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La strada nel bosco

La strada nel bosco di Colin Dexter, edito da Sellerio prima edizione 1992.

L’ispettore Morse non prende molto spesso le ferie e quando lo fa, spesso si annoia a tal punto da rientrare prima del termine. Questa volta si dirige nel Dorset, contea nel sud-ovest dell’Inghilterra, attratto dalla sua storia, cultura e bellezze naturali.

Mentre cena ad un tavolo condiviso con una bella signora, Morse vede che, sul Times che la signora sta leggendo, è pubblicato un poema che racconta di una ragazza e di un bosco e capisce che questa poesiòla potrebbe essere la chiave per risolvere un vecchio caso di omicidio di una giovane ragazza svedese avvenuto circa un anno prima.

Visto che la vacanza volge al termine Morse decide di divertirsi con un’indagine personale che si rivelerà molto più complessa e contorta di quanto potesse sembrare all’inizio.

Tornato al suo lavoro, Morse riesce a farsi affidare il caso che nel frattempo è stato riaperto, mentre il grosso delle forze di polizia sono impegnate nella repressione di un grosso giro di violenza giovanile. Grazie al supporto del suo aiutante, il paziente sergente Lewis, che lo segue nelle sue elucubrazioni mentali e nei suoi vagabondaggi alla ricerca di conferme alle proprie teorie, Morse restringe sempre più il cerchio attorno alla verità.

Per quanto possa sembrare senza meta e senza senso il girovagare di Morse e Lewis invece ha del metodo; infatti permette ai due di eliminare via via tutte le false piste e i falsi indizi che li porteranno alla fine a identificare esattamente gli accadimenti, per quanto siano contorti e complessi e ad assicurare alla giustizia un assassino molto scaltro.

Ho fatto un po’ di fatica a leggere questo romanzo innanzitutto perché non conosco benissimo la geografia dell’Inghilterra per cui spesso mi perdevo quando il detective discuteva su quale strada potesse aver preso la studentessa svedese.

Altra caratteristica di questo romanzo è che procede molto lentamente e che si concentra su un unico elemento per volta. Pertanto fino a quando non è giunto al termine di un ragionamento continua a battere sulla medesima teoria.

Un altro motivo per cui questo giallo non mi ha impressionato è il fatto che Morse è un uomo assurdamente chiuso su sé stesso; non considera minimamente l’opinione che gli altri possano avere di lui, e attua una serie di comportamenti sgradevoli volti a tenere alla larga chiunque voglia provare a conoscerlo meglio. Forse soltanto Lewis è riuscito a capire che questa aria da burbero Morse la recita come forma di difesa, l’ha accettata ed è riuscito a penetrarla diventando quasi “amico” del detective.

E’ il primo romanzo di Colin Dexter che leggo e il suo stile di scrittura non è piaciuto molto. Infatti sembra sempre che le immagini che descrive siano viste attraverso un vetro sporco o, visto che siamo in Inghilterra, immersi nella foschia. Non si ha mai una visione limpida di quello che racconta sia che racconti la trama, la descrizione degli attori o il paesaggio.

Questo autore non è riuscito a conquistarmi al punto che, giunti al momento clou della narrazione, non ho capito esattamente chi fosse l’assassino e come il detective ci fosse arrivato. Ho quindi dovuto rileggermi tutto il capitolo per farmi un’idea chiara degli avvenimenti finali.

Per tutto quanto sopra non mi sento di dare un giudizio positivo di questo romanzo.

Libro non consigliato.

Il lago dei sogni

Il lago dei sogni di Salvatore Niffoi edito da Adelphi – prima edizione 2011.

E’ impresa ardua scrivere di questo libro; impresa che fa tremare vene e i polsi. Perchè è un libro che va in tantissime direzioni senza prediligerne una sola. E’ un libro che racconta la storia di una intera comunità, un intero paese (Melagravida) più che di una sola persona anche se una vera protagonista c’è: Itria Nilis “conosciuta a Melagravida e nel circondario col nomignolo di Panedda per via delle sue carni morbide e bianche come il latte appena cagliato”.

Niffoi ci racconta una nuova favola dove i protagonisti girano intorno ad una innominabile sventura, quella di aver perduto la capacità di sognare; era accaduto in un giorno d’estate quando “l’aria era chiara e tirata come la pancia di una lucertola. Tutti gli abitanti di Melagravida sentirono distintamente un boato salire dalla gola di Matzalocos verso il monte Tumbacanes. […] I sogni si erano messi a correre all’improvviso impauriti, inseguiti dall’alito caldo del vento che li spingeva lontani, verso la montagna, oltre le nuvole gonfie di scuro che bollivano come il mosto che fermenta. Sogni veloci come cani cacciati a sassate, con la lingua di fuori, che leccano, abbaiano, e mordono, prima di trovare un posto sicuro dove rifugiarsi”.

Nel paese dunque non si sogna più ma d’improvviso è proprio Itria Panedda Nilis che, per prima, ricomincia a sognare seguita pian piano da tutto il paese. Sembra quasi che la ritrovata capacità di sognare dei paesani corrisponda ad una rinnovata voglia di vivere ed ecco che Niffoi si impadronisce delle storie, delle leggende e delle cattive abitudini degli abitanti di Melagravida (che nome straordinarimente evocativo), e inizia a raccontarcele con la sua incredibile capacità affabulatoria in un dialetto come quello sardo ricco di angolature e forte come un bicchiere di “filuferru”.

Non c’è molto altro da dire in quanto non è il classico romanzo che si sviluppa attorno ad un’idea centrale bensì è una raccolta di storie che contengono ognuna una morale che spetta al lettore interpretare. Tante storie quante sono gli abitanti di questo paesino; tante storie quante sono le idee che percorrono le menti degli uomini; tante storie che si intrecciano tra loro dando vita a nuove favole, nuove avventure, nuove esperienze che di certo il buon Niffoi sarà in grado di raccontarci nei prossimi romanzi che scriverà, e che io attendo con grande ansia.