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Il paradiso degli orchi

Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac edito da Feltrinelli prima edizione 1985.

A differenza di come faccio di solito, presento subito il protagonista di questo romanzo. “Mi chiamo Benjamin Malausséne e di mestiere faccio il capro espiatorio lavoro nel Grande Magazzino e la mia famiglia è un po’ particolare”.

Ebbene sì, si potrebbe dire che il nostro eroe sia un uomo un po’ strano. Vive nel quartiere parigino di Belleville e in questo romanzo, che è il primo del ciclo di Malausséne, lo vediamo alle prese con un bombarolo. Ma andiamo per ordine.

Belleville è un quartiere popolare abitato da immigrati di varie etnie che si trova nei pressi del famoso cimitero Pére Lachaise. E’ una cornice viva e vitale alla grande follia di questa famiglia.

Benjamin si prende le strigliate dal suo capo quando i prodotti venduti dal Grande Magazzino non funzionano bene ed i clienti vogliono fare reclamo. E’ molto portato per il suo lavoro perchè, quando il suo capo lo “cazzia”, si produce in una tale serie di umiliazioni auto-inflitte che riesce a stimolare la pena dei clienti al punto da far ritirare loro il reclamo. E’ un lavoro duro ma qualcuno dovrà pur farlo.

Nonostante sia molto abile nella sua strana professione, Benjamin non è stimato dai colleghi e nemmeno dai suoi capi. Ma la vera fortuna di Malausséne è la sua famiglia. Ha molti fratelli (per i quali è quasi un padre) e ha una madre che è uno spirito libero dall’innamoramento facile. E’ una donna che spesso scompare per lunghissimi periodi, tornando incinta e abbandonata dall’ennesimo grande amore della sua vita. Parte integrante della famiglia è il cane Julius che soffre di crisi di epilessia.

Questa avventura prende le mosse da una serie di esplosioni che avvengono nel Grande Magazzino. Ovviamente Malausséne è immediatamente sospettato di essere il bombarolo per il lavoro che svolge ma soprattutto perchè è sempre presente al momento dell’esplosione.

Benjamin per evitare di essere arrestato deve, suo malgrado, trasformarsi in detective e provare a scoprire chi è il vero assassino. Fin da subito appare chiaro che il fulcro di tutta la storia è proprio il Grande Magazzino infatti, si scopre che durante la seconda guerra mondiale nei suoi reparti, venivano torturati e uccisi dei bambini da una serie di uomini che sono i vecchietti che ora frequentano assiduamente il magazzino sotto il severo controllo di Theo. Sono ovviamente gli Orchi del titolo.

A questo punto fa il suo ingresso a sorpresa un nuovo personaggio. Si tratta della bella giornalista Julie che aiuterà Malausséne nella sua indagine e della quale il nostro protagonista si innamorerà seduta stante.

Tutto il racconto è scandito dalle storie che Benjamin racconta ai propri fratelli piccoli la sera quando li mette a dormire. Ci aspetteremmo fiabe ed invece sono racconti macabri (ma da una famiglia come questa, cosa altro aspettarci?).

Grazie al piglio di Julie, all’inciampare di Malausséne negli indizi e alla nullità delle forze di polizia che investigano sul caso, il nostro protagonista giungerà a svelare il mistero sugli attentati proprio un momento prima che ai suoi polsi scattino le manette della giustizia.

E’ un romanzo bellissimo e io mi sono divertito tantissimo a leggerlo. Non ha alcuna pretesa di trasmettere alcun messaggio anche se, alla fine di tutto, forse una sua morale ce l’ha anche.

Scritto magistralmente da Pennac che dosa con sapienza ironia e ilarità, il romanzo scorre placido con invenzioni stupefacenti di pagina in pagina. E ci si ritrova alla fine del libro innamorati dei protagonisti e certi di aver letto una grande storia.

I personaggi non sono minimamente raccontabili. Cercare di rinchiudere i membri della famiglia Malausséne in una definizione è come cercare di afferrare il fumo con le mani. Sono troppo fuori dagli schemi e non si può fare a meno di amarli.

Il ciclo di Malausséne si compone di questi altri titoli: “La fata carabina”; “La prosivendola”; “Signor Malausséne”; “La passione secondo Thérèse”; “Ultime notizie dalla famiglia” anche se devo ammettere che l’ultimo mi ha un po’ deluso.

Libro consigliatissimo per una bella vacanza con il sorriso.

La papessa

La papessa di Donna Woolfolk Cross edito da Newton Compton Editori prima edizione 1996.

Nell’anno di grazia 814 d.C. nasce una bimba a cui i genitori pongono il nome di Giovanna. Figlia di una donna sassone (quindi pagana)e di un canonico inglese bigotto fino all’estremo, rude, violento e assolutamente incapace di alcun tipo di affetto nei confronti sia della moglie che della figlia.

Giovanna cresce sostenuta dall’amore della madre Gudrun, che le canta e le insegna le tradizioni sassoni aberrate dal marito, e dei fratelli Giovanni e Matteo che le insegnerà a leggere e scrivere.

Giovanna, un po’ per indole un po’ per reazione alle tenebre dell’ignoranza e della superstizione che la circondano, aspira ad essere molto di più di quello che la mentalità tipica del IX secolo assegna alle donne come lei.

Grazie all’aiuto del fratello Matteo si avvicina alla scrittura e inizia a conoscere i classici latini che lui sta studiando per avviarsi alla carriera di canonico.

Vista l’acutezza mentale della bambina il padre si convince a farle seguire le lezioni del maestro Esculapio che già indottrina Matteo; la bambina conquisterà il maestro al punto che supererà in cultura e acume lo stesso fratello. Grazie alle sue doti Esculapio inizia a sottoporle testi sempre più complessi che la ragazzina divora avidamente. Si svilupperanno così in lei forti capacità critiche e il pensiero logico, caratteristiche considerate estranee alle donne in quell’epoca.

La partenza di Esculapio sarà per Giovanna una terribile sorpresa ma, il maestro prima di partire le regalerà un libro che la ragazza terrà gelosamente nascosto fino a quando il padre, scopertolo, non le imporrà di cancellare le parole scritte sul libro con il coltello. Al rifiuto della ragazza il padre la prenderà a vergate fino a farle perdere i sensi.

Ma questa disavventura non ferma la giovane che riesce a farsi ammettere nella schola di Dorstadt insieme al fratello, Giovanni.

La vita scorre quasi serena nella scuola soprattutto perchè qui conosce Gerardo, un uomo più anziano di lei di cui si innamora perdutamente, che amerà per tutta la vita e che la ricambia. Piccolo problema: il fellone è sposato.

Durante un’invasione normanna Giovanni viene brutalmente ucciso mentre Giovanna si salva rocambolescamente. Prima di essere ucciso il fratello le comunica di essere stato accolto nel monastero di Fulda. Giovanna è ora sola, spaventata e incerta del suo futuro e decide di diventare Giovanni e di frequentare la scuola senza dire a nessuno il proprio segreto. Vi rimarrà per molti anni, studiando, pregando e imparando, oltre ai testi sacri, anche i segreti delle arti e delle scienze specializzandosi nella cura (quasi miracolosa) dei vari malanni che affliggono i monaci.

La sua bravura è tale che addirittura il Papa ne ha notizia e la chiama a Roma per diventare il suo medico personale.

Roma al tempo era già una metropoli agli occhi di una donna ma Giovanna riesce ad adattarsi. Incontra nuovamente Gerardo che è uno dei capitani dei soldati del Papa e, di nuovo, tra loro scoppia l’amore.

Ora nulla le impedirebbe di scappare con Gerardo e di vivere una normale vita di coppia con il suo uomo; nonostante tutto però, lei decide di continuare ad essere un sacerdote al servizio del Papa fino a quando…il destino non le scombinerà le carte.

Ottimo libro; vi si trovano ben amalgamati storia, romanzo, amore, crudeltà, avventura, battaglie, sentimenti. Insomma è un libro che non stanca nonostante sia un romanzo con una base storica. Un libro che affascina il lettore con la figura di questa donna-uomo per raccontare la realtà storica di una delle epoche più buie dell’umanità.

E’ il primo libro di questa autrice che leggo ma devo ammettere che è dotata di grande capacità affabulatoria. La trama è perfettamente costruita per incatenare il lettore alle pagine, i personaggi, le ambientazioni, gli accadimenti sono ben distribuiti e raccontati con dovizia di particolari senza mai diventare noiosi o stucchevoli.

Nonostante la lettura di questo ottimo romanzo ancora non sono riuscito a chiarire il dubbio che mi lacera: Giovanna “La Papessa” è un personaggio realmente esistito?

Libro molto consigliato.

Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri di Markus Zusak edito da Frassinelli prima edizione 2005.

Questo è un romanzo atipico per varie ragioni; intanto è uno dei pochi libri in cui la seconda guerra mondiale ci viene raccontata dalla parte della Germania e non dalla parte degli ebrei o degli alleati; inoltre l’io-narrante è decisamente atipico (non scendo in particolari per non togliere la sorpresa al lettore).

La piccola Liesel Meminger sta viaggiando insieme alla mamma e al fratellino diretta al piccolo paese vicino Monaco dove vive la famiglia che ha adottati i due bimbi (ma questo loro non lo sanno). Inaspettatamente il fratello di Liesel muore durante il viaggio in treno e viene seppellito durante una sosta del viaggio.

Proprio questa sosta farà di Liesel la ladra di libri annunciata dal titolo infatti, durante l’interramento del cadavere del fratello, il caso aiuta Liesel a trovare un libretto nella neve. Senza pensarci troppo la giovane lo raccoglie e lo nasconde.

La bambina non sa leggere eppure l’attrazione di quel piccolo oggetto (che immagino nero e consunto) è troppo forte e che, per la bambina, diventa un tesoro inestimabile.

Giunta nella famiglia adottiva e dopo aver superato il trauma dell’abbandono da parte della madre, Liesel inizia la sua vita con la nuova famiglia. Il padre è un uomo buono che cerca in tutti i modi di mettere a suo agio la piccola, mentre la madre adottiva è una specie di arpia che la maltratta e la riempie di parolacce ma che si rivelerà, nel corso del romanzo, molto meno cattiva di quanto possa apparire.

E’ una vita dura quella che Liesel affronta fatta di consegne del bucato stirato dalla madre, poche gioie, scuola, amicizie nuove e giochi con in sottofondo il rumore sordo della guerra.

Grazie al padre adottivo Liesel inizia ad imparare a leggere e, il libricino che ha rubato diventa il loro libro di testo.

Questo appuntamento notturno si trasforma nel filo che legherà il rapporto tra la piccola e il padre. Proprio quando sembra che tutto si stia volgendo al meglio (guerra permettendo) ecco che entra in scena un nuovo personaggio; Max è un ebreo in fuga dai nazisti che cerca rifugio nella casa dei genitori di Liesel.

La storia acquisisce quindi una nota di tragica urgenza. Liesel sa che se i nazisti dovessero trovare Max nascosto nella loro casa per loro sarebbe la deportazione immediata in un campo di concentramento se non addirittura la morte, eppure il personaggio di Max la affascina; pian piano tra i due si stringe una bella amicizia. Liesel aiuta Max a sopportare i lunghi giorni di solitudine nella cantina di casa e Max aiuta Liesel con i suoi racconti.

Durante una manifestazione per il compleanno del Fuhrer (in cui la partecipazione è obbligatoria) vengono accatastati i libri che il regime ritiene pericolosi o sovversivi e vengono dati alle fiamme. Quando la festa è finita Liesel si accorge di un piccolo libro che non è stato divorato dalle fiamme e, nonostante il pericolo e la paura, lo nasconde sotto la giacca. Non sarà l’ultima volta che la protagonista si troverà a rubare libri.

La trama è molto complessa perchè entrano in gioco svariati elementi, personaggi, cause ed effetti; nonostante ciò il libro è scorrevole e molto gradevole alla lettura.

I personaggi sono ben delineati e, per la prima volta assistiamo al racconto della guerra dalla parte del popolo tedesco. La fatica di convivere con una guerra devastante, la disillusione di un popolo che non ne capisce le motivazioni, la fame, la difficoltà di sopravvivere sia agli stenti che al regime nazista, il tutto visto dagli occhi di una ragazzina prima e dei suoi amici poi.

Libro molto interessante, la cui trovata geniale sta non tanto nella trama stessa, quanto nella voce narrante. Per la prima volta sentiamo le opinioni e i sentimenti di chi ci spaventa ancestralmente, e sono sensazioni che certo non ci aspetteremmo da lei.

Libro consigliato.

Lucernario

Lucernario di José Saramago edito da Feltrinelli, prima edizione 2011.

Prima di avventurarci nel racconto di questo romanzo del grande autore portoghese, è necessaria una brevissima nota introduttiva.

José Saramago muore nel 2010 ma questo romanzo è stato scritto sessanta anni prima da un Josè giovane che ancora non era assurto all’onore delle cronache letterarie. La mancata pubblicazione si deve innanzitutto alla casa editrice a cui l’autore invio il manoscritto (di cui non aveva una copia), che rifiutò la pubblicazione; così il volume, anziché essere gettato, venne posto negli archivi della casa editrice.

Solo dopo molti anni Saramago richiese la restituzione del manoscritto che però sembrava essere andato perduto. Fortunatamente durante il trasloco dell’editore si rintracciò il volume e la casa editrice chiese all’autore il diritto di pubblicarlo; l’autore negò l’autorizzazione e decise che non sarebbe mai stato pubblicato se non dopo la sua morte.

Nel romanzo l’autore ci racconta la vita di un condominio della zona popolare dove vivono sei famiglie. L’azione è ambientata nella Lisbona salazarista del 1952.

La trama del romanzo è abbastanza semplice. Sembra quasi che le pareti di questo condominio siano di vetro e ci permettano di vedere le vite dei suoi abitanti. Scorgiamo quindi la famigliola distrutta dal dolore della perdita della figlioletta; ci accostiamo alla vita della famiglia che combatte per garantire alla figlia un avvenire sereno, e al desiderio di questa figlia di fuggire da quell’ambiente opprimente che è la sua stessa casa; spiamo la vita serena di una donna sola che sfrutta la propria bellezza facendosi mantenere dal ricco amante, senza che questo sia, per lei, motivo di preoccupare o remora; entreremo nella vita del vecchio calzolaio e di sua moglie quando decidono di affittare una stanza della casa ad Abel, un giovane intellettuale libertario che legherà con i padroni di casa (soprattutto con il ciabattino) e che darà una forte scossa alla loro routinaria esistenza, senza però che questa cambi veramente.

Il rapporto tra Abel e il vecchio padrone di casa è sincero e profondo (quasi un amore ante litteram); li vediamo in un formale balletto di avvicinamenti ed allontanamenti, frequentarsi, annusarsi, studiarsi, conoscersi ed abbandonarsi.

E’ folle notare come in questo romanzo giovanile di Saramago ci sia già “in nuce” tutta la poetica del grande scrittore andaluso; quasi come se avesse voluto racchiudere le caratteristiche della sua scrittura in un unico testo e come se, i successivi romanzi, fossero una rielaborazione estesa dei temi trattati in questo primo volume (che però sarà l’ultimo in ordine di pubblicazione).

Che dire della capacità descrittiva di Saramago che non sia già stato detto abbondantemente? Come al solito il grande portoghese racconta immagini, sensazioni, emozioni e personaggi in maniera meravigliosa lasciando sempre al lettore la possibilità di personalizzare con la propria fantasia quelli che sono gli elementi raccontati. Ecco quindi che ognuno di noi si ritrova catapultato in una Lisbona che è uguale a sé stessa ma al contempo assolutamente unica ed incondivisibile, a contatto con i personaggi che sono diversi di lettore in lettore.

Forse questa è proprio la chiave che ha portato Saramago al grande successo letterario e alla assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1998.

Anche se non serve dirlo, libro consigliatissimo

Spingendo la notte più in là

Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi – edito da Mondadori, prima edizione 2007.

Il sottotitolo recita “Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo”.

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi viene assassinato; con il suo omicidio inizia uno dei periodi più bui della nostra repubblica, i cosiddetti “anni di piombo”. Quei due colpi di pistola non cambiarono soltanto il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti.

Questo libro però non racconta soltanto la storia dell’omicidio Calabresi ma anche quella di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre, oltre che di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo.

Il figlio di Calabresi, Mario, racconta le storie di quelli che sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, fuori dalle statistiche fredde e sterili, fuori dalle manifestazioni di cordoglio; ci porta a conoscenza dell’esistenza di altre vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto.

Tra queste vittime innocenti, troviamo chi non ha avuto il coraggio e la forza di ricominciare, chi non ha sopportato la disattenzione pubblica e anche chi, non ha mai smesso di lottare perchè venisse dato il giusto risalto alla memoria.

La storia della famiglia Calabresi si intreccia con quella di tante altre persone che sono state costrette, all’improvviso, ad affrontare da soli una catastrofe privata che però appartiene a tutti gli italiani.

Durante la lettura di questo libro mi sono trovato spesso d’accordo con lo scrittore ma c’è un punto in cui davvero ho sentito il suo dolore come se fosse il mio.

Parlando delle responsabilità dei mezzi di informazione Calabresi scrive “… ma la cosa più fastidiosa e pericolosa sono le interviste standard: dei terroristi che parlano non vengono quasi mai ricordati i delitti e le responsabilità, e questo non è accettabile soprattutto se sono interpellati per discutere proprio sugli Anni di piombo. Sergio Segio, per fare un esempio, viene presentato come un esponente del Gruppo Abele, quasi mai come il killer di Galli e Alessandrini; di Anna Laura Braghetti, la brigatista che uccise con sette colpi Vittorio Bachelet alla Sapienza di Roma e partecipò al sequestro di Aldo Moro, si dice che <<coordina un servizio sociale rivolto ai detenuti>>.

La seconda cosa preoccupante è che si lascia passare un’idea romantica del terrorismo, specie nel paragone con il brigatismo degli ultimi anni, sostenendo che la lotta armata degli anni Settanta aveva dietro di sé delle idee, un progetto rivoluzionario”.

In queste parole ho ritrovato un sentimento che provavo fin da piccolo quando, leggendo sul giornale le bravate dei brigatisti, sentivo il mio animo agitarsi per la strana sensazione che i cattivi fossero sempre e tutti dalla parte dello Stato, mentre i buoni invece fossero sempre tra i terroristi.

Lungi da me voler esprimere un giudizio riguardo ad un argomento che conosco solo in maniera marginale, certo è che delle pagine del libro di Calabresi ho condiviso il dolore e quella compassione nei confronti dei parenti delle vittime che troppo spesso dimentichiamo quando accadono tragedie come queste.

Dimentichiamo troppo facilmente che dietro alla vittima di un terrorista, dietro al poliziotto che spara un colpo d’arma da fuoco, dietro al morto ammazzato sulla strada, dietro agli agenti delle scorte trucidati ci sono delle persone; delle mogli, dei mariti, dei figli, dei genitori che devono sopportare il dolore per tutta la loro vita. Per queste vittime il “fine pena” è davvero mai.

Libro molto consigliato.

 

L’ultimo appello

L’ultimo appello di Franco Piccinelli – Editrice Il Punto – Prima edizione 1998.

Battista è un contadino, che è stato soldato e prigioniero di guerra, che sarà sindaco, che è padre, che ha amato sua moglie, che ha lavorato la sua terra e che capirà solo alla fine cosa sia stata la sua vita.

Questa storia, è nient’altro che la sua storia. Una storia fatta di sofferenze, di poche felicità, di duro lavoro nella speranza di dare ai propri figli un destino diverso dal proprio. L’io narrante è ovviamente il protagonista, Battista, che ricordando gli avvenimenti della propria vita, ce li racconta.

Il romanzo prende le mosse dal giorno in cui Battista torna dalla prigionia; gli viene tributato l’onore di una festa (modesta come si conviene ai contadini); la sua vita inizia a procedere con monotonia, la terra da far fruttare, il matrimonio da far crescere, i figli per cui bisogna costruire il futuro, i vicini da aiutare.

Il libro continua con il racconto affettuoso dei rapporti interpersonali che Battista allaccia quando accetta di fare il sindaco del proprio paese; le difficoltà che deve affrontare per cercare di migliorare la vita del piccolo borgo; l’insperata collaborazione del Notaio (che rappresenta la minoranza del consiglio comunale) che l’aiuta a realizzare molti progetti utili al paese.

In questo libello c’è anche il tempo per una piccola disavventura giudiziaria che coinvolge il povero Battista segregandolo nelle patrie galere per qualche tempo.

Non ci sono grandi sorprese (anche se un paio di colpi di scena sono effettivamente presenti, ma ovviamente non li racconto).Non c’è molto altro in questo libro. Anche se in realtà dentro di esso ci sono molte vite ma soprattutto quella di Battista, la sua storia, la sua cultura contadina, la sua forza d’animo, le sue speranze e le sue paure. Le vittorie e le sconfitte di tutta un’esistenza insomma.

Indubbiamente è un libro che prende, che non si lascia abbandonare. Un libro che si insinua dolcemente nei meandri della mente incuriosendo il lettore, attraendolo, carezzandolo con una scrittura dolce, antica, quasi fiabesca. In alcuni passaggi, la scrittura di Piccinelli, assomiglia ai racconti dei nonni, raccontati con la stessa cadenza, con lo stesso calore, con quella dolcezza che ammalia il cuore e rapisce i sensi.

Piccinelli sa come utilizzare la lingua italiana per stimolare immagini e sensazioni eppure il suo libro, una volta terminato, non lascia quella sensazione di tristezza per la fine di una avventura che non potrà mai proseguire in un altro libro.

Libro non consigliato.