I promessi sposi

I promessi sposi di Alessandro Manzoni pubblicato in una infinità di edizioni sia scolastiche che generiche. Prima edizione 1827 e poi rivisto dall’autore e ripubblicato in versione definitiva tra il 1840 e il 1841.

E’ un romanzo storico ambientato in Lombardia tra il 1628 e il 1630 i cui protagonisti “principali” sono un tal giovanotto appellato Renzo Tramaglino e una giovine timorata di Dio chiamata Lucia Mondella che sono promessi sposi appunto ma che, per una serie di vicissitudini, convoleranno a nozze solo con quasi 3 anni di ritardo. Nella prima versione il nome del protagonista maschile è però Fermo.

Ne avevo letto alcuni passaggi nei tempi andati delle scuole superiori e non mi era particolarmente piaciuto (anche perchè le cose imposte non sono mai gradite) ed ero timoroso di riprenderne la lettura perchè mi ricordavo le fatiche per concentrare la mia attenzione sul modo di scrivere e sulla storia che ne veniva raccontata; invece devo ammettere che, tranne alcuni passaggi dove il Manzoni si sofferma a raccontare delle “grida”, della condizione di Milano durante la peste, del comportamento delle varie signorie, non è stata una lettura ne noiosa ne difficoltosa.

Non starò qua a tediarvi con una storia che è arcinota ma concentrerò la mia attenzione su alcuni personaggi e sulle emozioni e sensazioni che ho avuto nel corso di questa lettura.

Renzo Tramaglino: che dire del povero Renzo? E’ lavoratore della seta e contadino, che si trova impelagato in una condizione assolutamente lontana dal suo immaginario per colpa di un signorotto spavaldo e smargiasso; Cerca di opporvisi per quanto è in suo potere ma una volta compreso che l’impresa è troppo ardua si china, come fa il grano quando il vento lo attraversa, alle volontà superiori alla sua aspettando che passi la bufera.

Lucia Mondella: è la classica brava ragazza dell’epoca tutta casa e chiesa che si trova insidiata dal desiderio di concupiscenza del signorotto che vorrebbe togliersi con lei la voglia. Si abbandona passivamente alla preghiera e alla sua fede nella Madonna; allucinante ai miei occhi di uomo moderno il suo incontro con l’Innominato dove l’unica cosa che riesce a fare è pregarlo, per “l’amor di Dio”, di desistere dal suo proposito. Tutta la sua narrazione è composta di occhi bassi, di testa china, di preghiera e di riserbo. Insomma una persona di una noia mortale.

Don Abbondio: il parroco del paese che si spaventa per ogni cosa. L’incontro con i bravi di don Rodrigo lo mette in un tale stato di agitazione che rimarrà presente per tutta la narrazione. Un uomo senza spina dorsale che si lascia guidare più dalla sua paura che dal suo mandato apostolico come giustamente gli ricorda il Cardinal Federigo quando lo riprende per il suo mancato matrimonio di Renzo e Lucia.

Cardinal Federigo: è l’Arcivescovo di Milano, nipote di San Carlo Borromeo e a sua volta in odore di santità a detta del popolo che lo ha conosciuto e amato soprattutto per le moltissime azioni caritatevoli fatte a favore dei più poveri; nel romanzo si trovano svariati aneddoti sulla sua carità cristiana e sul suo privarsi del superfluo per dare al popolo il necessario (situazione non consueta a quell’epoca).

Ci sono poi alcune considerazioni che vorrei trarre pur non avendo io alcun titolo per farlo. Innanzi tutto i personaggi sono tutti dannatamente buoni; Renzo, Lucia, Perpetua, Agnese, padre Cristoforo sono tutti di una bontà sconfortante. Nonostante sembra che la vita si accanisca contro di loro, dalle loro bocche non esce mai una parola di disperazione; la cosa che più si avvicina è la preghiera alla Madonna con relativo voto di castità che Lucia fa la notte che è prigioniera nel castello dell’Innominato.

L’innominato poi è un trionfo di bontà; dipinto prima come un brutto ceffo, abile nel far del male alla gente e nell’ottenere tutto quello che voglia con i mezzi meno leciti, rapisce Lucia e, quando questa lo prega di lasciarla libera, ha una conversione talmente repentina da lasciare esterreffatti. Concordo che il libro è dedicato alla bontà, alla mitezza ma soprattutto alla provvidenza divina, ma questa conversione immediata è veramente incredibile. Questa sua conversione ne fa quindi un personaggio melenso e stucchevole che però fa il gioco del Manzoni.

Questo libro è stato scritto con un intento ben preciso da Manzoni, quasi con una “missione”; quella di raccontare l’importanza della provvidenza divina; inoltre l’autore lo scrive nel periodo della sua vita in cui maggiormente era preso dalla fede cristiana e quindi si capisce chiaramente l’intento che l’autore ha messo nello scriverlo.

Non mi è spiaciuto leggere questo romanzo storico e di formazione; non nego però che di fronte a certe scelte dell’autore, a certi escamotages utilizzati e a certa facilità di perdonare il male ricevuto, non mi sia venuto a volte da sorridere.

Concludo con la frase usata dal Manzoni per chiudere la sua opera: “… se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta[…]. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.”.

 

I promessi sposiultima modifica: 2011-02-22T23:41:44+01:00da ilovebook
Reposta per primo quest’articolo

Commenti (3)

  1. marcello

    thank you

  2. Data Singa Pengeluaran

    Very good post. I certainly appreciate this site.
    Keep it up!

    1. Anonimo

      Thank you.

I commenti sono chiusi.