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Trent’anni e una chiacchierata con papà

Trent’anni e una chiacchierata con papà” di Tiziano Ferro – edito da Kovalski – prima edizione 2010.

 

E’ l’autobiografia del cantate latinense in cui Tiziano si racconta a cuore aperto. Ci mette a conoscenza delle sue emozioni, dei suoi sogni, delle sue speranze ma soprattutto delle sue paure.

 

Il cantante ha quindici anni quando inizia a scrivere un diario in cui, come tutti gli adolescenti, apre il suo cuore.

 

E’ un diario normale, come quelli di migliaia di altri ragazzini come lui; anche se lui ha un grande sogno e una grande compagna: la musica.

 

Tiziano già a quell’età è un grande appassionato di musica; ne è affascinato, posseduto. Nella sua testa i “temi” musicali si accavallano e spingono per trovare una via di fuga.

 

Tiziano vuole lavorare nella musica ma non necessariamente fare il cantante, infatti le sue prime esperienze musicali le fa come “lavorante” in una radio di Latina.

 

Poi l’incontro con la fortuna gli fa realizzare la sua grande occasione di realizzare un suo disco ed il successo è immediato.

 

Ma tutto corre velocissimo e Tiziano si trova stritolato da un mondo più grande di lui e da persone che si interessano più al vile danaro che non alle qualità musicali del giovane.

 

Gli appuntamenti si susseguono infiniti e il giovane Tiziano non riesce nemmeno ad ascoltare i suoi pensieri; Inizia a svilupparsi nella sua anima una rabbia sorda legata alle mancanza degli amici e di quello spazio vitale che gli permetta di vivere la sua età con spensieratezza; ma anche un altro mostro inizia a far sentire il morso dei suoi denti.

 

La mancanza di un amore lo tormenta ma, non avendo ancora accettato la sua omosessualità pur riconoscendola, decide di mettere in disparte i sentimenti e l’amore.

 

Il tempo passa ed il successo aumenta per il giovane ma, con il successo aumentano le responsabilità e la maturità. Nello spirito di Tiziano la mancanza di amore comincia a diventare un peso insostenibile e lui cerca di tacitarla fuggendo prima in Messico, poi in Inghilterra ma a nulla vale il fuggire.

 

I tempi sono maturi perchè il “trentenne” Tiziano Ferro apra definitivamente il suo cuore con gli amici e la famiglia e poi con i fans, iniziando una nuova fase della sua carriera felice ed orgoglioso di quello che è ma soprattutto disponibile, finalmente, a soddisfare la sua sete d’amore.

 

Dalla lettura di questo libro esce un ritratto di Tiziano Ferro che non ci si aspetta; riflessivo, pignolo, maturo; un giovane come tanti che però deve combattere nel mondo dei grandi. Armato di una sensibilità non comune che lo porta a produrre le sue splendide canzoni ma che lo sottopone anche ad una grande sofferenza.

 

Straordinaria la motivazione del tatuaggio che si fa sul polso!

L’anno della morte di Ricardo Reis

 

 

 

 

L’anno della morte di Ricardo Reis di José Saramago edito da Einaudi – prima edizione 1984.

 

E’ la storia di Ricardo Reis che torna a Lisbona dopo 16 anni di vita in Brasile e trova un paese che fatica a riconoscere e nel quale fatica a riprendere il suo ruolo.

 

Tutto ha inizio nel capodanno del 1935 quando giunge a Lisbona il piroscafo proveniente da Rio de Janeiro sul quale è imbarcato Ricardo Reis, medico e poeta, autore di famose Odi oraziane.

 

Non ha un progetto, non è dato il motivo per il quale sia effettivamente tornato (anche se poi nel prosieguo della lettura si scopre che un motivo esiste) eppure eccolo qua a gironzolare per le strade e le piazze della zona turistica di Lisbona; non ha un posto dove dormire, non ha un lavoro, non ha portato nemmeno molto bagaglio. Sembra quasi un turista che debba fermarsi pochi giorni ed invece il suo soggiorno dura un anno.

 

Ricardo trova un albergo nelle vicinanze del porto e proprio in questo albergo prendono avvio le sue tribolazioni. Ha un po’ di danaro guadagnato in Brasile dove svolgeva la sua attività di medico e quindi decide che per qualche tempo non ha necessità di lavorare.

 

Tra le prime cose che il nostro protagonista fa (e forse è il vero scopo del viaggio) è andare al cimitero a trovare la salma di Ferdinando Pessoa da poco tumulata. Ricordo che Ricardo Reis è un personaggio nato dalla fantasia di Pessoa e quindi ha senso che Saramago, dopo averlo rivestito di carne ed ossa, gli faccia immediatamente fare questo atto di sottomissione al suo creatore.

La venerazione di Saramago per Pessoa è tale che in questo libro il “fantasma” di Pessoa incontra Reis svariate volte e cerca di fargli capire come sia la vita oltre la morte mentre Reis spiega al poeta quello che sta succedendo in Portogallo e nel mondo, quasi che, con questa spiegazione, Reis capisca meglio quello che sta vivendo.

 

Nel corso del 1936 Ricardo ha a che fare con il sesso visto che i suoi sentimenti di amore per la cameriera dell’albergo non sono mai esplicitati e tantomeno dichiarati. Forse si innamora anche (non della cameriera) ma, i due amanti, non si concedono la possibilità di capire se la loro storia avrebbe potuto avere un futuro.

 

Il vero fulcro del libro credo che siano gli sconvolgimenti politici di quell’anno sia in Portogallo (con il dittatore Salazar e le camicie verdi) ma anche in Spagna (con l’ascesa al potere di Francisco Franco e con il supporto più morale che reale dato da Salazar) così come in Italia (con Mussolini e le sue camicie nere).

 

Reis non esprime mai le sue opinioni nonostante racconti come il popolo sia infervorato da questa fede politica che si contrappone ad un comunismo visto come negativo.

 

Come tutti i libri di Saramago, non è semplice (ma nemmeno impossibile da leggere). I concetti sono ingarbugliati anche dal modo di scrivere dell’autore che usa con molta parsimonia il punto fermo ed invece abbonda soprattutto delle virgole rendendo di fatto un po’ difficile la lettura.

 

Una volta imparato a conoscere il suo stile di scrittura però, i libri di Saramago spiegano davanti ai sensi dei lettori una profusione di immagini, suoni e profumi che fanno godere appieno del genio di questo grande letterato insignito nel 1988 del Premio Nobel per la letteratura.

 

Un grande libro.

 

Il piccolo principe

Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry; impossibile dire quante edizioni se ne trovino in commercio. – Prima edizione 1943.

 

Scrivere intorno al Piccolo principe è come scrivere riguardo al Cervino. Infinite sono le traduzioni e le edizioni che sono state pubblicate, innumerevoli gli articoli, i simposi e le tavole rotonde su questo libricino che supera di poco il centinaio di pagine ma che, nonostante il tempo e la semplicità della storia affascina incredibilmente anche l’uomo moderno proprio come affascinò i primi lettori.

 

Proprio oggi ho sentito che ne sono state stampate qualcosa come 43 milioni di copie in tutto il mondo in circa 200 lingue.

 

Il libro racconta del rapporto tra l’autore e un ragazzino dai capelli d’oro che giunge sulla terra da un altro pianeta talmente piccolo che una pecora libera non ci si può perdere. E’ un ragazzino strano che fa un mucchio di domande ma si guarda bene dal rispondere alle domande che gli vengono fatte.

 

Ad una lettura superficiale può sembrare un libricino che racconta una storiella per bambini ed invece è un vero e proprio libro formativo (peccato che gli adulti non lo leggano mai).

 

Non potrò mai dimenticare la scena del piccolo principe preoccupato per la sorte del fiore che ha lasciato sul suo piccolo pianeta che potrebbe essere mangiato dalla pecora; l’autore sente i suoi singhiozzi e scrive: “… Avevo abbandonato i miei utensili. Me ne infischiavo del mio martello, del mio bullone, della sete e della morte. Su di una stella, un pianeta, il mio, la Terra, c’era un piccolo principe da consolare! Lo presi in braccio. Lo cullai, Gli dicevo <<Il fiore che tu ami non è in pericolo… Disegnerò una museruola per la tua pecora… e una corazza per il tuo fiore… Io…>>. …Il paese delle lacrime è così misterioso”.

 

Come dimenticare la storia della volpe che chiede al piccolo principe di addomesticarla e di tornare sempre alla stessa ora così che lei possa attenderlo con felicità crescente maggiore all’avvicinarsi dell’ora del suo arrivo; oppure la conversazione del protagonista con la rosa, o con il re, e con tutti gli altri personaggi di questa mirabile fantasia.

 

Potrei ancora aggiungere tante cose su questo splendido libro; dirò solo che sono tante le lezioni che vi si possono trovare e che in ogni frase, in ogni pagina c’è un passaggio che mi fa riflettere.

 

Si potrebbe davvero riassumere tutto il libro in poche righe ma non voglio assolutamente togliere il gusto della lettura a chi si vorrà addentrare in questo paradiso in pochi fogli.

 

Chiudo questo mio piccolo commento con quella che ritengo la frase più bella di tutto il libro.

 

“… E se allora un bambino vi viene incontro, se ride, se ha i capelli d’oro, se non risponde quando lo si interroga, voi indovinerete certo chi è. Ebbene, siate gentili! Non lasciatemi così triste; scrivetemi subito che è ritornato…”.

Il signore di Barcellona

Il signore di Barcellona di José Lloréns edito da Mondadori  – prima edizione 2008.

 

Cominciamo col dire che questo è un grande libro e Lloréns è un grande scrittore. Il testo scorre piacevole, ricco di colpi di scena, sentimenti (non per forza buoni) e le descrizioni di Barcellona che stimolano la fantasia ad immaginare le strade e le case dove avvengono gli avvenimenti.

 

Barcellona, anno 1052. Quando Martì Barbany de Montgrì, giovane contadino, varca per la prima volta le porte della città che cambierà per sempre la sua vita, un anello e una piccola pergamena sono tutto quello che possiede e che gli serve per riscattare la cospicua eredità lasciatagli dal padre (che quasi non conosce).

 

Da qui prendono avvio una serie di avventure che porteranno il giovane Martì a viaggiare per mezzo mondo, a conoscere moltissime persone che, abilmente, sfrutterà per cercare di coronare il sogno di diventare cittadino di Barcellona. Per raggiungere questo sogno diventerà commerciante ma anche marinaio, armatore e non disdegnerà di combattere quando la vita lo metterà davanti a situazioni che si possono risolvere solo con un po’ di violenza per contrastare violenze maggiori.

 

Nel corso delle sue avventure si innamora anche della bella Laia, che però appartiene ad un gruppo sociale molto più elevato del suo. Martì si impegna quindi a fare buoni affari in modo da poter migliorare il suo stato sociale per riuscire a realizzare anche il suo sogno con lei.

 

La storia di Martì si intreccia con quella dell’amore tra Ramòn Berenguer I, conte di Barcellona, e Almodis de la Marca, contessa di Tolosa, il cui legame adultero minaccia la pace della città, causando problemi politici con le contee vicine e addirittura con il Papa.

 

Questo è un romanzo che emoziona; il racconto di un’epoca oscura. Llorén da vita ad una minuziosa ricostruzione della Barcellona medioevale dell’XI secolo, una città che si vede crescere, vivere e pulsare pagina dopo pagina.

 

I patti, le alleanze, gli intrighi di palazzo, l’ambizione economica e la convivenza tra le differenti religioni sono animati dai sentimenti più intensi: passione, amicizia, invidia, lealtà e onore.

 

L’insegnamento che si trae da questo grande romanzo credo possa essere così sintetizzato: grazie all’impegno e alla determinazione (ma anche una dose di fortuna e a buone conoscenze) nessun obiettivo ci è precluso, sia che noi siamo nobili o poveracci.

Canto di Natale

Canto di Natale di Charles Dickens edito in una quantità quasi infinita di edizioni e case editrici – prima edizione 1843.

Arriva il Natale e io non potevo esimermi dal pubblicare un post su questo meraviglioso libello.

La storia è semplice; Ebenezer Scrooge è un uomo che l’avidità ha reso crudele, cinico e cattivo al punto di lamentarsi dell’imminente Natale come di una perdita di tempo e di denaro (visto che non può imporre ai suoi dipendenti di lavorare anche il giorno di Natale).

Nella notte della vigilia, nella sua casa fredda, vuota e solitaria (proprio come la sua vita) riceverà la visita di tre fantasmi; il fantasma dei Natali passati, quello del Natale presente e quello dei Natali futuri che gli faranno capire di quanti e quali errori si sia caricata la sua vita e a quali conseguenze si stia avviando rapidamente.

E’ una favola, ed in particolare una favola insieme da leggere e da raccontare (Dickens stesso ne fece innumerevoli letture pubbliche, ricusando soltanto di esibirsi davanti alla regina Vittoria). Come tutte le favole ha una sua morale. Ma non si tratta di una morale a senso unico, consolante e patetica.

Certo il protagonista si riscatta; certo l’eroe autentico è il modesto impiegato piccolo borghese con la sua famiglia. Ma in questa favola c’è altro.

C’e la polemica contro lo sfruttamento dell’individuo, contro l’ideologia della classe dirigente dell’epoca che aveva da poco promulgato la legge repressiva chiamata “legge dei poveri”.

Ricordo che Dickens nel periodo in cui scrisse questo libello era legato al movimento rivendicativo dei Cartisti.

Resta il fatto che solo la paura riesce a scuotere Scrooge il quale è diventato, suo malgrado, un simbolo di taccagneria e crudeltà, al punto che la Disney (che ha fatto di questa opera svariate versioni con i suoi personaggi a cartoni animati) chiamò proprio Scrooge quello che in Italia è noto come Zio Paperone.

E’ indubbio però che Scrooge appartiene alla galleria dei grandi personaggi letterari di tutti i tempi, e che questa favola, nonostante abbia quasi 200 anni, sia ancora giovane e fresca e che ancora una volta ci riaccende nel cuore quella speranza di un domani migliore.

Il piacere

Il Piacere di Gabriele d’Annunzio edito da Einaudi.

Quando ho preso in mano questo libro avevo tanti timori; mi spaventava quello che avevo già letto di d’Annunzio (solo alcune poesie) e ricordavo la difficoltà nell’interpretare cosa volesse significare, ricordavo le sue frasi attorcigliate su se stesse, le sue metafore oscure, la sua lingua desueta e altissima…

Bene, di tutto ciò, in questo libro non c’è traccia. E’ un romanzo bellissimo, molto scorrevole ma al contempo molto riflessivo.

Il protagonista è Adrea Sperelli, un aristocratico romano di antica nobiltà, che vive una vita splendida (e senza nessun problema) che di divide tra mondanità, cene di gala, balli e donne.

Proprio le donne sono la “rovina” della beatitudine di Sperelli. Egli si innamora prima di Elena Muti con la quale ha una relazione di letto molto violenta che la donna interrompe senza dare vere spiegazioni al giovane (che però le scoprirà poco più tardi); e successivamente di Maria Ferres che sarà per lui un amore casto (anche se lui vorrebbe ma lei… niet!), angelicato, idilliaco; anche questo secondo idillio andrà male (anche perchè partiva da basi veramente poco solide) e Andrea tornerà alle attrattive di una Roma corrotta e lussuriosa, invischiato in una perversa sovrapposizione psicologica delle due donne amate.

Allucinante vedere come già nell’epoca in cui accadono gli avvenimenti narrati,  la maldicenza e il pettegolezzo regnassero sovrani, infatti le conversazione di Andrea con i suoi “amici” vertono sempre sulle donne, sulle quelle che hanno già conquistato, su fino a dove si sono spinti, e su come abbiano fatto a conquistarle.

Per me che conosco un pochino il centro di Roma (dove si ambienta buona parte del romanzo) è stato anche bello poter immaginare i tragitti che vengono fatti o a piedi ma più spesso in carrozza e “vedere” la meraviglia dei colori di Roma raccontanti magnificamente da d’Annunzio.

Alcuni momenti del racconto poi sono veramente intriganti, come per esempio quando Andrea partecipa alla gara ippica con le conseguenze di questa sua partecipazione per lui stesso, per i suoi amori e per la totalità della sua vita.

Per concludere vorrei riportare un paio di frasi, tratte dal romanzo, che mi sono particolarmente piaciute: “in quella carezza così tenue era tanto abbandono che fu su l’anima di lui la foglia di rosa sul calice colmo. La passione traboccò”;

“Preferite fra i mesi neutri l’aprile o il settembre? Il settembre. E’ più femminino, più discreto, più misterioso. Pare una primavera veduta in sogno”.

“… come se, penetrando nell’animo della donna, egli penetrasse nell’anima sua propria e ritrovasse la sua propria falsità nella falsità di lei”.

Sono decisamente entusiasta di questo libro, mi aspettavo un libro verboso e noioso ed invece è un libro frizzante e anche un pò “piccante” senza mai scadere nel volgare.

Non saprei dire se il personaggio di Andrea Sperelli mi sia più simpatico o più antipatico, certo non si può dire che lui sia una persona che lascia indifferenti.

Consigliatissimo.

1984

1984 di George Orwell edito da Classici Moderni Oscar Mondadori prima edizione 1949 è probabilmente uno dei pochi capolavori della letteratura del dopoguerra.

E’ un libro avvolgente o per meglio dire asfissiante. Racconta la storia di Winston Smith che vive nella Londra del 1984 dopo che il mondo si è diviso in due iperstati (molto simili tra loro) in perenne stato di guerra.  La nazione dove vive il nostro protagonista è governata con i principi del socialismo inglese (o Socin) del Grande Fratello che tutto vede e tutto sa. In ogni appartamento sono presenti degli schermi che servono alla polizia del pensiero (chiamata Psicopolizia) di vedere cosa fanno i vari cittadini in qualunque momento ne abbia desiderio. Il volume di questi “teleschermi”, su cui vengono trasmessi programmi propagandistici,può essere abbassato ma non spento del tutto. Ma, non solo nelle case le persone sono spiate ma ovunque esse si trovino; non esiste un luogo dove non siano presenti gli schermi del Grande Fratello.

Nel regno del Grande Fratello tutto è permesso (infatti non ci sono leggi scritte) tranne pensare, amare (se non per riprodursi), divertirsi (se non con i programmi della tv di propaganda). Insomma la vita di Winston è un vero inferno infatti la grande libertà dovuta alla mancanza di leggi è in realtà una prigionia perchè ogni pensiero, ogni azione, ogni moto dell’anima può essere sempre spiato dalla Psicopolizia che interviene al minimo sospetto.

Winston decide di fare una cosa “fuori dagli schemi” e decide di tenere un diario (non che sia illegale farlo ma, “se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni di lavori forzati.” scrivendolo su un quaderno che si procura al mercato nero con un pennino anzichè dettarlo al dittafono come è uso comune nella Londra di quell’epoca.

In questo libro non c’è molto altro eppure c’è moltissimo di più! C’è il tentativo di un uomo di riappropriarsi della propria unicità contro un sistema che massifica le persone uniformandone il modo di vestire, il modo di vivere e anche il modo di pensare. C’è il tentativo del Grande Fratello di annullare questa sua “ribellione”. C’è un uomo che vorrebbe vivere in maniera diversa ed invece non lo può fare e per questo inizia a lottare e poi c’è ancora tanto e tanto altro…

Lo ripeto è un libro asfissiante perchè già dalla prima pagina (e non è un modo di dire) manca il fiato quando si capisce lo stato in cui vivono questi poverini, come sono assuefatti ad una libertà fasulla e ad un controllo senza limite.

E’ ovviamente una società utopica ma molte delle cose ipotizzate da Orwell in questo libro si sono quasi avverate. L’annullamento delle differenze ideologiche fra le superpotenze, la tecnologia come mezzo di controllo sociale, la persecuzione degli oppositori politici (nelle dittature così come nei paesi democratici e liberali), la pubblicità martellante che di dice cosa pensare, come mangiare e quando fare l’amore. Pensate che con i nostri cellulari si può sapere in ogni momento dove siamo, inoltre con un buon CB le conversazioni cellulari possono essere captate da chiunque; la grande rete di Internet non è forse un grande fratello che cerca di farci pensare tutti allo stesso modo?

Forse Orwell, senza averne coscienza, aveva previsto quello che poi è successo.

LA GUERRA E’ PACE – LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU’ – L’IGNORANZA E’ FORZA è lo slogan del Grande Fratello e a me fa un pò di paura perchè nel mondo di oggi pare proprio che si stia realizzando questa simpatica tripletta!

 

 

 

 

Il mio credo, il mio pensiero

Il mio credo, il mio pensiero di M. K. Gandhi pubblicato da Grandi Tascabili Economici Newton prima edizione 1967 con il titolo di “The mind of Mahatma Gandhi” è una raccolta di pensieri di Gandhi ripresi da suoi scritti o dai discorsi che ha tenuto nel corso di tutta la sua vita.

I pensieri sono raccolti e ordinati per argomento in modo da avere una visione cronologica di quello che ha cercato di comunicare Gandhi su quel determinato argomento nel corso del tempo. A volte i concetti vengono ripetuti perchè in occasione di particolari discorsi veniva ripresa una certa argomentazione per meglio specificarla o per ampliarne il senso.

E’ un libro certamente di difficile lettura in quanto ogni stralcio è un vero e proprio concentrato di ideologia. Ogni pensiero merita un’analisi approfondita pertanto, a meno di non voler leggere solo con gli occhi e non con la mente, è necessario molto tempo per leggere tutto il volume. Alcuni concetti sono decisamente difficili in quanto legati ad una realtà (quella indiana) molto diversa da quella dove viviamo. A volte ci si imbatte in termini in lingua indiana di non facile comprensione. E’ vero che il libro è fornito di una legenda dove poter tradurre il termine ma questo non favorisce la concentrazione necessaria alla comprensione di quanto si sta leggendo.

Ribadisco, è stato decisamente difficile giungere al termine di questa lettura ma sicuramente ho imparato che esistono diversi modi per vedere le stesse cose, che basta cambiare il punto di vista e l’oggetto dell’osservazione acquisisce un aspetto differente. Non sempre ho condiviso il pensiero di Gandhi, a volte addirittura mi accorgevo di avere una posizione diametralmente opposta alla sua ma, il fatto stesso di conoscere e comprendere la sua posizione migliorava anche la comprensione e la conoscenza della mia.

Chiudo con un esempio di un pensiero gandhiano molto semplice: “La mia vita è un tutto indivisibile. Tutte le mie attività si fondono l’una nell’altra; e traggono tutte origine dal mio insaziabile amore dell’umanità”. Harian, 2 marzo 1934, p. 24.

 

 

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

Non potevo aprire un blog sui libri e non mettere nemmeno un primo commento.

Il libro di cui parlo si chiama “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” è stato scritto da Roy Lewis e pubblicato da Adelphi – prima edizione 1960.

Non bisogna farsi influenzare dal titolo che potrebbe far pensare ad un libro pesante o difficile.  Non si tratta di un saggio scientifico ma anzi di un libro veramente divertente.

Racconta la storia di una famiglia di uomini preistorici (per la precisione del Pleistocene), delle loro difficoltà di vivere in quell’epoca ricca di pericoli e delle difficoltà nell’affrontare la vita dovendosi inventare tutte quelle “comodità” che oggi diamo per scontate.

Un curioso gruppo di persone che si trovò nella delicata situazione di chi dà all’evoluzione una spinta: la spinta da cui siamo nati tutti noi.

Il gruppo scopre il fuoco, la lancia,  il matrimonio e altri oggetti utili ma, ogni nuova scoperta, ogni nuovo percorso intrapreso, ogni nuova idea che viene realizzata genera situazioni umoristiche che non ci si aspetta. L’esigenza che li spinge verso tutte queste nuove scoperte è sempre la stessa: quella di “cucinare senza essere cucinati e mangiare senza essere mangiati”.

Ovviamente ci sono le dispute perchè ogni nuova scoperta deve essere catalogata come utile o negativa e tale giudizio cambia a seconda delle opinioni di chi lo esprime.

Io l’ho trovato un gran bel libro, divertente, simpatico e con tanti spunti di riflessione (troppo spesso infatti diamo per scontata l’utilità di un oggetto o di una idea senza renderci conto dei pericoli corsi per realizzarla o delle difficoltà che si sono dovute affrontare per far evolvere l’umanità); Le discussioni in merito alle nuove scoperte o invenzioni creano sempre situazioni divertenti. I personaggi sono ben raccontati e il libro scorre con grande facilità obbligando il lettore a prendere le parti di questi combattenti della vita.

Si, combattenti della vita ma sempre con il sorriso sulle labbra e con la certezza che per evolversi sia necessario sperimentare cose nuove e nuove idee.

Un libro che certamente arricchisce la mia biblioteca e che ogni tanto rileggo con gusto.

Anche solo poche pagine hanno il potere di riportare il sorriso sulle mie labbra.

 

I libri sono gli amici più fedeli

C’era bisogno di un altro blog?

Probabilmente no, ma non mi interessa. Mi piacciono i libri, mi piace leggere tutto, compreso il bugiardino delle medicine (a proposito… ma se si chiama bugiardino vi saranno contenute delle verità?), non riesco ad addormentarmi se prima non leggo almeno un paio di pagine di un libro. Probabilmente sono affetto da qualche rara malattia correlata ai libri e alla lettura.

Dunque: pronti, partenza… via!

In questo blog non vorrei raccontare solo le trame dei libri che leggo ma soprattutto le sensazioni che gli stessi mi trasmettono anche quando sono negative o quando il libro non riesce assolutamente a colpirmi.

Ovviamente intendo spaziare nel modo che più aggrada al mio cuore. Le mie sono opinioni personali pertanto non mi aspetto che sempre le condividiate; sappiate che accetto la critica quando non è offensiva. 

Come scegliero i titoli da commentare? Non ne ho la più pallida idea

Ogni quanto scriverò un commento? Non lo so, sicuramente dopo aver terminato di leggerlo o appena terminato di rileggere libri che nella mia vita ho amato e che fanno parte di me.

Da uno di questi prendo la frase con cui chiudo questa prima pubblicazione e … no, non vi dico da quale libro l’ho tratto e nemmeno chi lo ha scritto. Indovinatelo Voi. 

“Era una gioia appiccare il fuoco”.