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La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve

La storia del centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Jonas Jonasson edito da Bompiani prima edizione 2009.

Il protagonista di questo libro è Allan un anziano che proprio in occasione del suo centesimo compleanno (e mentre nella casa di riposo dove vive si stanno organizzando i festeggiamenti per il suo compleanno), decide che vuole andare a “farsi un giro” e a comprare una bottiglia di liquore.

Senza nemmeno togliersi le ciabatte scavalca una finestra e si allontana dal nosocomio e da quella burbera della direttrice. Arrivato alla stazione dei pullman, Allan si imbatte in uno strano giovane biondo che si accompagna con una grossa valigia. La vescica del giovane biondo ha bisogno di essere svuotata ma nel piccolo bagno della stazione dei pullman non c’è abbastanza spazio e così il giovane chiede ad Allan di tenergli un momento la valigia sicuro che il vecchietto non farà certo colpi di testa.

Arriva una corriera e siccome Allan non ha alcuna destinazione, decide di salire su quel pullman portandosi dietro la grossa valigia. Quello che Allan non sa è che lo strano giovane biondo è in realtà un criminale affiliato ad una gang dedita al traffico di droga.

Capelli bianchi, schiena incurvata, artrosi, un inizio di demenza senile e un paio di ciabatte, Allan si avvia verso un’avventura ai limiti del surreale in cui si trasformerà in criminale prima, in fuggiasco poi, in allevatore di elefanti e si circonderà di buoni amici conosciuti per caso.

Allan, prima solo, incontrerà Julius Jonnson un settantenne solo e male in arnese con cui scoprirà il misterioso contenuto della valigia e con cui affronterà il giovane biondo quando questi busserà alla porta della casetta dove i due si nascondono e…

Il duo si trasforma ben presto in una eterogenea combriccola di personaggi che, volenti o nolenti, si troveranno a dover affrontare situazioni inverosimili che supereranno con una buona dose di fantasia e di “fattore C”.

Il tutto accompagnato dai racconti della gioventù di Allan grazie ai quali scopriamo che il nostro centenario ha avuto una vita avventurosa e piena di attività di successo e incontri importanti.

Devo ammettere che, mentre la parte “romanzesca” del libro è scorrevole e fondamentalmente ben costruita, i flash back sulla vita di Allan li ho trovati spesso pesanti (per non dire noiosi).

Sembra quasi che i due filoni siano stati scritti da mani diverse perchè, mentre il romanzo suscita a volta anche un po’ di ilarità, la parte storica è fumosa e sostanzialmente noiosa.

Il romanzo nella sua interezza si lascia comunque leggere senza particolari guizzi di fantasia o divertimento.

E’ un romanzo molto nordico; forse parte della mia difficoltà con questo libro nasce dal fatto che la letteratura nordica non mi è molto congeniale a partire dalla difficoltà nel leggere i nomi.

Probabilmente il mio giudizio abbastanza negativo deriva anche da questa mia idiosincrasia nei confronti dei romanzi del nord Europa. In fondo ho avuto la stessa reazione anche con altri autori delle stesse latitudini.

Credo che se il testo fosse stato sviluppato seguendo solo le peripezie di Allan e i suoi amici probabilmente avremmo tra le mani un piccolo romanzo divertente ed invece siamo di fronte ad un libro che, pur nel suo potenziale, lascia completamente indifferenti al termine della lettura.

Libro non consigliato.

Il sentiero dei nidi di ragno

Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino – prima edizione 1947.

Tutti conosciamo Calvino come uno scrittore di grande fantasia e di qualità adamantina; la sua scrittura è fluente e immaginifica, fantastica e delicata; Tutte queste caratteristiche si ritrovano appieno nel “Il sentiero dei nidi di ragno”, primo romanzo dell’autore, nel quale ci viene raccontata la Resistenza attraverso quella dimensione fantastica tipica di Calvino.

Il protagonista è un bambino di circa 10 anni chiamato Pin, orfano di madre e con il padre irreperibile, che in un piccolo paese della Liguria vive (o sarebbe meglio dire, subisce) la Resistenza.

Pin vive con la sorella che per campare fa la prostituta (nota come la Nera di carruggio lungo); il bambino intrattiene con gli adulti uno strano rapporto; vorrebbe esserne parte perchè ne ha stima ma al contempo non li comprende; frequenta il bar del paese, beve vino, fuma, parla e canta di argomenti che non conosce come il sesso, la guerra o la prigione ma al contempo si perde in fantasie infantili come il frequentare un posto segreto dove fanno il nido i ragni.

Pin crede nella magia di questo luogo al punto da nascondervi il suo più grande segreto, quella pistola che ruba al tedesco mentre questi fa l’amore con sua sorella.

A causa di questo furto il ragazzino viene arrestato e, grazie a ciò inizia a conoscere i membri di una cellula di partigiani; con la collaborazione di Lupo Rosso (un giovane partigiano) Pin evade e si nasconde in un bosco dove incontra Cugino che lo porta sui monti nel gruppo di partigiani di cui fa parte.

Entra qui in contatto con varia umanità di dubbia eroicità e si esalta al pensiero delle azioni di questi uomini il cui unico scopo è combattere i fascisti. Ma ancora una volta Pin non si sente completamente accettato ed è costretto a scappare. Torna quindi nel suo paesino ma lo trova svuotato e …

Di più non voglio dirvi riguardo alla trama.

Aggiungo soltanto che si tratta di un bellissimo romanzo, molto diverso da quelli del Calvino che conosciamo ed amiamo eppure è già presente, in questo suo primo romanzo, tutta la magia e l’immaginazione che sciorinerà nei suoi scritti successivi.

Come tutti i libri di questo autore anche i qui i personaggi sono soltanto abbozzati eppure, i pochi elementi forniti sono sufficienti perchè ognuno si immagini compiutamente i vari attori delle scene.

Traspare, dalla lettura di questo scritto, il grande coraggio che dimora nel popolo quando deve affrontare cattiverie, brutture e violenze quali sono state quelle perpetrare dai fascisti nel loro delirio organizzato.

Lo stesso Pin, nel corso della sua avventura ci dimostra una grandissima forza d’animo anche se è ovviamente accompagnata dai dubbi dell’età.

Credo che sia uno stratagemma meraviglioso quello studiato da Calvino di dare a Pin un luogo speciale e magico dove rifugiarsi, anche se tale scelta penso rappresenti la necessaria via di fuga che ognuno di noi si crea per sopravvivere ad enormi iniquità.

Ultima annotazione merita la bellissima prefazione scritta dallo stesso Calvino per l’edizione Einaudi del 1964 e che è diventata, a buon diritto, parte integrante dell’opera. L’autore esprime una nota di delusione per la sua stessa creatura che, a suo dire, non è riuscito a dare una totale rappresentazione della Resistenza, cosa che invece riuscì a Beppe Fenoglio nel suo “Una questione privata”, opera capace di rammentare fedelmente e per lungo tempo la memoria della Resistenza ed i suoi valori.

Libro molto consigliato… quasi un libro di formazione.

La grande bugia

La grande bugia di Gianpaolo Pansa

sottotitolo: “Le sinistre italiane e il sangue dei vinti” edito da Sperling Paperback – prima edizione 2006.

Ho riflettuto a lungo sull’opportunità di recensire o meno questo libro di Pansa perchè è indubbiamente uno scritto scomodo; Scomodo per l’autore che è stato accusato di revisionismo dall’intellighenzia di sinistra, e pericoloso per il mio piccolo blog visto che potrebbe attirarmi una grandinata di commenti negativi.

Quello che però mi ha convinto a pubblicare il commento, accada quel che accada, è la certezza che se non lo facessi piegherei la mia libertà ad un silenzio colpevole e la mia persona ad un comportamento non consono con le mie convinzioni di libertà.

Giampaolo Pansa è un giornalista di sinistra (è lui stesso che si definisce così nel corso del libro) che, fin dai tempi della laurea, ha studiato il periodo fascista e gli avvenimenti successivi alla fine di quella che lui chiama “guerra civile” terminata con il 25 aprile.

Se il suo sguardo indagatore si fermasse a questa data probabilmente poco o nulla si potrebbe muovergli come accusa; invece l’autore si interessa anche di tutte quelle “azioni” compiute dai partigiani successivamente alla liberazione, e che assomigliano moltissimo a rivalse o vendette nei confronti dei fascisti o dei loro sostenitori.

Nel corso del libro, parlando di sé stesso, Pansa si definisce “un autore che è sicuramente un antifascista e anche un uomo di sinistra, ma che non sta al galateo della vulgata, come si osa dire. Ossia della storia più retorica e parziale dell’antifascismo e della Resistenza”.

Non sarà presente alcuna opinione personale perchè, non essendo io uno storico e avendo conoscenze lacunose del periodo in analisi rischierei di espormi ad errori marchiani. Lascio ogni commento a chi sia convinto di conoscere abbastanza approfonditamente quel periodo e quegli accadimenti.

Dopo questo preambolo assolutamente necessario vediamo cosa ha da raccontarci questo libro.

E’ un saggio duro, documentato e scomodo che mette in discussione il mito resistenziale e il ruolo giocato dai comunisti nel costruirlo. Pansa replica in pratica a chi rifiuta qualsiasi forma di ripensamento o di autocritica.

Il ritratto reticente, incompleto, spesso falso della nostra guerra civile, delineato e protetto per sessant’anni dalle sinistre italiane, è quel che l’autore definisce la Grande Bugia.

Uno scudo dietro cui si sono nascosti tanti di coloro che hanno cercato di screditare il suo lavoro: politici, giornalisti, baroni universitari, furbetti del quartierino storiografico, antifascisti autoritari. Tutti citati in questo libro con tanto di nome e cognome e descritti nella loro sterile faziosità.

Un libro di battaglia politica e civile, percorso da una cattiveria allegra, che a tratti assume toni al vetriolo.

Pansa così chiarisce i motivi per cui certa sinistra si accanisca tanto contro i suoi lavori che, in fondo, provano a mettere una luce in certi angoli bui, senza tentare di travisare la storia, cercando esclusivamente di chiarire alcuni comportamenti oscuri: “Agli occhi degli esorcisti (chiama così quelli che attaccano il suo lavoro) la mia colpa peggiore è stata di infrangere nello stesso momento, due tabù. Il reato numero uno è stato di raccontare senza peli sulla lingua il nostro dopoguerra di sangue, un tema pericoloso, da lasciar maneggiare soltanto a mani più prudenti delle mie, quelle degli storici professionisti.

Il reato numero due era connesso al primo: mi ero permesso di farlo senza appartenere alla corporazione degli storici di sinistra, il sotto-clan più potente e più coeso nel grande clan degli accademici, i docenti che siedono su una cattedra universitaria”.

In fondo forse, il motivo di tanta rabbia verso Pansa è soltanto il fatto che abbia osato far tornare rosso e reale il sangue dei vinti. Che abbia ricordato a tutti i lettori che, indipendentemente dalla ragione o dal torto, dallo stare dalla parte giusta o sbagliata della storia, anche tra i vinti ci sono state persone (di cui molti giovani e giovanissimi) che hanno combattuto per i propri ideali, e che sono stati uccisi non sempre in guerra, ma spesso in azioni che avevano tutto l’aspetto di vendette feroci.

Libro duro e crudo ma sicuramente consigliato a chi ha la mentalità aperta e la voglia di provare ad ascoltare una storia nota raccontata da un punto di vista diverso dal consueto.

 

Canale Mussolini

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi edito da Mondadori – prima edizione 2010. Vincitore del Premio Strega 2010.

E’ un’impresa veramente difficile quella che mi accingo ad affrontare oggi recensendo il bellissimo libro di Pennacchi perchè in questo romanzo storico c’è davvero tanto ma in realtà la sinossi sarà brevissima.

Il libro di Pennacchi racconta la storia della famiglia Peruzzi che è obbligata a lasciare la sua terra (il caro veneto tanto amato), per trasferirsi nell’Agro Pontino durante la bonifica. Il motivo di questa migrazione viene spiegata nel corso del libro ed è legata al fatto che i Peruzzi sono mezzadri per i conti Zorzi-Villa, ma di più non voglio anticipare.

La storia ci viene raccontata da una voce narrante attraverso un dialogo tra l’intervistatore (Pennacchi appunto) e questo personaggio la cui identità si scoprirà soltanto alla fine del libro.

Questo moderno cantastorie che è Pennacchi, ci permette di entrare nella vita della famiglia Peruzzi qualche tempo prima della grande migrazione che spostò (per ordine del fascio) migliaia di persone dall’Altitalia (come viene definita nel libro) fino alle zone appena bonificate ed edificate dell’Agro Pontino. Siamo con loro sul treno che li trasporta nelle zone nuove, assistiamo ai pianti disperati dei nuovi coloni, agli sforzi immani per tentare di iniziare a coltivare una terra mai coltivata, alle piccole felicità di tutti i giorni e alle grandi tragedie che falcidiano la nascente comunità.

Ma in questo libro non c’è soltanto la storia della famiglia Peruzzi; infatti la loro storia viene contestualizzata nel periodo storico corrispondente. Ci viene raccontata l’opera di bonifica e della costruzione del Canale Mussolini, l’ascesa e la caduta del fascismo, la lotta tra il fascio e i comunisti, la nascita di una serie di città edificate dal Duce nella zona bonificata e molto, moltissimo altro.

Come in tutte le storie che si rispettino però c’è anche molto altro: la vita e la morte, la gioia e il dolore, la lotta e il sesso; ma soprattutto c’è la “Guerra” perchè i Peruzzi (fascisti convinti dalla prima ora) non permetteranno mai che, allo scoppiare di una guerra, tra i combattenti non ci sia almeno uno di loro. E così vediamo i maschi di casa Peruzzi partire per affrontare la guerra per convinzione o per convenienza; qualcuno tornerà ed altri invece non faranno mai ritorno.

Ora dovrei parlare degli attori che si muovono sul palcoscenico di questa storia, ma è un compito troppo arduo perchè ci sono una infinità di personaggi che meriterebbero di essere raccontati; dalla vecchia nonna dei Peruzzi al Rossoni, dalla zia Armida con le sue api al Duce.

Tutti i personaggi sono sicuramente disegnati con grande maestria, sembra quasi di conoscerli da sempre e già dopo poche pagine se ne condividono speranze e sofferenze.

Insomma, come ho cercato di far capire in questi pensieri arraffazzonati, il libro di Pennacchi mi è piaciuto moltissimo; è un’opera che mi ha aperto la mente a una realtà che mi era completamente sconosciuta come la bonifica dell’Agro Pontino e che mi ha anche aiutato a comprendere meglio la storia recente del nostro paese vista con un occhio sereno e disincantato ma soprattutto non falsato da qualsivoglia ideologia politica.

Ovviamente il libro è molto consigliato.