra del vento” e “Il gioco dell’angelo” gettando nuova luce sui misteri che erano rimasti insoluti e, contemporaneamente, aprendo nuovi inquietanti interrogativi.

I protagonisti si trascinano nel turbine di una narrazione carica di tensione e colpi di scena che ci trasmettono, con la forza delle emozioni, il lato più cupo dell’animo umano, ma anche di sedurre con il fascino sottile di una Barcellona in chiaroscuro che non smette di stregarci.

Questa avventura ha luogo nel dicembre 1957, un lungo inverno di cenere e ombra che avvolge Barcellona e i suoi vicoli oscuri. La città sta ancora cercando di uscire dalla miseria del dopoguerra, e solo per i bambini, e per coloro che hanno imparato a dimenticare, il Natale conserva intatta la sua atmosfera magica, carica di speranza.

Daniel Sempere – il memorabile protagonista di “L’ombra del vento” – è ormai un uomo sposato e dirige la libreria di famiglia assieme al padre e al fedele Fermìn con cui ha stretto una solida amicizia.

Una mattina, entra in libreria uno sconosciuto, un uomo torvo, zoppo e privo di una mano, che compra un’edizione di pregio di “Il conte di Montecristo” pagandola il triplo del suo valore, ma restituendola immediatamente a Daniel perchè la consegni, con una dedica inquietante, a… Fermìn.

Si aprono così le porte del passato e antichi fantasmi tornano a sconvolgere il presente attraverso i ricordi di Fermìn. Per conoscere una dolorosa verità che finora gli è stata tenuta nascosta, Daniel deve addentrarsi in un’epoca maledetta, nelle viscere delle prigioni del Montjuic, e scoprire quale patto subdolo legava David Martin – il narratore de “Il gioco dell’angelo” – al suo carceriere, Mauricio Valls, un uomo infido che incarna il peggio del regime franchista.

Prima di potersene rendere conto il giovane libraio viene catapultato in un passato che lo riguarda da vicino, dove la morte di sua madre Isabella si lega al destino di David Martin, il grande scrittore che dal carcere scrive “Il gioco dell’angelo” e a quello del perfido editore Mauricio Valls, una vecchia conoscenza degli anni di carcere di Fermìn. Quello che Daniel scoprirà non rimarrà senza effetti sulla sua vita, molte domande rimaste in sospeso avranno una risposta e lui si troverà in mano, inaspettatamente, la possibilità di vendicarsi.

Riuscirà Daniel a portare a termine il suo compito o soccomberà prima della calata del sipario? Scoprirà cosa tenta di nascondergli sua moglie? Capirà quali demoni si agitano nella testa di Fermìn, dopo l’apparizione dell’uomo monco? Cosa significa quella dedica scritta sul libro dall’uomo senza una mano, che recita “Per Fermìn Romero de Torres, che è riemerso tra i morti ed ha la chiave del futuro. Firmato 13”? Questi e molti altri sono i dubbi che si sviluppano con la lettura di questa terza opera di Zafon dedicata al Cimitero dei Libri Dimenticati.

Per quello che riguarda i personaggi, ancora una volta Zafon riesce con poche fugaci immagini a tratteggiare la fisionomia dei personaggi ma anche la loro personalità, sempre senza svelare nulla di più di quello che sia necessario.

La capacità letteraria dell’autore tocca, in questo libro, vertici straordinari; quando Zafon racconta il vento, la pioggia o la neve sembra quasi di sentirla correre sulla pelle tanto è abile nell’uso della parola. Quando descrive le strade, i vicoli, i palazzi della città sembra quasi di vedere delle fotografie virate in seppia.

Zafon ha dichiarato di aver scritto questo libro per spiegare meglio alcuni aspetti della vita di Fermìn che erano rimasti in ombra e per dare al lettore gli elementi per comprendere poi il quarto e ultimo capitolo di questa saga straordinaria; a me sembra invece che l’intento vero dell’autore, sia stato quello di stimolare al parossismo i dubbi del lettore. E’ vero che, nel corso della lettura di questo terzo capitolo il personaggio di Fermìn ci si squaderna davanti agli occhi ma, molti altri dubbi restano da chiarire e tanti nascono proprio dalle avventure raccontate in questa ulteriore prova di abilità che Zafon fornisce con questo romanzo.

Libro ovviamente molto consigliato.

 

In principio

In principio… 2001 modi di iniziare un romanzo di Giacomo Papi e Federica Presutto edito da Baldini & Castoldi. prima edizione 2000.

Questo libro nasce da un’idea semplice e acuta come l’uovo di Colombo. Un’idea che pertanto è destinata a riproporsi com esemplare. Raccogliere migliaia di inizi di romanzi, classificarli secondo generi, epoche e Paesi, ma anche per bellezza e bruttezza. E infine ricostruire, copiando e incollando, costellazione narrative che sembrano ideate nel laboratorio di Borges o di Calvino, quasi a dimostrare che al principio c’è davvero la parola, il verbo e poi, ma solo dopo, tutto il resto.

Un concentrato di romanzi in pillola da sfogliare distrattamente o da leggere tutto d’un fiato, come si leggevano, una volta, avventure e feuilletton. Lasciandosi andare al gusto del gioco e a quello della narrazione.

Se riconoscere l’inizio di Pinocchio o di Moby Dick è facile, altri inizi potrebbero svelare lacune ed amnesie insospettabili, oppure risvegliare l’irrefrenabile desiderio di proseguire, oltre l’incipit, fino alla fine.

Questo gradevolissimo e documentatissimo libro non si propone nessun intento di ricerca, ma esibisce solo una sorta di insaziabile appetito romanzesco nello sfogliare migliaia e migliaia di storie per registrarne le aperture, e il gusto di riunire poi questi inizi secondo un disegno capriccioso e divertito, individuando filoni, rimandi, ossessioni, vezzi e cadenze.

In ogni caso, la lettura di questo libro può costituire un buon esercizio per educare il gusto, per riconoscere i colpi di stile, le idee felici.

Con questo libro si possono fare anche dei giochi di società. Vince chi sa riconoscere più inizi. Naturalmente è un gioco per persone preparate e con buona memoria. Purtroppo esclude chi non riconosce neppure “Quel ramo del lago di Como…”.

Insomma, questo libro serve a molte cose.

Libro consigliato per una lettura impegnativa ma divertente.

Il gioco dell’angelo

Il gioco dell’angelo di Carlos Ruiz Zafon edito da Mondadori. prima edizione 2008.

Secondo capitolo della tetralogia di Zafon ambientata nuovamente a Barcellona, sebbene stavolta negli anni Venti; l’autore ci riporta al misterioso mondo gotico del Cimitero dei Libri Dimenticati. Davìd Martìn, un giovane che cova un sogno inconfessabile quanto universale: diventare uno scrittore, fa un patto impossibile con un personaggio alquanto ambiguo: in cambio della sua vita e di una considerevole fortuna, scriverà un libro che cambierà molte vite.

Proprio dal momento in cui inizierà a scrivere, prima dei romanzi d’appendice e dopo con la grande opera che gli commissiona “Il principale” (figura spaventosa e mefistofelica), la vita inizierà a porre a Davìd interrogativi ai quali non ha risposta immediata esponendolo, come mai prima di ora a imprevedibili azzardi e travolgenti passioni, crimini efferati e sentimenti assoluti.

Esplorerà case abbandonate che però forse sono abitate, dove sognerà di essere liberato da un male oscuro che lo sta uccidendo. Frequenterà personaggi pericolosi e dolcissimi, si fiderà di assassini e maghe.

Nel corso del romanzo Davìd però, si renderà conto che, al compimento di una simile impresa, ad attenderlo non ci saranno soltanto onore e gloria.

Davìd, mentre si divincola nel tentativo di risolvere l’enigma che gli ha posto Andreas Corelli, scoprirà fatti del proprio passato: dall’abbandono della madre, all’omicidio del padre mentre si reca (con Davìd appena adolescente) al proprio lavoro di guardiano notturno.

Nel corso della narrazione Davìd troverà anche l’amore ma, come in tutti i noire che si rispettino, dovrà affrontare dure battaglie anche sotto questo punto di vista… e non è detto che alla fine sia premiato dalla vittoria.

I personaggi del romanzo sono descritti con tale vividezza che è facile immaginarli mentre si muovono nella Barcellona buia e nebbiosa che tanto Zafon ama.

Se L’ombra del vento celebrava l’estasi della lettura, Il gioco dell’Angelo esplora in profondità le agonie dello scrittore.

Nel secondo romanzo di Carlos Ruiz Zafon, non tutto è come appare e a questo il libro deve la metà del suo incanto.

Anche se si presenta come un prequel de L’ombra del vento, Il gioco dell’Angelo, è l’esaltazione del godimento di narrare e del piacere della letteratura e può essere letto come un’opera indipendente.

Questo romanzo ha tutto ciò di cui ha bisogno una grande storia: amore, tradimento, morte, odio e amicizia.

Tremendamente bello; la sua storia è rifinita in maniera impressionante. Ironia, terrore, politica e amore vi compaiono nelle dosi giuste, e l’effetto d’insieme è molto piacevole. Storia e scrittura, trama e carattere, personaggi e profili, tutto è come dev’essere. Non si riescono ad abbandonare le sue pagine accattivanti, piene di suspance.

La scrittura di Zafon è particolare come l’aroma di un profumo che si spande, seducente e sensuale. E questo aroma dura a lungo.

Bellissimo anche per quel senso di dubbio che Zafon lascia alla fine perchè i ruoli dei personaggi non sono perfettamente chiari; grande invenzione dell’autore per tenere alta la suspace dei lettori in vista delle successive due uscite.

Insomma un libro semplicemente ammirevole e degno di una notte insonne per terminarlo.

Mi pare più che ovvio che sia assolutamente consigliato.

Ho smesso di piangere

Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti edito da Mondadori. Prima edizione 2012.

E’ un gran bel libro che tratta di un argomento difficile quale è la depressione, e della difficoltà dei malati di far credere ai “sani” la propria condizione. Veronica racconta con sincerità, e quella ironia tipica del personaggio la sua odissea, il suo viaggio di rinascita.

Scopo nemmeno troppo velato di questo scritto è sicuramente quello di dare testimonianza della grave malattia che affligge più persone di quelle che potremmo immaginare, ma anche quello di cercare di infondere una speranza a tutti coloro che sono malati.

Indubbiamente si tratta di un libro verità che racconta una sofferenza durata anni e lascia il lettore basito su quanto sia stato bravo il personaggio pubblico Pivetti, per tutto il tempo della sua malattia, a recitare ruoli brillanti mentre “moriva” dentro, mentre tutto quello che anelava nel cuore era semplicemente morire.

La causa scatenante della depressione di Veronica è stato un problema tiroideo, ma non è poi così importante quale sia stato il motivo (che per ogni malato può essere diverso). Il punto è che la malattia è latente nell’animo e poi all’improvviso, come un interruttore pronto a scattare, si attiva con rabbia. C’è come qualcosa che si rompe dentro, che si alza ed inizia la sua opera distruttiva e che, per le persone famose, di successo e ricche è ancora più difficile da far credere specie, se come nel caso di Veronica Pivetti, sono dedite all’ironia.

Seguire la nostra “eroina” tra medici che non hanno la capacità di ascoltare, buone amiche (per fortuna che esistono) che si assumono il ruolo di “cani guida per ciechi” e fans ignari (che vorrebbero la corrispondenza perfetta tra personaggio e attore), significa vederla compiere il suo calvario che la porta a riacquistare il suo equilibrio senza perdere la verve e a conoscersi molto più in profondità.

Il tutto ovviamente raccontato con quello spirito goliardico che personalmente associo a Veronica Pivetti e a quella ironia che trasuda dalla sua pelle. Durante la lettura del libro me la vedevo girare per Milano (o Roma a seconda dei casi) per recarsi dai vari specialisti o per andare dalla propria casa a quella dell’amica che l’ha sostenuta (certe volte non solo psicologicamente) con quella sua adorabile aria stralunata e trasognata che tanto amo in lei.

Ho trovato molto triste e al contempo molto vero (e sono contento che l’abbia scritto) il racconto del rapporto interrotto con il suo cane; Veronica ha capito che, nel momento più buio della depressione, non c’era spazio per nessun altro al di fuori di sé stessa. Che tutte le sue energie dovevano essere focalizzate nel tentativo di superare quel grave handicap che le era caduto addosso. Ripeto, è molto triste ammettere di aver abbandonato il proprio cane, ma al contempo era l’unica cosa che poteva fare. A parziale scusante diciamo che il cane non è stato abbandonato, ma soltanto “parcheggiato” per qualche tempo a casa dell’amica.

C’è una frase che mi piace molto e che con la quale voglio chiudere questo breve racconto, dice: “Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po’ rattoppata, ho un’anima patchwork, e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perchè la vita si fa con quello che c’è…”

Ultima notazione veloce. Non pensate che sia un libro triste e noioso; ci si diverte un sacco in questo libro, non fosse altro che per il ritrovato spirito dell’autrice. Ci si ritrova a sorridere delle sue sventure perchè tutto viene affrontato seriamente ma sempre con quella leggerezza d’animo e quel sorriso un po’ sghembo che è tipico di Veronica Pivetti. Sembra sempre che stia per dirne una delle sue o per fare una delle sue “figure”.

Libro consigliato a tutti quelli che vogliono capire di più di questa malattia del nostro tempo, e anche a tutti quelli che vogliono vedere il personaggio pubblico svestire i panni di comico e conoscere il vero cuore della donna Veronica Pivetti.

La regina di Pomerania

La regina di Pomerania e altre storie di Vigàta di Andrea Camilleri edito da Sellerio prima edizione 2012.

Io proprio non so come faccia. Probabilmente Camilleri è un genio perchè anche questa ennesima fatica è stupenda.

Si tratta della raccolta di otto storie minime che si svolgono a Vigàta tra il 1893 e il 1950. Si va dalla storia di un amore alla “Giulietta e Romeo” alla vita di un ragazzo che crede di non avere un padre per scoprire poi che invece ne ha una folla, passando attraverso la storia della Regina di uno stato a scadenza proprio come una mozzarella.

Come suo solito Camilleri, da quell’abile pittore che è, dipinge i personaggi e le ambientazioni in maniera meravigliosa Per i personaggi gli bastano poche pennellate per stimolare la fantasia del lettore che termina l’immagine appena abbozzata. Riesce a far amare o odiare i vari attori esattamente come vuole lui.

L’autore prende il lettore per mano e lo trasporta in una realtà differente ma uguale, strana ma consueta, rassicurante e al tempo stesso spaventosa.

Insomma in questo libro c’è il meglio di Camilleri e la sua capacità affabulatoria, senza peraltro l’ingombrante presenza di Montalbano che ormai è inscindibilmente collegato al nome di Camilleri.

Il libro è scritto in dialetto ma questo anziché essere un limite è un vantaggio, perchè nella parlata della gente si sentono tutti i sentimenti che provano. Forse qualcuno non molto avvezzo alla lingua potrà trovare qualche difficoltà iniziale, ma sono convinto che perseverando nella lettura avverrà nuovamente la magia che permette di illuminare la mente dei lettori a Bolzano come a Roma, a Cagliari come a Treviso.

Nel corso del questi otto racconti troviamo, in ordine sparso, battibecchi da circolo, lambiccati bizantinismi, ludi e motteggi, eterne liti familiari, infervoramenti carnali, sbatacchiamenti, oneste mignotterie, dolorosi stupori e premurose cordialità.

Il libro non è strutturato cronologicamente, quindi si salta tranquillamente da fine ottocento a metà novecento per poi tornare ai bagliori del ventesimo secolo.

I personaggi sono vari e compositi; si passa da “una Giulietta che sancisce l’imbecillità del suo Romeo ad un diplomatico e impassibile truffatore; c’è il console onorario di un regno provvisorio esportatore di cani dati in saldo; una Cenerentola che è una melarosa dal letto ospitale; due gelatai leali contendenti per amore e per dispetto; un marchese dall’eccitazione costante e alla fine crudele; un asino chiamato Mussolini che verrà ribattezzato Curù; un tavolinetto a tre piedi, che sa come castigare l’imprevidenza di un neofita delle sedute spiritiche; un’epidemia di lettere anonime che portano alla luce verità vere e altre meno e altre storie e personaggi straordinari e ordinari, buoni e cattivi.

Insomma in questo bellissimo libro c’è tutto il Camilleri conosciuto eppure, proprio come un prisma che colpito dalla luce con una angolazione differente scatena nuove meraviglie, si vede un nuovo volto dell’autore, una nuova prospettiva che, ancora una volta, lascia il lettore stupefatto dalla quantità di fantasia e dalla bravura nel raccontare gli uomini, le loro vite, speranze e disgrazie.

Ovviamente libro molto consigliato.

 

1Q84

1Q84 di Haruki Murakami edito da Einaudi, prima edizione 2011.

 “Non si lasci ingannare dalle apparenze. La realtà è sempre una sola”. Questa è la frase con cui il tassista ammonisce Aomame, una dei due protagonisti di questo libro. Aomame è una ragazza particolare che la vita ha colpito; lei è caduta, ha sofferto e si è rialzata e adesso fa un lavoro “particolare” sotto le rassicuranti vesti di una insegnante di stretching.

L’altro protagonista è Tengo un uomo che insegna matematica in una scuola preparatoria e scrive storie e romanzi che nessuno ha ancora apprezzato al punto da pubblicare. A Tengo viene dato un libro da leggere; il libro si chiama “La crisalide d’aria”. E’ eccezionalmente buono, ma sembra scritto da una bambina delle elementari; ma l’idea e la storia ci sono. E’ così che l’editore Komatsu decide che Tengo riscriverà il libro usando il manoscritto come traccia e base.

La storia si dipana nella Tokio del 1984. Il titolo si basa sull’assonanza tra la lettera Q e il numero 9 che in giapponese hanno la stessa pronuncia e qualcuno vede in questo titolo un omaggio al capolavoro di Orwell.

Come tutti noi, anche Aomame e Tengo hanno la loro storia che ci verrà raccontata nel corso del libro, e nel frattempo continuano a vivere la loro vita più o meno serenamente, a rincorrere i propri sogni, ad incontrare persone, a cercare di raggiungere il massimo della felicità possibile.

Il 1984 e l’anno 1Q84 sono due anni contemporanei ma non paralleli infatti 1Q84 è una diramazione reale del 1984, come un binario che si stacca dal binario originale per divergere totalmente, senza mai essere parallelo al primo. Insomma 1Q84 è una realtà separata.

1Q84 è un libro che parla delle conseguenze delle scelte che facciamo e di come non ci sia una via di uscita che ci porti alla situazione primigenia. E’ un libro che ci insegna che qualsiasi scelta noi facciamo, non è soltanto una scelta; può sembrare facile, addirittura banale, prendere una determinata decisione ma non è così perchè, ogni scelta che noi facciamo, modifica la realtà in cui viviamo; di sicuro non compariranno due lune nel cielo della nostra realtà, non ci saranno grossi sconvolgimenti, ma staremo vivendo una realtà differente da quella che avremmo vissuto prendendo una decisione diversa.

E’ così, ogni scelta che noi decidiamo, ogni bivio che noi prendiamo, modifica la nostra vita, il mondo in cui viviamo; perchè ogni scelta si fa una volta sola. Non c’è la possibilità di cambiarla. Potremo fare altre scelte che negano la prima, ma non potremo mai rifare quella determinata scelta perchè la vita non ha un tasto di reset, non ha un tasto che ci permetta di riavvolgere il nastro e di registrare nuovamente quella certa scena, quella certa scelta che abbiamo preso.

E’ un po’ questo il senso di tutto quanto il libro. Aomame e Tengo sono due persone che decidono e le loro scelte hanno, per loro, delle conseguenze che li portano a ragionare sulla correttezza o meno delle loro decisioni. Ma questo è un semplice esercizio stilistico perchè alla fine la scelta non è modificabile.

Questo è il grande messaggio che esce dal libro di Murakami; Nessuno di noi, una volta fatta una scelta può cambiare quella decisione presa. E’ un libro che ci insegna a prendere la vita con filosofia, a dare il giusto valore alle decisioni che prendiamo ma al contempo ci insegna a vivere nel presente.

E’ un po’ come dire “è inutile crucciarci per le scelte sbagliate che abbiamo preso, ormai siamo a questo punto e non possiamo tornare indietro, non ci viene data questa possibilità.” e per questo motivo dobbiamo andare avanti, scegliere tra le opzioni che abbiamo con grande intelligenza e poi dimenticare che avremmo potuto percorrere altre strade, perchè così facendo continueremmo a guardare il nostro passato che non ci interessa più.

Ci interessa il nostro presente. Quando sarà il momento, quando il futuro diventerà presente allora ci preoccuperemo di quello.

E’ un libro lento, senza che questo rappresenti un limite; è intimo per la numerosa presenza di soliloqui ed è scritto con grande delicatezza e raffinatezza. Anche il racconto delle poche scene di sesso è sempre abbozzato e mai volgare. Un libro che scorre lentamente tra le riflessioni dei due personaggi.

Libro consigliato.